di MOWA
“...la parlata è bigotta, il silenzio è bigotto e le sembianze sono bigotte. La trasformazione delle cose e degli uomini soggetti alla bigotteria è un mistero inspiegabile, ma il fatto resta” (Honoré de Balzac, Commedia umana)
In questa seconda parte dello scritto che parlerà del libro curato da Roberto Biorcio e Matteo Pucciarelli: “Volevamo cambiare il mondo. Storia di Avanguardia operaia 1968 – 1977” (Mimesis, 2021) come già in precedenza e, quindi sempre con lo stesso metodo, sono state coinvolte un paio tra le innumerevoli figure che hanno fatto parte, fin dagli albori, di quell’organizzazione nel capoluogo lombardo che, però, per una serie di vicissitudini e minacce personali subite per l’incessante impegno politico (evitando i riflettori della notorietà), hanno preferito non essere nominate ma traslare il proprio pensiero attraverso l’autore del presente post -, e quindi esprimere/riportare le innumerevoli perplessità interpretative già espresse a quei tempi sulla suddetta organizzazione che avrebbe fatto breccia in molti giovani che credevano di sostenere tesi progressiste se non addirittura comuniste, mentre, invece…
Si era, infatti, detto nella prima parte “delle deviazioni corporative e/o piccolo-borghesi sostenute, ad es., nei documenti del Cub ATM che hanno condotto l’Organizzazione comunista Avanguardia operaia a frenare la conquista dello Statuto dei lavoratori” tesi, tra l’altro, confermata in molti altri lasciti degli scritti su “i quederni di AVANGUARDIA OPERAIA” (Sapere edizioni), come in I COMITATI UNITARI DI BASE: ORIGINI, SVILUPPI, PROSPET’TIVE a pag 34 e 35, dove si arrivò a dire:
“Il processo di « responsabilizzazione » sindacale venne ulteriormente definito da parte governativa attraverso lo « statuto dei lavoratori », che sancì in modo finalmente istituzionale le competenze e gli spazi di potere dei sindacati all’interno dell’azienda, garantendo giuridicamente padroni e sindacati contro ogni forma di organizzazione e di lotta operaia che si esprimesse al di fuori e contro gli apparati ufficiali.”
Come dire che lo Statuto dei lavoratori (Legge 300 del 1970), di cui hanno beneficiato tutti per la salvaguardia del posto di lavoro, compresi i dissidenti (alcuni ancora in auge sotto altre forme politiche, anche, di “sinistra”), fosse frutto di una concertazione verticistica che imprigionava i lavoratori in maglie strette di negatività e quindi prodotto di logiche padronali. Geniale ma, solo, per chi voleva contenere la democrazia, invece di ampliarla.
Ma, uno dei capolavori del lavoro anticomunista fatto per accusare il crescere dell’adesione dei giovani al P.C.I. e alla CGIL è stato quello formulato a pag. 38 – 39 dello stesso “quaderno” dove si dice esattamente (e fate attenzione alla filologia) [il colore diverso è per esaltarne i concetti]:
“L’acuirsi delle contraddizioni nel rapporto tra revisionisti e le nuove avanguardie
È necessario a questo punto identificare l’evoluzione generale della contraddizione tra le nuove esigenze del proletariato e la linea di collaborazione di classe del PCI e della CGIL contraddizione manifestatasi al loro interno e in seno al proletariato in generale. Essendo state la maturazione politica delle nuove avanguardie operaie e la formazione dei CUB risultati specifici di tale contraddizione, è importante analizzarla attentamente anche per comprendere in che misura le forze rivoluzionarie abbiano saputo operare attivamente su ogni possibilità offerta per la ricostruzione del partito rivoluzionario del proletariato, compito principale del movimento rivoluzionario in Italia nella fase attuale.
Cerchiamo allora di delineare la tendenza generale, manifestatasi a partire dagli anni 60, del rapporto tra il proletariato, il settore giovane in primo luogo, e le organizzazioni sindacali.
