La prima conseguenza dei massacri israeliani a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Siria, in Iraq e in Yemen non è quella che ci si aspettava. I criminali al potere a Tel Aviv continuano le loro conquiste con le armi, che sempre ricevono. Il mutamento è avvenuto innanzitutto nello stesso Israele e nella diaspora ebraica, costringendo le FDI ad accettare un cessate-il-fuoco non-scritto in Libano, pur beneficiando al tempo stesso dell’aiuto di Washington per trasferire i combattimenti in Siria. I fronti ucraino e libanese si sono fusi, trasferendosi in Siria.
di Thierry Meyssan
Perché non vediamo i massacri in Medio Oriente?
Negli ultimi anni si è smantellato il movimento pacifista israeliano; si è alimentata la confusione tra antisemitismo e antisionismo; infine si è propagata la narrazione dello scontro di civiltà. Questi tre errori ci impediscono di vedere e comprendere quanto accade in Medio Oriente. Il movimento per la pace di Nahum Goldmann, che fu presidente dell’Organizzazione sionista mondiale, non esiste più. Voleva fare di Israele il centro spirituale e morale di tutti gli ebrei, uno Stato neutrale sul modello svizzero, con garanzie di sicurezza internazionali e una presenza internazionale simbolica permanente. Goldmann denunciò il processo ad Adolf Eichmann, celebrato a Gerusalemme e non da un tribunale internazionale (il che consentì ai sionisti revisionisti di nascondere i loro rapporti con il nazista); negoziò una giusta e duratura coesistenza pacifica con il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser e con il presidente dell’Organizzazione per la Liberazione delle Palestina, Yasser Arafat. Eppure in Israele fu osteggiato e persino arrestato.
Nel 1957 lo storico Bernard Lewis, già consigliere di Benjamin Netanyahu all’epoca ambasciatore di Israele all’Onu, inventò la strategia dello «Scontro di civiltà» per conto del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, di cui era membro. L’intento era presentare come inevitabile lo scontro tra la civiltà occidentale e quella islamica, poi con quella cinese e così via, per giustificare la sequela di guerre occidentali. Il suo assistente, Samuel Huntington, ex collaboratore dei servizi segreti del Sudafrica dell’apartheid, rese popolare questa strategia nel 1993, attribuendole dignità accademica. Per questa opera propagandistica Huntington venne pagato dalla Cia. Sebbene il suo lavoro sia un guazzabuglio intellettuale che non regge all’analisi, si è insinuato nelle nostre menti. Questa stupida teoria viene oggi utilizzata da Netanyahu per giustificare le sue guerre su «sette fronti»: a Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Siria, in Iraq, in Iran e nello Yemen. Eppure, a settembre 2014, lo stesso Netanyahu si fece fotografare al Ziv Medical Center di Zefat mentre visitava 500 ufficiali di Al Qaeda ospedalizzati in Israele [1]: si può andare d’accordo con gli jihadisti quando massacrano civili in Siria, ma non si può cercare un’intesa con i palestinesi che chiedono uno Stato.
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Natan Sharansky [2], che fu vice-primo ministro del generale Ariel Sharon, ha elaborato la narrativa secondo cui è il popolo palestinese in quanto tale, e non alcuni leader israeliani, a rifiutare la pace. Poi ha inventato la favola secondo cui i rivoluzionari iraniani vogliono gettare a mare tutti gli ebrei israeliani (quando ci sono ebrei che vivono tranquillamente in Iran e sono rappresentati in parlamento). Infine ha organizzato campagne mediatiche internazionali per creare confusione tra nazionalismo, sionismo e sionismo revisionista, nonché per mettere sullo stesso piano antisemitismo e antisionismo (a rigor di logica, il quotidiano israeliano Haaretz dovrebbe essere considerato antisemita).
Nel 2002 Sharansky scrisse un libro a due mani con Ron Dermer, La causa della democrazia, per assicurarci che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente. Dermer divenne poi ambasciatore di Israele negli Stati Uniti (2013-2021) e successivamente ministro degli Affari strategici (2013-a oggi), grazie a questa carica organizza la lotta contro il movimento BDS – Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni per i diritti del popolo palestinese – in tutto il mondo. Sharansky oggi assolve con discrezione al proprio compito negli Stati Uniti e in Ucraina, dove è nato, attraverso l’Insistut for the Study of Global Antisemitism and Policy (ISGASP, Istituto per lo studio dell’antisemitismo globale e della politica), organizzazione statunitense generosamente finanziata dal ministero diretto da Dermer. Per citare un esempio, l’ISGASP ha organizzato le audizioni al Congresso delle rettrici di tre università americane per costringerle a reprimere per antisemitismo le manifestazioni contro i massacri a Gaza.
Va da sé che Lewis, Huntington, Sharansky e Dermer non sono sionisti, ma sionisti revisionisti.
