di Marco Santopadre
Che la competizione globale tra potenze mondiali e regionali stia vivendo una pericolosa escalation anche dal punto di vista militare lo rivela, se ce ne fosse bisogno, l’ultima edizione – la 52esima – dell’Annuario presentato dal Sipri il 14 giugno scorso. Il rapporto dell’International Peace Research Institute di Stoccolma, che valuta l’andamento della produzione e della vendita degli armamenti, degli eventuali processi di disarmo e in generale lo stato della sicurezza internazionale, registra infatti un allarme – l’ennesimo – sul fronte questa volta degli ordigni nucleari.
Se infatti il numero complessivo delle testate atomiche esistenti nel pianeta viene valutato dall’istituto svedese in leggera diminuzione, preoccupa invece l’aumento di quelle già schierate o rapidamente dispiegabili – e quindi eventualmente utilizzabili.
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Venendo ai numeri, i nove stati che possiedono armi nucleari – Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Repubblica Democratica Popolare di Corea – all’inizio di quest’anno possedevano globalmente circa 13.080 ordigni nucleari, contro i circa 13.400 dell’anno precedente.
Queste cifre, la cui diminuzione lascia ben sperare, includono però anche un certo numero di testate nucleari disarmate e in via di smantellamento. Escluse queste dal totale, si nota che l’arsenale globale attivo è passato nell’ultimo anno da 9.380 a 9.620. Inoltre, secondo il rapporto del Sipri, il numero di ordigni schierabili è aumentato contemporaneamente da 3.720 a 3.825, cioè di circa 100 unità.
Come se non bastasse, «circa 2000, quasi tutte appartenenti alla Russia o agli Stati Uniti, sono state mantenuti in uno stato di massima allerta operativa», pronte cioè ad essere utilizzate in tempi molto rapidi.
Di fatto, sia Washington sia Mosca – gli Stati Uniti e la Federazione Russa posseggono complessivamente più del 90% delle testate attualmente esistenti sul pianeta – hanno avuto nell’ultimo anno circa 50 ordigni atomici aggiuntivi in dispiegamento operativo rispetto a quanto era avvenuto nel 2020, pur continuando a smantellare quelli ritirati.
Stando al rapporto del Sipri, la Russia avrebbe anche aumentato la propria scorta militare complessiva di circa 180 testate, soprattutto grazie al dispiegamento di un numero maggiore di missili balistici intercontinentali terrestri multi-testata e lanciati dal mare.
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Anche se gli arsenali nucleari strategici dispiegati da entrambi i paesi sono rimasti comunque entro i limiti stabiliti dal “Trattato sulle misure per l’ulteriore riduzione e limitazione delle armi strategiche offensiva” (il “Nuovo Start” del 2010), il numero complessivo delle scorte di ordigni atomici in possesso delle due superpotenze sembra aver ricominciato a salire. «Il fatto che la tendenza al ribasso che aveva caratterizzato gli arsenali nucleari a livello mondiale dopo la fine della guerra fredda si sia interrotta costituisce un segnale preoccupante» ha commentato Hans M. Kristensen, tra i responsabili del programma di disarmo nucleare, controllo degli armamenti e non proliferazione del Sipri e direttore del progetto di informazione nucleare della Federazione degli Scienziati Americani.
«L’estensione dell’ultimo minuto del New Start da parte di Russia e Stati Uniti nel febbraio di quest’anno è stata un sollievo, ma le prospettive per un ulteriore controllo bilaterale degli armamenti nucleari tra le superpotenze nucleari rimangono scarse» ha aggiunto Kristensen, il quale ha sottolineato che entrambi i colossi nucleari hanno sviluppato estesi e costosi programmi diretti alla sostituzione e alla modernizzazione delle testate nucleari in loro possesso, dei sistemi di lancio e degli impianti di produzione e stoccaggio. Il che indica che «sia la Russia sia gli Stati Uniti stiano aumentando l’importanza che attribuiscono alle armi nucleari nelle loro strategie di sicurezza nazionale». Insomma, seppure il numero delle testate atomiche a disposizione di Mosca e Washington dovesse continuare a diminuire anche nei prossimi anni, il loro potenziale distruttivo potrebbe mantenersi inalterato se non crescere. Del resto secondo i limiti fissati nel trattato appena rinnovato, Stati Uniti e Federazione Russa possono schierare fino a 1.550 ordigni nucleari strategici ciascuna, più un numero consistente di armi atomiche tattiche.