Sprovvisto di esperienza politica e di lotta, quando il proletariato giovane comincia ad essere protagonista della lotta sindacale è sufficiente il recupero distorto, da parte delle organizzazioni sindacali, di alcune sue aspirazioni, a farne un entusiasta sostenitore dei sindacati. L’appoggio fideistico ai sindacati caratterizza l’atteggiamento del proletariato giovane fino al 1963. Ma la sua inesperienza e la struttura burocratica dei sindacati operano congiuntamente nell’impedìre che il rapporto, d’opinione, si trasformi in rapporto organizzato, di adesione politica e ideologica. E meno che mai il PCI, che negli anni 60 socialdemocratizza, completamente la sua struttura organizzativa, trasformandosi in partito organicamente d’opinione e con un numero crescente di funzionari di origine e mentalità piccolo-borghesi, può presentare sufficienti motivi di attrattiva per i giovani proletari combattivi.”
Finendo in “bellezza” con questo:
“La politica rivendicativa dei sindacati durante la crisi del 1964-65, l’assenza di iniziative capaci di difendere il salario e l’occupazione, portano ad un primo momento di presa di coscienza di una parte di proletari d’avanguardia della politica di collaborazione di classe dei sindacati.”
Ma come, da una parte si criticava l’eccesso di ingressi di giovani nel P.C.I. e nella CGIL (in quanto “fideisti”), cosa che dovrebbe compiacere e non dispiacere, anche perché sono coloro che hanno spinto e ottenuto garanzie migliorative con lo Statuto dei lavoratori e, poi, si dice loro che erano poco rivoluzionari bollandoli come collaborazionisti?
Qualcosa nel ragionamento non funziona, non è lineare per delle persone che si reputavano marxisti-leninisti.
E, forse, una delle risposte l’abbiamo a pag. 13 dell’intervista di William Gambetta fatta al dirigente della suddetta organizzazione, Massimo Gorla, riportata nel libro “Un gentiluomo comunista – cinquant’anni della nostra storia” in cui si trova la chiave interpretativa della funzione avuta in quei periodi di difficile crescita della democrazia in Italia a causa di organizzazioni extraparlamentari contro il P.C.I. considerato da alcune di loro come stalinista, revisionista, riformista, collaborazionista o socialdemocratico. La citazione di Gorla è riferita al periodo successivo della scomposizione di AO e cioè alle elezioni del 1976 non equivocando su chi fossero:
“…Il cartello elettorale nasce come Democrazia proletaria con Lotta continua e Pdup, e ci porta alla Camera: La prima volta che fummo eletti alla Camera è appunto il 1976.
Quali sono le ragioni per cui avete deciso di formare il cartello elettorale?
Parlare di una tendenza all’unificazione non è esatto. Ogni gruppo aveva caratteristiche distinte e matrici comuni (come il riferimento internazionale, una posizione rispetto ai blocchi antiamericana, ma antistalinista), la tradizione antistalinista per esempio in Ao era particolarmente forte. Infatti, quelli dell’Ms ci chiamavano “professorini trotkzjsti”. C’erano diversi tratti distintivi, ma anche – come dicevo – tratti comuni: per quanto riguarda l’Italia si poteva parlare di un generico antirevisionismo che in vari modi era presente in tutte e tre le organizzazioni.
Lotta continua era un po’ più movimentista e per alcuni aspetti più estremista. Al contrario il Pdup era quello che subiva di più l’eredità del partito comunista italiano. Noi eravamo nel mezzo, mi sembra di poterlo descrivere così.”
Teorizzazioni che stridono con le rigide analisi fatte sulle predette organizzazioni come, ad esempio, Lotta continua che viene giudicata in modo pesantissimo sul numero 19 de “i quaderni di AVANGUARDIA OPERAIA”: [1]
“Uno dei più curiosi fenomeni del dogmatismo « m-l » è stato l’intreccio combinato di spontaneismo e populismo provocato dal ricorso artificiale e libresco alla formula di «guerra popolare di lunga durata». Formula, ripetiamo, perché, in mancanza di una qualsiasi tentativo di analisi di classe e di individuazione di obiettivi di lotta, tutta la fraseologia folkloristicamente maoista (popolo, dalle masse alle masse, inchiesta, sinistra del popolo, rivoluzione culturale) non si è limitata ad essere la cristallizzazione di un riferimento ideologico antirevisionista, ma si è progressivamente riempita di stratificazioni culturali assai variopinte, dall’ideologia cristiana dell’amore umanitario e interclassista all’anarchismo anti-autoritario, dal richiamo all’empirismo della sociologia anglo-sassone alle teorizzazioni marcusiane sugli esclusi e i fuorigiuoco. I precedenti ideologici di questa miscela di letture universitarie e di radicalismo piccolo-borghese devono necessariamente essere trovati in tutta quella tradizione populista e «nazional-popolare» tipica di certi movimenti piccolo-borghesi del passato, così come dell’intera direzione politica, riformista, del movimento operaio italiano.
