di Thierry Meyssan
Da un mese si accavallano avvenimenti cruciali che riguardano gli Stati Uniti, l’Ucraina e l’Unione Europea. È difficile interpretarli perché ogni protagonista dissimula le proprie intenzioni. I dirigenti europei insistono in un atteggiamento ottuso, affermando che continueranno a sostenere i nazionalisti integralisti ucraini, mentre Washington e Mosca hanno già raggiunto un’intesa per la pace. È tuttavia possibile che gli incontri diplomatici mascherino un obiettivo diverso: prevenire una grave crisi economica in Occidente. Quest’ipotesi spiegherebbe perché Washington abbia bisogno di terrorizzare gli alleati: per costringerli a farsi carico dei suoi debiti.
La de-dollarizzazione, ovvero l’impiego del dollaro solo a livello nazionale e non più nel commercio internazionale, è questione irrisolta e ricorrente della finanza. Ma alle misure coercitive unilaterali (chiamate abusivamente sanzioni) che gli Stati Uniti hanno imposto agli alleati per colpire l’Iran e successivamente la Russia, Mosca ha reagito creando l’SPSF, sistema di trasmissione dei messaggi finanziari; Pechino ha adottato il CIPS, sistema di pagamento interbancario; l’Unione Europea lo Strumento europeo di sostegno al commercio (INSTEX). Risultato: diminuzione dell’uso del dollaro nel commercio internazionale di circa il 25%.
Il debito pubblico degli Stati Uniti si attesta oggi sull’astronomica cifra di 34 mila miliardi di dollari, un terzo del quale, secondo Forbes [1], è in mano a investitori stranieri. Basterebbe che alcuni creditori degli Stati Uniti, in particolare Cina e Arabia Saudita, ne chiedessero il rimborso e si scatenerebbe una gigantesca crisi economica paragonabile a quella del 1929.
Molti economisti mettono regolarmente in guardia contro questa prospettiva. Tuttavia, secondo John Hartley della Hoover Institution, dall’inizio della guerra in Ucraina le banche centrali non hanno ridotto la quota in dollari delle loro riserve valutarie. Ma il 20 febbraio, in una videoconferenza ripresa da Bloomberg [2], l’analista Jim Bianco ha rilanciato i timori. Secondo Bianco, l’amministrazione Trump sta seguendo un piano, il cosiddetto Accordo di Mar-a-Lago: ristrutturare radicalmente il peso del debito statunitense riorganizzando il commercio mondiale attraverso i dazi, svalutando il dollaro e riducendo il costo dei prestiti; il tutto allo scopo di porre l’industria statunitense su un piano di parità con il resto del mondo.
L’idea sottesa all’Accordo di Mar-a-Lago rinvia a un articolo di Stephen Miran del Manhattan Institute [3]. Trump ha infatti designato Miran alla presidenza del Consiglio dei consulenti economici (Council of Economic Advisers, Cea) della Casa Bianca. Inoltre lo stesso Trump, il 22 gennaio al Forum economico mondiale di Davos, ha pronunciato un discorso che è sembrato andare nella stessa direzione.
La denominazione Accordo di Mar-a-Lago vuole essere un riferimento all’Accordo del Plaza del 1985, quando gli Stati Uniti indebolirono il dollaro per rilanciare le esportazioni. I meccanismi finanziari furono però mal gestiti: l’economia statunitense ripartì provocando una gravissima recessione in Giappone.
Il 21 e 22 gennaio scorso Trump ha riunito i banchieri centrali e i ministri delle Finanze del G7 nella sua residenza di Mar-a-Lago. Li avrebbe accolti intimando: «Nessuno uscirà da questa stanza fino a quando non avremo trovato un accordo sul dollaro» [4]. Gli alleati avrebbero infine approvato l’Accordo.
L’asse portante della ristrutturazione sarebbe l’emissione da parte del Tesoro degli Stati Uniti di titoli di Stato a interessi zero (i cosiddetti “zero coupon”) con scadenza a un secolo (ossia che non potranno essere rimborsati prima di cento anni). Washington dovrebbe poi costringere gli alleati a convertire i loro titoli di credito in “zero coupon”.
Se attribuiamo fondatezza a questa analisi, dobbiamo reinterpretare molte iniziative del presidente Trump in materia di dazi o durante la creazione di un fondo sovrano: non sarebbero erratiche come le descrive la stampa internazionale, al contrario sarebbero molto logiche.
Dobbiamo quindi ipotizzare che Trump stia cercando di gestire il possibile crollo economico dell’impero americano di Joe Biden allo stesso modo in cui Iuri Andropov, Konstantin Cernenko e Mikhail Gorbaciov tentarono di gestire il tracollo dell’impero sovietico di Leonid Breznev.
Sono particolarmente incline a questa ipotesi in quanto ritengo che il colpo di Stato dell’11 settembre 2001 avesse l’unico obiettivo di rinviare il prevedibile crollo dell’impero americano. Gli ultimi due decenni sono stati solo una tregua che, lungi dal risolvere il problema, l’hanno reso molto più complesso.
