di Luigi Grimaldi
Parigi brucia. E la puzza di bruciato si sente come mai forse prima. Non è la puzza della polvere da sparo dei terroristi dell’ISIS quella che sta appestando buona parte del mondo, dalla vecchia Europa al Medio Oriente. E non è solo quella delle tante contraddizioni emerse grazie allo sconsiderato comportamento e dalle incredibili leggerezze commesse dal commando stragista entrato in azione il 7 gennaio. Già perché ora sappiamo che l’obiettivo dei tre killer era l’asilo Ebraico di Parigi. Un piano andato in fumo “solo” grazie all’incredibile smarrimento della carta d’identità di uno dei terroristi dopo l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo. No, non è solo questa la puzza di bruciato. L’odore di bruciato esce dalle finestre delle cancellerie di mezzo mondo e testimonia che qualcosa senza precedenti sta accadendo sotto i nostri occhi.
Dietro l’apparente unanimità dei governi e degli stati, manifestata durante la marcia parigina contro il terrorismo di domenica scorsa, si agita uno scontro politico senza precedenti che non promette niente di buono.
I protagonisti di questa vicenda sono molti, tra quelli scontati e quelli del tutto imprevisti. Il commando dei terroristi. Il vice capo regionale della Polizia criminale (SRPJ) di Limoges Helric Fredoun, il suo vice, Christophe Rivieccio. Ci sono poi il Presidente Francese Hollande e quello Israeliano Netanyahu. Ci sono anche Papa Bergoglio e il presidente Usa. Sullo sfondo la questione Palestinese e la presunta incapacità dei servizi segreti francesi di prevenire azioni ampiamente pronosticate da altri servizi segreti stranieri. Botte da orbi insomma.
Ma andiamo con ordine.
Ai primi di dicembre l’Assemblea Nazionale, la camera “bassa” del Parlamento francese , ha votato perché il governo riconosca ufficialmente lo Stato di Palestina. Israele protesta mentre l’autorità nazionale Palestinese esprime la propria gratitudine e soddisfazione.
Il 7 gennaio si compie il tragico assalto del terrorismo islamista a Charlie Hebdo. La Francia è colpita al cuore.
Tra le prime reazioni quella di Papa Bergoglio.
Si proprio questo Papa animato da spirito francescano dice subito qualcosa di ruvido: parole dure e pesanti, ma per nulla scontate, che anticipano quanto diverrà più chiaro nei giorni successivi.
Papa Francesco dice, secco secco, l‘8 gennaio, qualcosa che avrebbe dovuto creare un terremoto politico, essere classificato come un evento senza precedenti e che invece passa del tutto sotto silenzio senza che un solo commento sottolinei l’irritualità e la straordinarietà del caso.
Bergoglio, all’indomani della strage di Parigi è chiarissimo: “L’attentato di ieri ci fa pensare a tanta crudeltà, crudeltà umana; a tanto terrorismo, sia isolato sia di Stato”.Terrorismo di stato? Il messaggio è chiaro e certamente arriva a chi di competenza.
A chi si riferiva il Papa? Quale terrorismo di stato? Con certezza non lo sapremo mai. Sappiamo però che la notte tra il 7 e l’ 8 gennaio a Limoges si suicida il vice direttore regionale della polizia criminale in quelle ore impegnato nelle indagini sulla strage di Parigi. Si spara con la propria pistola di ordinanza nel suo ufficio, nel commissariato di Limoges.
Poco più di un anno prima, il 17 novembre 2013, lo stesso Fredoun aveva scoperto, in quegli stessi uffici, il cadavere del suo vice, amico e coetaneo, Christophe Rivieccio, anch’esso suicidatosi con la propria pistola. Rivieccio lascia una lettera in cui imputa la propria decisione alle eccessive pressioni gerarchiche.
Depressione? Stress? Troppo lavoro? I suicidi nella polizia francese sono una costante. Nel 2013 sono una trentina: ad aprile addirittura 8 nei primi 17 giorni del mese.
Ma a Limoges, a cavallo dei due suicidi nel locale comando della polizia, e precisamente il 21 novembre, quando mancano appena 47 giorni all’assalto di Parigi, è accaduto qualcosa di veramente insolito. Scrive Liberation:
“ISB? DGSE? Mossad? Il mistero sul servizio di appartenenza di quattro presunti “agenti dei servizi segreti” smascherati in circostanze incredibili da un albergo, il 21 novembre, il giorno di una partita di basket internazionale tra Limoges e Maccabi Tel Aviv.”