Concludendo con:
« Lotta continua cresce come punto di riferimento ma non come organizzazione », dichiara il verbale dell’Esecutivo; la scelta che ha fatto è di rafforzare l’immagine di sé come punto di riferimento attraverso una campagna propagandistica dispendiosa e altisonante. Ma il prezzo da pagare al populismo pseudo-insurrezionale, è il condizionamento ulteriore da parte dei settori piccolo-borghesi. Senza nessuna linea politica […] da inventare, l’ipoteca di un bluff di un’organizzazione sempre pesante condizionamento ideologico borghese grava in permanenza.”
A questo punto, per collocare la figura di Massimo Gorla, il “volto di AO” (usando le parole di un altro dirigente, Emilio Molinari) nell’impianto degli obiettivi che motivarono alcuni dirigenti di quell’organizzazione, diventa indispensabile sfogliare altre pagine di questo libro e, precisamente 38, 39 e 63 [2] e andare alla testimonianza di chi lo aveva conosciuto. Conoscenze in comune, come Giorgio Galli, che faranno, tra l’altro, comparire nelle memorie dell’intervistato nomi che hanno rabbuiato la Storia italiana con il terrorismo come Corrado Simioni che fondò nel 1976 la scuola Hyperion (con sedi anche a Roma e a Milano) insieme ad altri padri del terrorismo di “sinistra” in Italia, Vanni Mulinaris e Duccio Berio e tutti provenienti dal CPM (Collettivo Politico Metropolitano) di Milano. L’antesignana delle Brigate Rosse. Una finta scuola l’Hyperion che ricevette una fideiussione di 20 milioni di vecchie lire (100 mila euro odierne), presso una banca di Parigi, dopo la coincidenza del rapimento (organizzato dalla ‘ndrangheta calabrese) del fratello dell’imprenditore Cesare Rancilio, Augusto.
Si riporta, per comprendere meglio chi era Giorgio Galli e quale ruolo ebbero (hanno) i massoni, uno stralcio dal libro di Paola Baiocchi e Andrea Montella: Ipotesi di complotto? Le coincidenze significative tra le morti e le malattie dei segretari del PCI e l’attuale stato di salute dell’Italia (Carmignani Editrice), perché identifica maggiormente il torbido e le frequentazioni di quei personaggi come il “liberal-libertario” Giulio Seniga, detto Nino, che si nascondeva tra le persone perbene del P.C.I., quelle che, invece, volevano veramente un mondo migliore:
“Che gli Agnelli tramassero contro i comunisti e contro la Costituzione nata dalla Resistenza è cosa conosciuta alla maggioranza di coloro che si sono occupati di eversione. Tra questi il giornalista ed ex partigiano Fulvio Bellini, che nel 1978 è stato coautore con il figlio Gianfranco della prima edizione de Il segreto della Repubblica, libro ristampato nel 2005 dalla Selene Edizioni, con un importante contributo di Paolo Cucchiarelli. In questo prezioso libro nella nota 56 (pagg. 153-154) si precisa il ruolo degli Agnelli e non solo il loro:
«Se Gianni Agnelli, con la sua intervista a Time, dimostrava di conoscere perfettamente lo sbocco finale della manovra scissionista patrocinata da Saragat, la Fiat, tramite la Fondazione Agnelli, rivelava la precisa intenzione di non volersi accontentare di un semplice ritorno al centrismo ma di puntare a una soluzione “extra sistema”. Il compito di preparare il “nuovo progetto” che avrebbe dovuto scavalcare e abrogare la Costituzione repubblicana a favore di uno Stato gerarchizzato e presidenzialista era stato affidato a un gruppo di politologi tra cui spiccava Giorgio Galli. Questi approdava così al gollismo dopo essere stato, via via, liberale, compagno di strada dei gruppuscoli di estrema sinistra pre-sessantotto (trotzkisti, neobordighiani), “scrittore ombra” di Giulio Seniga (famoso per aver sottratto dalle casse del Pci un milione di dollari), saragattiano, socialista unitario, e dopo aver lavorato per istituzioni pseudo-culturali notoriamente finanziate dalla Cia. Tale grado di spregiudicatezza, aveva spinto lo stesso Donat Cattin, non certo uno sprovveduto in fatto di manovre e di trasformismo, a denunciarlo dalla tribuna del XIII Congresso della Dc (marzo 1976) come un frequentatore abituale dell’ambasciata americana di Parigi: “Galli, quello che studiava per la Fondazione Agnelli le premesse del gollismo italiano. E io lo ricordo Galli, con Faravelli, alle riunioni che l’USIS [United States Information Service, nda] organizzava all’ambasciata americana di Parigi”. Ed era appunto con l’apporto di questi ‘scienziati’ della politica che la Fondazione Agnelli stava elaborando una via d’uscita dalla crisi del centro-sinistra che andasse ben oltre gli orizzonti della strategia saragattiana».