Ricordiamo i fatti: nel 1989 Mikhail Gorbaciov, primo segretario del partito comunista dell’Unione Sovietica, decide di ridurre le spese dello Stato. Mette fine bruscamente all’aiuto agli alleati dell’Urss e li scioglie da ogni vincolo. Contemporaneamente i tedeschi della Germania orientale abbattono il Muro di Berlino e i polacchi eleggono membri di Solidarnosc alla Dieta e al senato. È la fine dell’imperialismo dell’ucraino Leonid Breznev, che nel 1968 impose a tutti gli alleati dell’Urss di adottare, difendere e preservare il modello economico di Mosca.
Oggi stiamo probabilmente assistendo a qualcosa di analogo: il presidente degli Stati Uniti Trump scioglie l’impero americano, come già tentò di fare nel 2017 [5]: il 28 luglio riorganizzò il Consiglio per la Sicurezza nazionale abolendo i seggi permanenti del direttore della Cia e del presidente del Comitato dei capi di stato-maggiore. A Washington fu guerra per tre settimane; infine il Consigliere per la Sicurezza nazionale, generale Michael T. Flynn, si dimise. Apparentemente sparito dai radar, Flynn è tuttora attivo: organizza riunioni a Mar-a-Lago per gli oppositori dei Paesi alleati.
Ora Trump è più accorto: distrae l’opinione pubblica interna prospettando l’annessione dell’intero continente nord-americano, dalla Groenlandia al Canale di Panama, nel frattempo liquida la guerra in Ucraina nonché l’Unione Europea.
Se la mia ipotesi è corretta, non dobbiamo credere affatto alle minacce di annessione di nuovi territori come il Canada, nonché alla favola che gli Stati Uniti si vogliono ritirare militarmente dall’Europa per scontrarsi con la Cina; dobbiamo invece ammettere che vogliono abbandonare militarmente gli alleati europei. Per riorganizzare l’Europa centrale vediamo che stanno abbandonando la Germania e puntando sulla Polonia, magari permettendo a Varsavia di annettere la Galizia orientale, attualmente ucraina. Dobbiamo anche prepararci all’abbandono da parte degli Stati Uniti degli alleati medio-orientali, eccezion fatta per Israele. Infatti: hanno ripreso a fornire armi a Tel Aviv e avviato trattative segrete con l’Iran attraverso Mosca; consentono all’Arabia Saudita e alla Turchia di spartirsi il mondo arabo.
Quindi la sfida tra Parigi e Londra per mettersi a capo della difesa europea non deve essere interpretata come un’opposizione alla pace in Ucraina. Del resto, né le forze armate britanniche né quelle francesi potrebbero sostituirsi al sostegno militare di Washington all’Ucraina. In gioco c’è il futuro ruolo delle due capitali nel continente. Il presidente francese Emmanuel Macron spera di riuscire a fare evolvere il proprio concetto di difesa, incentrato sulla forza d’urto francese; il primo ministro britannico Keir Starmer vuole invece volgere la situazione a proprio vantaggio. Macron è consapevole che l’Unione Europea con epicentro la Germania si sta sfaldando e che il presidente Trump le preferisce l’Iniziativa dei Tre Mari, con epicentro la Polonia. Potrebbe perciò ridestare il Triangolo di Weimar (Germania, Francia, Polonia) per garantirsi un margine di manovra. Mentre Starmer, partendo dalla stessa analisi e tenendo conto del ritrarsi della Nato, farà attenzione a mantenere la Germania il più lontano possibile dalla Russia, perseverando nella politica estera che il Regno Unito persegue da un secolo e mezzo.
Si noti anche che, se gli alleati europei, i cinesi e i sauditi dovessero considerare una truffa scambiare i loro crediti con “zero coupon”, la Russia dovrebbe invece sostenere gli Stati Uniti in questa manovra. Infatti, dopo lo smantellamento dell’Unione Sovietica, la Russia attraversò un decennio di recessione e di tumulti, ma oggi ha bisogno degli Stati Uniti per non trovarsi a dover fare i conti con la Cina.
Traduzione
Rachele Marmetti
11 marzo 2025
[1] «Why Trump’s ‘Mar-A-Lago Accord’ Would Financially Matter To You», Erik Sherman, Forbes, February 23, 2025.
[2] «“Mar-a-Lago Accord” chatter is geting Wall Street attention» and «Jim Bianco on What a “Mar-a-Lago Accord” could mean for the economy», Tracy Alloway & Joe Wiesenthal, Bloomberg, February 20 and 25, 2025.
[3] «A User’s Guide to Restructuring the Global Trading System», Stephen Miran, Hudson Bay Capital, November 2025.
[4] «Et Donald Trump fit entrer Mar-a-Lago dans la légende du dollar», Nessim Aït-Kacimi, Les Échos, 25 février 2025.
[5] “Donald Trump smantella l’organizzazione dell’imperialismo statunitense”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 31 gennaio 2017.
Foto di Karolina Grabowska