Segnali altrettanto preoccupanti provengono dalle potenze nucleari minori che sembrano diventare sempre più agguerrite.
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Ad esempio la Gran Bretagna, con il suo progetto di “Revisione integrata della sicurezza, della difesa, dello sviluppo e della politica estera” pubblicato nel marzo scorso, ha ribaltato la politica di riduzione dell’arsenale nucleare fin qui seguito da Londra ed ha alzato il tetto previsto di testate da 180 a 260. «Riconoscendo l’evoluzione dell’ambiente di sicurezza, incluso lo sviluppo del range di minacce tecnologiche e dottrinali, non è più possibile mantenere l’impegno della riduzione a 180 testate» recita il documento alla base della strategia della nuova “Global Britain” post-Brexit di Boris Johnson che individua soprattutto nella Russia, e in parte nella Cina, i nemici da contrastare.
D’altronde se la fine della Guerra Fredda aveva dato vita a una fase di presunta distensione sul piano internazionale, dominata in realtà da un marcato predominio statunitense su tutto il globo, l‘attuale condizione di competizione globale ha notevolmente e rapidamente ampliato sia il numero degli attori impegnati sullo scacchiere internazionale sia quello dei conflitti in atto. Di qui il ritorno all’utilizzo della dissuasione atomica all’interno delle strategie di sicurezza e di affermazione a livello globale di varie potenze mondiali e regionali.
In Asia, sottolinea il Sipri, anche Cina, India e Pakistan sembrano avviati a espandere e modernizzare i loro arsenali nucleari. In particolare Pechino disporrebbe ora, secondo le stime dell’istituto svedese, di 350 testate atomiche, 30 in più rispetto allo scorso anno e 60 in più rispetto al 2019. La Repubblica Popolare non ha aderito al trattato “New Start” contravvenendo alla richiesta dell’allora presidente statunitense Donald Trump, chiarendo di avere intenzione di espandere il proprio arsenale fino ad eguagliare quello detenuto dalle due tradizionali superpotenze nucleari. Allo stesso tempo, intervenendo alla Conferenza dell’Onu sul disarmo, l’11 giugno scorso il ministro cinese degli Esteri Wang Yi è tornato a chiedere agli Stati Uniti e alla Russia di ridurre sensibilmente le loro dotazioni nucleari.
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Anche l’India avrebbe accresciuto il proprio arsenale atomico, arrivando a 156 ordigni contro i 150 del 2020, così come il suo storico rivale pakistano passato da 160 a 165.
Il Sipri stima inoltre, sulla base del numero di testate che Pyongyang potrebbe realizzare utilizzando il materiale fissile che ha finora prodotto, che la Repubblica Popolare Democratica di Corea disponga attualmente di 40 o 50 ordigni, con una tendenza in crescita rispetto all’anno precedente; ma non esistono prove sul fatto che la “Corea del Nord” abbia prodotto una testata nucleare operativa in grado di essere lanciata da un missile balistico intercontinentale, anche se potrebbe possedere un certo numero di testate montate su missili balistici a medio raggio, spiega l’istituto di Stoccolma che, nell’incertezza, esclude comunque il paese dell’Estremo Oriente dal conteggio totale. Vi rientrano invece le 90 testate che secondo il Sipri sarebbero in possesso di Israele.
https://www.sipriyearbook.org/
https://www.gov.uk/government/collections/the-integrated-review-2021
* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nordafrica. Scrive tra le altre cose di Spagna e Catalogna.
16 Giu 2021