Ulteriori conferme del ruolo degli Agnelli e della Fiat nella lotta contro il PCI e nell’interferire nelle vicende di questo nostro martoriato paese, appaiono con estrema chiarezza nel libro Fratelli d’Italia di Ferruccio Pinotti (pagg. 340-341):
«Ma più di un analista ha parlato dei finanziamenti degli Agnelli al Gran Maestro Salvini e a esponenti della P2 di Gelli. Su denuncia dell’ingegner Siniscalchi, il procuratore della Repubblica di Firenze, Giulio Catelani, aprì un’inchiesta sulla destinazione di 3.000 assegni emessi dall’azienda torinese fra il 1971 e il 1976 per un valore di 15 miliardi. Maria Cantamessa, cassiera generale della Fiat, e Luciano Macchia, funzionario dell’Ifi (la finanziaria attraverso la quale gli Agnelli controllano la Fiat) – entrambi collegati a Edgardo Sogno – ammisero che i finanziamenti andarono alla massoneria, al fine di impedire l’unità sindacale».”
Visti gli esiti pericolosi, sono Interessanti i trascorsi e i propositi politici fatti dai componenti della IV internazionale e portati avanti, anche, dal trotskista Livio Maitan verso tutti i partiti comunisti (stalinisti in particolare di cui, però, il P.C.I. non faceva parte – ricordiamo, infatti, la via italiana al socialismo di tutt’altra taratura ma che li vide vittime dell’”entrismo” trotskista) per creare correnti nella sinistra, o nei sindacati come la CGIL come espresso a pagina 63.
Su quest’ultima fatto (l’entrismo) si invita a riflettere sia sul presente politico, con l’incessante funzione negativa nei vari partiti, movimenti, sindacati… che del fatto che quelle componenti trotskiste hanno portato gli USA ad avere, nientepopodimeno che, esponenti come Elliot Abrams, nei vari staff presidenziali tra i più guerrafondai (come quello di Richard Nixon) o in altre occasioni organizzare con gruppi trotskisti una “rivoluzione colorata” in Venezuela nel 2007 nel tentativo di cambiare il regime di Hugo Chavez.
Una storia antica quella dei gruppi trotskisti che risale agli anni della rivoluzione bolscevica del secolo scorso ma che non hanno mai dichiarato le ambiguità degli intenti sul proletariato come testimoniò anche la moglie di Lenin, Nadezhda K. Krupskaya. Infatti, non sono per nulla da scartare le notizie afferenti a Fred Zeller, Gran Maestro della Massoneria francese e il più stretto collaboratore di Lev Trotsky, dirigente politico, quest’ultimo, su cui vennero a galla documenti di incontri (per nulla occasionali) con gli imperialisti e nemici della Rivoluzione bolscevica.
I rapporti internazionali sono, per ogni partito, movimento o organizzazione, importanti e disvelano le prospettive e direzioni verso cui si vuole andare e quale sia la visione del mondo che sottende le scelte e cosa si vuole realizzare. Visto tutto ciò ci si sofferma sull’esperienza europea, per non divagare oltre, parlando del sostegno politico dato al sindacato polacco Solidarnosc di Lech Valesa. In soccorso di Solidarnosc, politicamente, si schierarono anche componenti di Avanguardia operaia attraverso quelli che erano nell’organizzazione sindacale CISL che, purtroppo, non si sono distinti per dare informazioni corrette su chi fossero e da chi fosse sostenuta, quella organizzazione in occidente ma, anzi, ne sposarono tutta la ragnatela, ragno compreso.
