di Francesco Galofaro, Università IULM di Milano
Il 27 maggio il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha lanciato ufficialmente la controffensiva ucraina con i consueti tweet trionfali. Il giorno precedente, l’Ucraina aveva definito irricevibile la proposta cinese di pace, perché includerebbe una rinuncia a parte dei territori rivendicati dai russi. Si è trattata di una “rivelazione” del Wall Street Journal che alcuni giornalisti nostrani (esempio: Giulia Berardelli sull’Huffington post) si sono affrettati a spacciare per metafisica; la realtà è diversa. Non solo l’inviato speciale del governo cinese per gli Affari eurasiatici, Li Hui, ma anche fonti UE e perfino il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba hanno smentito che la proposta cinese contenesse richieste di lasciare territori ucraini alla Russia (il che, va detto, è uno spiraglio per una ripresa del dialogo, in futuro). Dunque, per il momento Washington e Kiev perseguono la soluzione militare e usano i media per screditare ogni alternativa politica.
Nient’altro che una passerella mediatica cinica era stata la visita di Zelensky al Papa, lo scorso 14 maggio. “Non abbiamo bisogno di mediatori”, aveva dichiarato in quell’occasione il presidente. Il tour di Zelensky è proseguito in Germania e in Francia, dove capi di stato sciovinisti e inqualificabili hanno scattato foto ricordo sotto grossi carri armati sorridendo mentre il presidente ucraino chiedeva forniture di caccia. Anche al summit della Lega araba, il 19 maggio, Zelensky cercava nuovi alleati, non mediatori. Ha incassato dall’alleato americano gli F-16, che “non saranno usati per andare in profondità nel territorio russo”. Ha definito questo un momento storico per la sicurezza globale. Alla luce dei recenti attacchi di droni sul suolo russo, queste dichiarazioni suonano terribilmente sinistre.
A proposito di passerelle, quest’anno la marcia Perugia-Assisi per la pace (10.000 partecipanti) è stata disertata dai politici. C’erano solo Fratoianni e sua moglie, piuttosto scocciati perché i colleghi non li avevano avvertiti. L’anno scorso Letta ebbe la faccia di presentarsi, probabilmente perché il conflitto lo aveva preso in un “contropiede mentale”. Pacifisti a corrente alternata, guide cieche, i nostri politici sono per la pace in tempo di pace e per la guerra in tempo di guerra.
La propaganda d’ogni tempo e d’ogni parte dipinge la guerra come un’attività morale che alcuni paladini della giustizia esercitano contro le forze del male, e che si riassume nel nobile profilo del cavaliere templare. Monaci, che vivono pregando e praticando un rigoroso ascetismo nelle proprie celle fino al momento di afferrare la spada e di fare a pezzi l’infedele, il pagano, l’anticristo. La triste verità è che non si può andare in guerra senza che il fango sporchi i nostri candidi mantelli. Allo stesso modo, gli ucraini vengono rappresentati, e in parte si autorappresentano, come i depositari di una superiorità morale rispetto agli attaccanti russi. Ma è morale rifiutare il dialogo sulla pace, quando se ne prospetta la possibilità? Il mero calcolo utilitaristico circa la possibilità di avvantaggiarsi sul campo ha accomunato russi e ucraini in diverse fasi del conflitto. Zelensky ha giurato e spergiurato ai propri alleati che ci sarebbe stata una controffensiva. Ora non potrebbe tirarsi indietro, neppure se fosse consapevole dell’inutilità di nuovi massacri.
A questo proposito, a chi pensa che la differenza tra aggressore e aggredito giustifichi qualunque violenza, rispondo con il catechismo della Chiesa cattolica: perfino la legittima difesa con la forza militare, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. In particolare, devono esserci fondate condizioni di successo (non è morale inviare le truppe al massacro nel nome dell’ideale; non è morale la difesa a oltranza, fino all’autodistruzione volontaria); inoltre, il ricorso alle armi non deve provocare mali e disordini più gravi del male da eliminare: “nella valutazione di questa condizione – scrive il catechismo – ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione”. Trovo queste due idee per nulla legate a un punto di vista confessionale; mi paiono al contrario piuttosto ragionevoli, se proprio non vogliamo definirle razionali. Non si tratta dunque di contrapporre alla guerra un pacifismo integralista e dogmatico, il quale esiste solo nelle caricature dei guerrafondai, ma un banale aforisma alla Massimo Catalano: la pace, di solito, è meglio dell’alternativa.
Se proprio ci fosse bisogno di dimostrare che in guerra non c’è una posizione di superiorità morale, anche gli attacchi degli ucraini a obiettivi civili russi delle ultime ore lo confermerebbero. Qualcuno è forse tentato di pensare che, in fondo, il crudele Putin se la sia cercata; ma l’idea stessa di un “diritto alla vendetta” ripugna alla nostra coscienza giuridica: se in Ucraina muoiono dei bambini, è giusto e morale ammazzarne alcuni anche in Russia, per pareggiare i conti delle piccole vittime? Le ragioni delle provocazioni ucraine non vanno cercate nell’ambito della morale; costituiscono un tentativo deliberato di causare una reazione russa, che porti a propria volta a un maggiore coinvolgimento di una parte degli “occidentali”. Un disegno di destabilizzazione irresponsabile, dal momento che l’alternativa esiste ed è la mediazione, il dialogo, finalizzato al cessate il fuoco.
La Cina è nella posizione adeguata per mediare tra Ucraina e Russia perché ha molto da offrire a entrambi i contendenti in termini di relazioni politiche, economiche e commerciali per costruire un futuro che garantisca nella regione la sicurezza di entrambi i contendenti. Sfortunatamente, come prova il maldestro tentativo del Wall Street Journal di far fallire il dialogo, il futuro possibile in cui la Cina si fa potenza globale in grado di garantire la pace e la sicurezza è lo scenario peggiore per gli USA. Non è mai troppo tardi per dare la parola ai costruttori di pace. Per questo motivo anche in Italia è sempre più urgente firmare per il referendum contro l’invio delle armi in Ucraina.