Ridistribuzione delle carte in Medio Oriente
In questo clima di menzogne generalizzate, le posizioni di ogni comunità del Medio Oriente stanno cambiando. È la conseguenza del tentativo di Netanyahu di conquistare il nord della Striscia di Gaza e il sud del Libano. Tutti i protagonisti politici, compresi gli ebrei israeliani, si sono progressivamente resi conto che le operazioni militari israeliane non avevano nulla a che fare con gli obiettivi dichiarati: la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e il ritorno degli israeliani del nord di Israele alle loro case. La coalizione di Netanyahu persegue il progetto coloniale di Vladimir Jabotinsky (1880-1940): la creazione di un impero del Levante, dal Nilo all’Eufrate. Non si tratta del ripristino dell’antico regno di Gerusalemme, che comprendeva solo la Città Santa e gl’immediati sobborghi, ma dell’antico impero assiro, così come il protettore di Jabotinsky, Benito Mussolini, voleva ristabilire l’antico Impero Romano.
Rispondere a una nuova ondata fascista di conquista del Levante è stato il senso sia delle parole del presidente siriano Bashar al-Assad al vertice congiunto della Lega araba e dell’Organizzazione delle Cooperazione Islamica a Riad, sia di quelle del direttore del quotidiano Haaretz, Amos Shocken, alla conferenza Israel After October 7th: Allied or Alone? (Israele dopo il 7 ottobre: con gli Alleati o da soli?) a Londra, il 27 novembre.
Tutti i protagonisti concordano con questa interpretazione, anche se la maggior parte di loro evita di fare riferimento ai legami di Jabotinsky e discepoli con fascisti e nazisti. Tuttavia gli occidentali insistono a rifiutarsi di aprire gli occhi e trattano questo conflitto come se non fosse politico ma etnico, come se opponesse ebrei ad arabi, o addirittura opponesse il popolo ebraico al popolo arabo.
Tre elementi giocano un ruolo particolare nel cambiamento in atto:
• La vittoria del jacksoniano Donald Trump negli Stati Uniti sulla coalizione straussiana di Kamala Harris. Il primo intende sostituire le guerre militari con guerre commerciali, la seconda vuole invece provocare l’Armageddon.
• Le Forze di Difesa Israeliane (FDI), che hanno il dominio incontestabile sullo spazio aereo dei vicini, si dimostrano incapaci di ottenere la benché minima vittoria sul terreno. Non hanno disciplina e molti dei loro uomini si comportano da teppisti. Con la sconfitta degli straussiani negli Stati Uniti l’esercito israeliano non otterrà più grandi quantitativi di armi e già ora, probabilmente, gli scarseggiano alcuni armamenti. Infine, diverse unità di combattimento, dopo aver assistito a crimini commessi da altre, sono ora sull’orlo della ribellione.
• La diaspora ebraica, che finora ha sostenuto Netanyahu senza battere ciglio, comincia finalmente a distinguere tra il sostegno agli ebrei israeliani e i crimini di chi li governa. Dopo la messa sotto accusa di Netanyahu da parte della Corte penale internazionale il 21 novembre, la solidarietà tra ebrei, consolidata da secoli di persecuzione da parte dei goyim, si è incrinata. Molte personalità ebraiche, finora silenziose, prendono pubblicamente le distanze dai crimini commessi sui «sette fronti» e contro le Nazioni Unite.
L’Iran ha abbandonato la strategia dell’Asse della Resistenza del generale Qassem Soleimani, secondo cui Teheran aiuta e coordina tutti i gruppi armati indipendenti che combattono contro la colonizzazione della regione. L’Iran si è infatti rifiutato di aiutare il Libano durante l’invasione israeliana e una fazione al potere a Teheran ha trasmesso a Israele le coordinate dei più importanti capi militari di Hezbollah perché fossero assassinati. Nel frattempo Teheran e Tel Aviv hanno comunque inscenato il loro antagonismo, affermando entrambi di essere pronte per la battaglia decisiva. Tuttavia i due attacchi iraniani (Operazione promessa onesta del 13 aprile e del 1° ottobre) e i due attacchi israeliani (del 19 aprile e del 26 ottobre) hanno causato pochissime vittime, sebbene i militari di entrambe le parti ne abbiano approfittato per testare le difese avversarie [3]. È ormai evidente che esiste un accordo segreto tra Washington, Teheran e Tel Aviv.
Teheran ha inoltre rinnovato i legami con i curdi iracheni. A settembre il presidente Massoud Pezeshkian si è recato in Iraq per incontrare non solo la tribù Talabani, ma anche i Barzani (filo-israeliani).
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In Iraq, l’ayatollah Ali al-Sistani, leader spirituale della comunità sciita, ha lanciato un messaggio confuso, dimostrando di dubitare della futura condotta della Repubblica islamica.
In Yemen, Ansar Allah, già convinto dell’inversione di rotta iraniana, ha preso provvedimenti per proteggere il proprio leader, Abdul-Malik al-Houthi, dal destino riservato ad Hassan Nasrallah.
