di MOWA
«Un pagliaccio, per definizione, è colui che trasforma ciò che non capisce in un grande scherzo.» (Helena Bonham Carter)
La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nei giorni scorsi, ha “regalato” al Parlamento l’ennesima bordata provocatoria alla democrazia sviando, probabilmente consapevolmente, l’attenzione dai fallimenti politico-economici del suo Governo. E, dramma dei drammi, il cosiddetto centro-sinistra parlamentare vi è caduto completamente, a piedi uniti, senza capire, ahime!, il motivo della citazione (voluta?) del Manifesto di Ventotene da parte della Presidente dell’Esecutivo che, “viziosamente”, citava le parole “dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e intorno ad essa la nuova vera democrazia.” [1]
Il documento da cui sono state tratte le parole pronunciate è stato scritto, ricordiamolo, nel 1941 in piena dittatura fascista da dissidenti messi al confino per le loro idee: il massone Altiero Spinelli [2] e Ernesto Rossi, con la collaborazione di Eugenio Colorni e della socialista tedesca Ursula Hirschmann. Non bisogna dimenticare che il testo prevedeva la neutralizzazione della conflittualità di classe, desiderio auspicato, ancor oggi, da tutti i liberali del Mondo.
Tant’è che in quel Manifesto di Ventotene ad un certo punto, si spiega quale ruolo avrebbero dovuto avere il “censo” specifico degli intellettuali per arrivare a sconfiggere la forza emergente e rivoluzionaria dei proletari di quegli anni:
“Se poggerà solo sul proletariato, sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici da per tutto, e sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.” [3]
Nella breve citatazioni tratta dal documento, intitolato ‘Manifesto per un’Europa libera ed unita’ e noto come Manifesto di Ventotene, la Presidente Meloni ometteva la parte in cui si parlava di un tipo di “mercato” che verrà meglio precisato nel successivo elaborato, fatto dal solo Spinelli, “Manifesto dei federalisti europei” [4] – dove veniva confermato il cedimento della “rivoluzione socialista” citata dagli autori del prefato Manifesto e di cui tutti gli attuali parlamentari e le diverse forze partitiche, non hanno fatto i dovuti distinguo, probabilmente, perché ci si ritrovano idealmente.
Ironia della sorte vuole che quel testo (Manifesto di Ventotene) citato da Meloni, e non capito dagli attuali parlamentari – opposizioni comprese -, descriva un’economia di piccoli e medi proprietari che manda in soffitta, definitivamente, il conflitto tra capitale e lavoro di gramsciana memoria; tutto ciò, andando a palesare, quindi, un sistema in cui le ricchezze andrebbero a “pochi privilegiati” modificando i rapporti di classe e dunque quella che viene chiamata un’economia basata su un distributismo liberale.
Altro che “dittatura del partito rivoluzionario” o “rivoluzione socialista” minacciata da Giorgia Meloni!
