Ritorni – Dopo la cattura del latitante, il magistrato Guido Salvini chiede il rientro da Parigi del condannato Pietrostefani
di Gianni Barbacetto
Guido Salvini è un magistrato che le vicende del terrorismo italiano le conosce bene, per averle a lungo indagate come giudice istruttore. Conosce da vicino anche la storia dei Pac, i Proletari armati per il comunismo di Cesare Battisti, perché fu suo padre a presiedere, all’inizio degli anni Ottanta, la Corte d’assise che pronunciò una delle sentenze per l’omicidio dell’orefice Pier Luigi Torregiani, ucciso dai Pac. In più, Guido Salvini è noto per le sue posizioni tutt’altro che “giustizialiste”, tanto che collabora anche al Foglio. Ecco perché i suoi interventi su Cesare Battisti, pubblicati proprio sul Foglio nei giorni scorsi, sono una bomba. Lasciata scoppiare nel più fragoroso silenzio.
Il 16 gennaio, Salvini scrive un ritratto agghiacciante di Battisti. “Non è certo un martire né un perseguitato politico. Da delinquente comune si era ‘politicizzato’ in carcere sino a diventare uno dei capi dei Proletari armati per il comunismo, un’accozzaglia di persone che per la loro insensata ferocia erano tenute a distanza persino dalle Brigate rosse e dai gruppi affini”. “I Pac si erano infatti specializzati più che nell’individuare obiettivi politici – come le Brigate rosse – nel porre a segno le loro vendette personali: sparavano a commercianti che avevano reagito durante rapine, alle guardie delle carceri dove qualcuno dei loro militanti era stato detenuto. Li chiamavano i terroristi ‘giustizialisti’. Roba da brividi”.
Negli anni seguenti poi – continua Salvini – “Battisti e gli altri sono stati giudicati con tutte le garanzie difensive anche se latitanti e con ben tre gradi di giudizio”. Inaccettabile, dunque, la difesa ricevuta dalla “intellighenzia radical chic che lo ha aiutato e coccolato in Francia”. Del resto, “migliaia di terroristi di ex terroristi rossi e neri condannati in quell’epoca, grazie anche ai benefici della dissociazione e a quelli previsti dall’ordinamento penitenziario, non sono stati sepolti in uno Spielberg ma sono tutti ormai tornati in libertà”. Anche Battisti, argomenta Salvini, se non fosse evaso e fuggito, oggi “sarebbe libero. Inizia invece a espiare un ergastolo a più di sessant’anni ”: ma “è stata una scelta sua”.
A questo punto, il giudice Salvini, archiviato il passato, avvia un ragionamento sul presente. “Purtroppo la cattura di Battisti poco avrà da dirci sulle pagine rimaste ancora oscure degli anni di piombo”. Ci sono invece altri latitanti “che potrebbero chiarire le storie tragiche di cui sono stati protagonisti”: Giorgio Pietrostefani, per esempio, il dirigente di Lotta continua condannato per l’uccisione del commissario Luigi Calabresi.
“Di quell’omicidio”, continua Salvini, “nonostante le condanne, non si sa tutto, non si conosce se non in parte come fu deciso e organizzato e nemmeno tutta la fase esecutiva. Pietrostefani è a conoscenza di quei segreti e se tornasse in Italia potrebbe rivelarli. Non dimentichiamo che quello del commissario non fu un crimine qualsiasi, è stato il primo omicidio politico, legato a piazza Fontana e ideato prima ancora che iniziasse il terrorismo con i suoi crimini seriali”.
Due giorni dopo, sulle pagine dello stesso Foglio, gli risponde Adriano Sofri, il fondatore di Lotta continua, anch’egli condannato per l’omicidio Calabresi. Ricorda come non ci sia “niente di clandestino” nell’esistenza di Pietrostefani, che vive a Parigi dove è stato operato di cancro. E che ha scelto di fuggire all’estero, “a malincuore, per una sola ragione: a differenza di Ovidio Bompressi e me, che avevamo figli grandi, aveva una figlia bambina e scelse di starle vicino. Gli costò. Io ne fui contento”.
È a questo punto che Salvini replica, con un breve intervento pubblicato sul Foglio il 22 gennaio, mimetizzato nella rubrica delle lettere: “È bastato, parlando di estradizioni concesse o negate, un cenno alla latitanza di Pietrostefani, per suscitare il fastidio di Adriano Sofri. Dopo le confessioni di Leonardo Marino e le sentenze delle Corti di Milano, nessuna persona di buon senso può credere che Lotta continua non abbia fatto la sua parte in quell’omicidio. È una storia che comunque non conosciamo per intero”. E qui parte la bomba: “Per esempio chi era l’informatore del Sid (servizio segreto militare, ndr) ‘Como’ di cui ho trovato negli anni Novanta le relazioni e che faceva parte dell’esecutivo di Lotta continua nel periodo dell’omicidio Calabresi? I dirigenti di Lotta continua dell’epoca sarebbero in grado di identificarlo; non si può escludere nessuno, lo dico come mera ipotesi, nemmeno che fosse Pietrostefani o una persona a lui vicina. Posto che militanti di Lotta continua hanno certamente eseguito l’omicidio, a quale livello militare o politico è stata presa quella decisione? Ci furono dissensi interni? Hanno magari agito, ottenebrati dall’ideologia, inconsapevolmente nell’interesse di altri? Anche senza parlare di tutti i coinvolti, certamente molti di più di quelli che conosciamo, insomma, come è andata?”.
Conclude Salvini: “Per ora non ci sono le risposte che sarebbe giusto avere prima che quella generazione scompaia. Senza dare queste risposte non si ha diritto di chiedere la verità su altro, quello che è avvenuto nel 1969, ad esempio, e negli anni successivi. Giorgio Pietrostefani è uno di quelli che di certo queste risposte le può dare. È il personaggio rimasto più in ombra in questa storia. Se è gravemente malato, come ricorda Sofri, non deve andare in carcere. Ma ha il dovere civile di rinunciare alla protezione francese e di tornare in Italia. Aspettiamo. Di Adriano Sofri come collaboratore del Foglio apprezzo tutto, i suoi interventi sul popolo curdo in particolare. Ma la storia dell’omicidio Calabresi proprio non ce la vogliono raccontare. Forse per pudore. Forse per tutelare le loro famiglie. Chissà?”. Guido Salvini ha posto le domande. Chi era l’infiltrato dei servizi segreti dentro il vertice di Lotta continua? Ora aspettiamo tutti le risposte.
30 Gennaio 2019