A sorpresa Renzi nella notte in Kurdistan. Poi quel carico d’armi dai Balcani offerto a più clienti
di Ennio Remondino
Un ‘No’ all’invio di armi italiane ai curdi in Iraq quasi scontato da parte della Rete Italiana per il Disarmo. ‘Il Governo non mandi armi in Iraq, il Parlamento sia propositivo e svolga il suo ruolo di controllo’ è la perorazione di principio variamente articolata. Ma alcuni dettagli scottano.
Questioni di principio per la ‘Rete Italiana per il Disarmo’, ma non soltanto. ‘Il Governo non mandi armi in Iraq, il Parlamento sia propositivo e svolga il suo ruolo di controllo’ è la perorazione, a cui seguono dettagli che scottano. Un No netto all’invio di armi in Iraq «in particolare se derivanti da depositi segreti». Quali ‘depositi segreti’, cosa ci vogliono svelate? Rete Disarmo fa prima le sue considerazioni politiche e propone a Italia e Ue la possibilità di inviare una forza di interposizione con mandato ONU e funzioni di “peace enforcement” senza alimentare il conflitto con altre armi.
«Ogni invio di armi nella regione va assolutamente impedito -sostiene Giorgio Beretta dell’OPAL di Brescia, l’Osservatorio sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa- ancor più se il governo intende inviare ai militari curdi delle armi in disuso per svuotare i magazzini delle nostre aziende armiere o peggio ancora quelle armi di fabbricazione sovietica sequestrate al trafficante Zhukov e detenute per anni nelle riservette dell’isola sarda della Maddalena». Affermazioni nette, pesanti, che meritano qualche curiosità in più. Armi che, a noi risulta, dovevano essere distrutte già nel 2006.
Tutto inizia nel 1994 -tempi di guerre balcaniche- quando degli incursori di marina intercettano nel porto di Taranto la nave Jadran Express partita dai paesi dell’ex URSS e diretta in Croazia con a bordo 400 missili Fagot con 50 postazioni di tiro, 30.000 mitragliatori AK-47, 5.000 razzi katiuscia, 11 mila razzi anticarro, 32 milioni di proiettili per i mitragliatori. In attesa della faticosa decisione della magistratura, l’arsenale finisce nell’isola-bunker di Santo Stefano, nella ‘Caverna di Guardia del Moro’ dove iniziano le gallerie-deposito di armamenti della Marina italiana e prima dell’Us-Navy.
Piccola parentesi sul personaggio Zhukov. Dal dicembre del ’92 al marzo del ’94 dai porti di Ancona e Venezia passarono decine di navi cariche di armi ufficialmente dirette a paesi africani ma in realtà inviate alle milizie impegnate nel conflitto serbocroato. A gestire questo traffico di tonnellate di materiale bellico era un’organizzazione formata da ex agenti del Kgb, da esponenti della mafia russa e da misteriosi uomini d’affari ucraini. Tra di loro Alexander Zhukov, un facoltoso petroliere russo, noto alle cronache mondane per le feste da vip nella sua lussuosa villa sulla Costa Smeralda.
Ma torniamo alle armi. Nel 2011 scopriamo -noi comuni cittadini- che quelle armi che nel frattempo avevano viaggiato in giro per l’Italia su normali traghetti passeggeri violando mucchi di leggi e semplice buon senso- diventano «Segreto di Stato». Magistratura bloccata dopo essere stata beffata. Un’ordinanza del 2006 imponeva la distruzione di quell’arsenale. Disposizione disattesa per «motivi economici», dicono. Troppo dispendioso trasferire quel carico di materiale bellico in una base per la distruzione. Neppure nel poligono militare del Salto di Quirra, dove sparano di tutto.
Con molta probabilità era più facile -all’insaputa della magistratura torinese che aveva disposto la distruzione- cambiare la destinazione finale di quelle armi. Un luogo o una nazione, che rimarrà un mistero per via del Segreto di Stato. Un segreto deciso dal governo Berlusconi opposto per ben due su armi e presunti abusi a Villa Certosa, residenza sarda del premier. Restiamo a quel dannato carico di armi e alla Rete Disarmo. «Chiediamo che venga subito aperta un’inchiesta parlamentare considerato che una parte di quelle armi pare sia stata inviata nel 2011 agli insorti di Bengasi […]».
Rete italiana per il Disarmo chiede al governo Renzi di ‘astenersi dall’invio di sistemi militari nella regione’. «Ogni invio di armi nella regione va impedito, ancor più se il governo intende inviare ai militari curdi delle armi in disuso per svuotare i magazzini delle nostre aziende armiere o peggio ancora quelle armi di fabbricazione sovietica sequestrate al trafficante Zhukov e detenute per anni nelle riservette dell’isola sarda della Maddalena. Quelle armi, come prevede una sentenza del Tribunale di Torino del 2006 mai resa operativa, vanno distrutte». Messaggio chiaro, risposta incerta.
19 agosto 2014