Inutile dire che lo stesso, P.C.I., di Enrico Berlinguer, negli anni Ottanta, era posizionato, non casualmente, sulla solidarietà nazionale, spingendosi anche a sostenere il valore del conflitto sociale dichiarando in uno dei tantissimi discorsi, in tal senso, dal Segretario:
« Facciamo nostra questa denuncia. Né si dica che i comunisti sposano tutte le rivendicazioni, incuranti del bilancio dello Stato che il governo invece salvaguarderebbe con una politica di rigore. Giacché proprio in questo stesso periodo il governo ha concesso aumenti ai medici generici che praticamente ne raddoppiano Ìe retribuzioni. E, inoltre, ci siamo trovati di fronte, in Parlamento, ad una proposta che veniva da parte di tutti gli altri partiti per l’aumento dell’indennità di deputati e senatori: solo noi ci siamo opposti, ritenendola inopportuna date le condizioni generali del Paese, e ritenendo invece che le risorse finanziarie disponibili debbano essere oggi impiegate per migliorare le condizioni di vita della gente più povera, di coloro che più soffrono.» [5]
Ma, disquisizioni storiografiche a parte, il Governo non ha risposto, ma è rifuggito dalle domande che vengono poste sul progetto “ReArmEurope” da parte di diversi economisti, uno fra tutti Alessandro Volpi che solleva dubbi su come verrebbe gestita la finanza pubblica e quali sarebbero i danni arrecati alla popolazione che tali scelte porterebbero:
«Quanto costa il riarmo “europeo” all’Italia e chi ne beneficia. Partiamo dal dato della spesa militare sostenuta dallo Stato italiano che è stata, nel 2024, pari a quasi 35 miliardi di euro, di cui circa 15 destinati all’acquisto di sistemi d’arma, in larga misura rappresentati dalla commessa di nuovi cacciabombardieri F 35, prodotti da un consorzio guidato dall’americana Lockheed Martin, i cui principali azionisti, con oltre il 30’% del capitale sono State Street, Vanguard e BlackRock. A questa cifra, che è cresciuta di oltre 2 miliardi in un solo anno, dal 2024 al 2025, si dovrebbe aggiungere la possibile spesa consentita dalla Commissione europea con ReArm Europe, che può arrivare fino all’1,5% del Pil. Ciò significa che l’Italia può indebitarsi per circa 40 miliardi di euro aggiuntivi, tutti destinati ad armamenti, e quindi in grandissima parte indirizzati ad acquisti di sistemi di arma provenienti dagli Stati Uniti. Se a queste cifre, aggiungiamo il costo degli interessi sul debito da collocare per comprare armi si arriva ad un totale di poco meno di 80 miliardi di euro che dovrebbero essere rintracciati dallo Stato italiano, la cui ultima Legge di bilancio, tutta insieme vale 30 miliardi di euro. In sintesi 80 miliardi di euro di denaro pubblico che, di fatto, genera una limitatissima ricaduta occupazionale visto il peso degli acquisti presso le grandi società Usa, inglesi – come Bae – e presso Leonardo, dove lo Stato Italiano ha ormai una quota limitata al 30%. Ma a questi dati vanno aggiunte altre brevissime considerazioni. L’Italia ospita 120 basi Nato, a cui vanno sommate 20 basi segrete degli Stati Uniti di cui non è nota la collocazione, e la spesa per il mantenimento di tali basi sfiora i 300 milioni annui. In merito al famoso rapporto tra spesa militare e Pil, per cui l’Italia sarebbe al di sotto della media europea, bisognerebbe considerare che il nostro paese è un contributore netto rispetto al bilancio dell’Unione europea: ciò significa che versa più di quanto riceva a differenza di paesi che hanno una spesa militare più alta ma sono decisamente dei beneficiari netti di’ fondi europei con cui possono costruire parti significative del loro bilancio. In ultima analisi, l'”indispensabile corsa al riarmo” in nome della difesa della civiltà europea ha un costo pesantissimo per un paese in cui ormai la spesa pubblica, al di là dei dati nominali, sta riducendosi mentre garantisce un forte aumento di valore dei titoli delle società che producono armi, con ottimi risultati per i grandi fondi che certamente trarranno beneficio anche dalla ritirata dello Stato sociale, trasformato in Stato di guerra, perché tale ritirata obbligherà migliaia di risparmiatori a dotarsi di polizze di sanità e previdenza private, prontamente fornite dai fondi. Poi ci penseranno Von der Leyen e Letta a modificare le regole bancarie europee per “valorizzare” il risparmio degli europei, magari senza il loro consapevole consenso, trasferendolo dai conti correnti in più remunerativi investimenti azionari, in armi.» [6]