In Turchia, Recep Tayyip Erdogan sta esplorando, come al solito, le varie opportunità che gli si offrono, senza impegnarsi né qui né là. Il presidente turco, che si stava lentamente riavvicinando all’omologo siriano, ha autorizzato la fornitura di armi agli jihadisti d’Idlib, affinché possano riprendere la lotta contro la Repubblica Araba siriana. Allo stesso tempo ha inviato emissari a parlare con Abdullah Ocalan, fondatore del PKK, in carcere dal 1999. A prescindere dai colloqui, è poco probabile che Apo sostenga la Nato e Israele, come oggi fa il movimento da lui fondato.
Il voltafaccia dell’Iran e il doppio gioco della Turchia hanno repentinamente messo fine all’euforia del vertice dei BRICS a Kazan di un mese fa.
In Siria, Bashar al-Assad ha immediatamente sostenuto i libanesi e l’alleato Hezbollah, abbandonati dall’Iran. Il Libano è storicamente un governatorato della Siria, dunque, dal punto di vista del presidente siriano, Damasco è responsabile della sicurezza dei libanesi. Per questo ha dato asilo a centinaia di migliaia di rifugiati in fuga dai bombardamenti israeliani e ha trasferito a Hezbollah le poche armi di cui disponeva.
In risposta, le FDI hanno distrutto tutte le strade e i ponti che davano accesso al Libano e poi, con la Nato, hanno scatenato gli jihadisti di Idlib su Aleppo, conquistandone e occupandone gran parte. Aleppo era difesa dai Guardiani della rivoluzione iraniani, che si sono ritirati senza combattere.
Con grande sorpresa di tutti, gli jihadisti di Idlib oggi dispongono di armi di ultimo grido, pagate dal Qatar, nonché di nugoli di droni manovrati da operatori ucraini.
Le costanti dei sionisti revisionisti
Una costante del comportamento dei sionisti revisionisti è distruggere le prove materiali delle loro menzogne. Ad esempio, Netanyahu ha fatto alterare gli orari sui resoconti delle riunioni del 7 ottobre 2023. Sperava che questo gli avrebbe reso più facile negare di aver contribuito alla realizzazione dell’attacco contro i suoi stessi concittadini.
Gli israeliani sanno che Netanyahu ha aiutato Hamas sin dalla sua prima nomina a primo ministro, nel 2009, e fino al 7 ottobre 2023, sostenendo che la sua strategia era favorire Hamas per lottare contro l’OLP di Yasser Arafat. La sua prima decisione ufficiale fu di annullare la richiesta di estradizione di Moussa Abou Marzouk, il più alto dirigente di Hamas dell’epoca, in prigione negli Stati Uniti. Altri eventi hanno dimostrato che il suo obiettivo non era distruggere l’OLP, ma impedire la creazione di uno Stato palestinese. Ad esempio, nel 2018, quando l’Autorità Palestinese ha smesso di pagare i funzionari di Gaza, concluse un accordo con Yahya Sinwar, il capo militare di Hamas a Gaza, all’epoca in prigione in Israele. In un primo tempo ha elargito denaro ad Hamas segretamente, poi lo ha fatto ufficialmente, tramite il Qatar. In quattro anni ha versato ad Hamas 2,5 miliardi di dollari per consentirgli di costruire la rete di tunnel e di armarsi.
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In questo modo Netanyahu e Hamas hanno ottenuto il sostegno dei servizi segreti anglosassoni, fedeli alla strategia enunciata nel 1916 da lord Herbert Samuel, il cui figlio Edwin fu compagno di Jabotinsky: fare in modo che né lo Stato ebraico né il futuro Stato palestinese potessero mai provvedere autonomamente alla propria sicurezza.
Un’altra costante del comportamento dei sionisti è la distruzione delle prove archeologiche della loro impostura. Così, sempre nel 2009, il secondo provvedimento del neo-primo ministro Netanyahu fu scavare un tunnel sotto il Monte del Tempio per avere la possibilità di far saltare in aria la moschea di Al-Aqsa. Negli ultimi mesi ha distrutto tutte le vestigia archeologiche del sud del Libano, sia crociate che ottomane, e ha persino tentato di distruggere i templi di Baalbek, il più grande santuario dell’Impero Romano. Azioni che si pongono in continuità con la distruzione del sito di Babilonia durante la Guerra del Golfo e delle vestigia di Aleppo e Palmira: bisogna fare di tutto per rivestire di legittimità la rivendicazione del territorio che va dal Nilo all’Eufrate.
3 dicembre 2024
[1] « Plus de 500 jihadistes soignés au Ziv Medical Centre », Réseau Voltaire, 22 novembre 2015.
[2] “Natan Sharansky ideologo della democratizzazione forzata”, Rete Voltaire, 18 agosto 2005.
[3] “La gara al rialzo Israele-Iran maschera le nuove alleanze in Medio Oriente”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 5 novembre 2024.