Giovedi 20 Novembere, sera, a Limoges (Haute-Vienne), c’è un incontro ad alta tensione. Non solo da un punto di vista sportivo. Nel corso della serata di basket Eurolega il CSP riceve il Maccabi di Tel Aviv, il club principale di Israele. A Limoges, la polizia è impiegata per gestire i movimento di questa squadra e dei suoi sostenitori. La brigata anticrimine della città è stata chiamata a tutelare i giocatori ospitati in una grande catena di hotel, soprattutto quando escono a pranzo in un fast food nelle vicinanze. Il deterioramento della situazione in Medio Oriente dà particolare risalto all’occasione. Si temono incidenti, ma tutto è tranquillo fino alla sera …
Intanto, in un altro hotel, in centro (che si trova vicino alla stazione ferroviaria), il tono sale tra quattro clienti e il gestore. L’usanza dell’albergo impone loro di rendere la chiave della stanza alla reception. Il quartetto si rifiuta e se ne va, nonostante gli avvertimenti.
La mattina dopo al check-in di questi stessi clienti, la tensione non si è placata. Così il manager della reception prende al volo l’occasione, rinchiude i quattro uomini nella sala d’ingresso dell’Hotel … e chiama la Polizia dicendo che la situazione è grave e di inviare una pattuglia. Quando i funzionari di polizia di Limoges verificano l’identità dei quattro accade qualcosa di dirompente, cadono dalle nuvole: i quattro esibiscono una carta di polizia. E questi colleghi misteriosi richiedono la massima discrezione: arrivano, si dice, appositamente da Parigi per una missione di monitoraggio che deve rimanere riservata. Se hanno trattenuto la chiave delle loro stanze, hanno detto in sostanza, era solo per mantenere la discrezione avendo ricoverato nelle camere attrezzature di polizia, tra cui luci lampeggianti, temendo furti nelle loro auto”.
Ma evidentemente secondo Liberation le spiegazioni dei quattro misteriosi 007 non sono affatto convincenti. Così, come diciamo noi, il racconto del modo in cui sono stati smascherati è davvero poco credibile. Tra Limoges e Parigi, i telefoni diventano rapidamente incandescenti.
Il rapporto sull’incidente alla fine approda al massimo livello del Ministero degli Interni, nel gabinetto di Bernard Cazeneuve. Ma da qui in poi, nessuna spiegazione filtra più all’esterno ad esclusione di una smentita categorica della Direzione per la Sicurezza Nazionale (RPS), chiamata in causa alcuni giorni dopo da L’Express: quei quattro non erano agenti della Sicurezza Nazionale.
E allora chi erano? Intervistato da L’Express, l’hotel manifesta sorpresa e una totale amnesia.
Il caso sembra chiuso, almeno sino all’inspiegabile suicidio del vice direttore della Polizia regionale di Limoges la notte tra il 7 e l’8 gennaio mentre è impegnato nelle indagini sulla strage di Parigi messa in atto da miliziani dell’ISIS (ben conosciuti dai servizi di sicurezza) quella stessa mattina.
Si arriva così alla marcia organizzata domenica scorsa dal presidente Hollande. Ci sono quasi cinquanta paesi rappresentati da altrettanti capi di governo. Ma il protocollo diplomatico di questa eccezionale occasione (forse senza precedenti storici) è apparentemente bizzarro:
manca una rappresentanza qualificata del governo USA. Il premier Israeliano non è gradito. Neppure compare una rappresentanza religiosa cattolica all’altezza della situazione.
«La Francia non ha ufficialmente spiegato perché non voleva Netanyahu», spiega nel frattempo una fonte del governo alla Radio militare israeliana.
Ma lui, Netanyahu, nonostante il mancato invito, fa capire che a Parigi ci vuole andare a tutti i costi. Fa il diavolo a quattro. E così sabato, verso l’ora di pranzo, Hollande è quasi «costretto» a chiamare «Bibi» nella capitale francese. «Grazie, presidente, ma è meglio se sto a Gerusalemme, anche per ragioni di sicurezza», gli risponde a sorpresa Netanyahu. Caso chiuso?
Niente affatto e il protocollo da bizzarro diventa schizofrenico. Alla fine BIBI si invita da solo e allora bisogna che ci sia anche Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità nazionale palestinese. E così sarà, tanto per chiarire che il cappello politico a tutta questa vicenda è ben legato, più che alla guerra al Califfato dell’ISIS, a questioni di rapporti tra l’Europa ed Israele in relazione alla questione Palestinese. Anzi, il modo plateale in cui viene gestita questa frizione clamorosa (data la tragica occasione) fa pensare che vi sia una relazione tra tutte e tre le questioni: Palestina, Isis e strage di Parigi.
Ma il premier Israeliano (altro evento senza precedenti) approfitta dell’occasione per un ulteriore colpo basso: durante la visita alla grande Sinagoga di Parigi, davanti ad un Hollande attonito, invita gli ebrei francesi ad abbandonare il Paese e a trasferirsi in Israele.
Finisce qui? No.
Passano poche ore e la televisione Israeliana lancia l’allarme. Fonti dell’intelligence americana avrebbero rivelato (alla TV israeliana e solo a quella) che è in preparazione un nuovo attacco. Questa volta contro il Vaticano, a Roma.
Accidenti.
Sembra proprio, per dirla con le parole di papa Bergoglio che ci sia da aspettarsi di nuovo “tanta crudeltà, crudeltà umana; e tanto terrorismo, sia isolato sia di Stato”.