E, ancora, lo stesso economista, Alessandro Volpi aggiunge:
«Per chi avesse ancora qualche dubbio in merito alla più immediata finalità del riarmo. La Commissione europea già mercoledì prossimo discuterà un vero e proprio Piano per “mobilitare” i 10 mila miliardi di euro che si trovano sui conti correnti degli europei. Si tratta di misure che consentano la totale, libera circolazione di tali risorse in direzione di qualsiasi titolo azionario o obbligazionario presente in Europa, nella logica di un unico mercato dei capitali. A ciò si aggiungono l’iscrizione dei risparmiatori a piattaforme di investimento, una possibile, ulteriore cartolarizzazione dei crediti bancari, la creazione di conti deposito, un allentamento dei requisiti di prudenziali delle banche e delle assicurazioni e una più complessiva defiscalizzazione. Naturalmente, sottolinea la Commissione, tutta questa facilitazione nella mobilitazione del risparmio, dovrà essere indirizzata a finanziare il riarmo per la “difesa dell’Europa”, quindi le società che producono armi. La parola guerra è diventata ormai lo strumento attraverso cui accelerare, in tempi record, la finanziarizzazione. Polizze, conti deposito, cartolarizzazioni, riduzioni fiscali tutto deve chiamare alle armi il risparmio diffuso e incanalarlo verso la nuova bolla con cui alimentare la “riconversione” bellica. Guarda caso in poche settimane la lenta Commissione europea ha annunciato un Piano da 800 miliardi di euro di maggior spesa dei singoli Stati in armi, ha rotto il tabù del Patto di stabilità per le armi, ha messo in moto la Banca europea degli investimenti per finanziare le armi, ha prodotto un documento, fatto votare al Parlamento, di supremazia europea, ha consentito la destinazione dei fondi di coesione al riarmo e, dulcis in fundo, sta chiamando alle armi il risparmio degli europei. In parallelo la Bce ha ridotto il tasso sui depositi al 2,5%. Non mi sembra che ci sia stata mai una mobilitazione analoga per la sanità pubblica, per la lotta alle disuguaglianze o per l’istruzione. In estrema sintesi, l’Europa pare aver trovato la propria vocazione. Nutro dei dubbi che il fin troppo citato Manifesto di Ventotene concepisse la necessità “di riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza e i privilegi sociali” e “l’emancipazione delle classi lavoratrici”, attraverso il riarmo….. e la finanziarizzazione!» [7]
Ma, allora, se anche il serio economista Alessandro Volpi nutre forti dubbi su quanto dichiarato da Giorgia Meloni è giusto porsi una domanda:
“Cui prodest tale sceneggiata in Parlamento se non a gettare fumo negli occhi delle persone per quello che stanno congeniando di dannoso e di apodittico nei piani alti del potere contro lo sviluppo democratico?”
Molto probabilmente è nel parlamento desiderato e realizzato dal piduista Licio Gelli che la distrazione di massa è all’ordine del giorno, un parlamento dove si fanno passare leggi liberticide, antipopolari ed ora, anche, guerrafondaie andando contro il fondamento della nostra Costituzione scritta, proprio, alla fine del secondo conflitto mondiale che ha visto moltissimi morti nella popolazione e dopo un ventennio di soprusi della dittatura fascista e tutto questo, purtroppo, con il consenso anche di parte di italiani che sono senza memoria. E forse, le riforme scolastiche susseguitesi negli ultimi anni con la riduzione degli studi storici hanno contribuito a questa perdita di ricordi del passato.
Ricordiamo, anche, ai distratti, il ruolo avuto dalla massoneria nella salita al potere del fascismo nel secolo scorso, salita a lei funzionale e partita con l’adunata in piazza San Sepolcro, del 23 marzo 1919, quando venne decretata la nascita dei fasci di combattimento, nascita in cui la massoneria ebbe il ruolo di Alma mater. [8]
A questo punto possiamo affermare che lo scrittore George Orwell non avrebbe saputo fare di meglio…
NOTE:
[2] Massoni di Gioele Magaldi ed. Chiarelettere pag. 143
[3] Per_unEuropa_libera_e_unita_Ventotene6.763_KB…
[4] https://www.thefederalist.eu/site/index.php/it/saggi/498-manifesto-dei-federalisti-europei
[5] l’Unità 18 marzo 1981 page_001
[6] https://www.facebook.com/photo/?fbid=8447057232064081&set=a.117571661679388
[7] https://www.facebook.com/alessandro.volpi.5
[8] https://www.iskrae.eu/dens-dolens-543-quel-riverbero-massone-nella-repubblica-italiana-sbandare/