Su questa organizzazione sindacale polacca, Solidarnosc, si rimanda a due paginette del libro di Philip Willan, L’Italia dei poteri occulti, [3] in cui si scrive degli intrecci tra massoneria, Vaticano, faccendieri, banchieri e altre entità che di comunista ben poco avevano ed hanno:
“Chiaramente Calvi considerava qualunque informazione sui finanziamenti segreti del Vaticano a Solidarnosc della massima delicatezza, date le tensioni della Guerra Fredda. In un’intervista a « La Stampa » del 7 ottobre 1982, la vedova Calvi disse che Roberto stava pensando di rivelare il proprio ruolo nella consegna a Solidarnosc di cinquanta milioni di dollari. « Se tutta la storia venisse fuori, basterebbe a far scoppiare la terza guerra mondiale », le avrebbe confidato lui stesso.
Lo stesso argomento venne fuori in una conversazione tra Calvi e Carboni, registrata di nascosto da quest’ultimo a casa propria. Calvi: « Io gli ho detto sul muso a Marcinkus: “Guardi che se per caso risulta d qualche contabile che gira per New York che manda dei soldi di [papa] Wojtyla a Solidarnosc, qui fra un po’ non c’è pietra su pietra… [Riferendosi a Marcinkus] Voi prendete in affitto un palazzetto dietro il Pentagono, e poi… ». Carboni: « E scriveteci su “Città del Vaticano”? ». La scelta di Calvi della nuova sede del Vaticano – « dietro il Pentagono » – è un’eloquente allusione ai segreti della Guerra Fredda e ai coinvolgimenti imbarazzanti che gli sforzi anticomunisti del Vaticano avevano sviluppato.” (pag. 170)
Ma se si era parlato dei trotskisti nelle vicende venezuelane si deve fare attenzione a quest’altro importante passaggio del libro:
“[Calvi] Voleva discutere col Santo Padre i piani dei « nemici della Chiesa », e faceva presente di aver svolto un’intensa attività in America latina e nell’Europa dell’Est al servizio degli interessi politici del Vaticano. ”
[…]
“« Sono proprio molti coloro che vorrebbero sapere da me se ho fornito armi o altri mezzi ad alcuni regimi di Paesi del Sud America per aiutarli a combattere i nostri comuni nemici, e se ho fornito mezzi economici a Solidarnosc o anche armi e finanziamenti ad altre organizzazioni di Paesi dell’Est; ma io non mi faccio e non voglio ricattare; io ho sempre scelto la strada della coerenza e della lealtà anche a costo di gravi rischi! » .”
[…]
“Si ritiene che il vescovo Pavel Hnilica, capo di un’organizzazione caritatevole dedita a fornire assistenza ai cattolici residenti sotto l’opposizione comunista nell’Europa dell’Est, abbia pagato fra i tre e i sei milioni di dollari per i documenti della borsa di Calvi al fine di proteggere la reputazione della Chiesa da uno scandalo.” (pag. 171)
Parole profetiche quelle di Calvi(?!)… un Calvi, infatti, che venne ucciso da quello stesso mondo di persone di cui faceva parte.
Una sigla sindacale (Solidarnosc) che ebbe un ruolo determinante per squassare una serie di paesi dell’Est già fortemente compromessi dalle ingerenze pianificate da tempo dall’Occidente e che arrivarono, con la P2, a ingessare le vertenze sindacali in Italia con il Piano di Rinascita. Viene citata, come artefice anticomunista in questo piano gelliano, la Cisl che, stranamente, diventa coincidente con la richiesta dell’allora segretario di Ao, Oskian Vanghelis (Aurelio Campi), di entrarvi e “spostarla più a sinistra” in quanto meno rigida rispetto la CGIL. Operazione finita nell’esatto contrario visti gli adeguamenti come detto sulla vicenda anticomunista di Solidarnosc degli iscritti ad Ao.
Ora, però, non si vuole andare oltre (anche se molto vi sarebbe ancora da dire) anche per non addossare responsabilità ulteriori vista la candida innocenza, invece, di chi vi aveva militato decisamente in buona fede e con aspirazioni ben diverse da molti discutibili dirigenti, ma bisogna essere perfettamente consapevoli che il capitale non demorde mai dallo spogliare i buoni propositi degli oppressi come ben rilevato nel libro di Aldo Giannuli, Il Noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro (ed. Tropea) [4] che a pagina 47 illustra della determinazione anche nel regime fascista delle manovre destabilizzanti della borghesia con il solo fine di impedire lo sviluppo della democrazia e del comunismo come avevano provato a fare i compagni/e del P.C.I. da Gramsci/Togliatti a Berlinguer/Natta.
Note