R.C.- Probabilmente è stata scritta la parola fine sulla vicenda della morte della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin assassinati il 20 marzo 1994 a Mogadiscio.
Pietra tombale sulla verità giudiziaria e sulla verità storica. Eppure è noto a tutti che i depistaggi vennero attivati un attimo dopo che i kalashnikov tacquero dopo aver martoriato i corpi dei due reporter.
Al solito l’evidenza viene negata, chi è stato coperto per insabbiare responsabilità conclamate? La Cia, l’Onu sotto la cui egida venne attuata la disastrosa operazione bellica per riportare la pace in Somalia, gli intrighi dei soliti servizi italiani,
Non si poteva permettere che tutto emergesse a causa di uno scoop giornalistico che aveva scoperchiato gli sporchi traffici tra Italia e Somalia: armi in cambio di interramento di rifiuti tossici, accordi tra le nostre istituzioni deviate e i locali signori della guerra.
Sul duplice delitto ha indagato una commissione parlamentare guidata da Carlo Taormina quantomeno poco attenta. Non dimostrò l’evidenza, cioè che Ilaria e Miran furono vittime di un’esecuzione e non di un’azione di guerra.
La fece franca anche l’ambasciatore italiano Umberto Plaja, il quale si preoccupò di sottrarre dal Taschino della camicia insanguinata di Ilaria, il foglietto con i numeri di telefono che la giornalista doveva contattare quel maledetto giorno.
I servizi italiani erano gli unici a conoscenza del tragitto che i due giornalisti dovevano percorrere per arrivare all’aereoporto, dove un drappello di agenti nostrani si muoveva con disinvoltura. Il capo della polizia somala suggerì inascoltato: identificate gli agenti e avrete i nomi degli assassini.
La posta in gioco era troppo alta, i servizi deviati muovevano le leve dei traffici di armi e rifiuti.
Anche lo scenario politico era devastato, la prima Repubblica stava crollando e nuovi padroni si apprestavano a sostituire i vecchi partiti. Bisognava accaparrarsi la benevolenza dei nuovi padrini, agevolando i loro interessi.
Il maresciallo Francesco Aloi, stroncato da un tumore nel 2006, faceva parte del gruppo di contatto tra gli 007 italiani e i signori della guerra somali. Di cose ne ha raccontate, denunciando stupri, torture, traffici di droga e di armi.
E ha parlato anche di Ilaria Alpi, ne scrive in un memoriale “Ho fatto la conoscenza di molti giornalisti. Tra questi c’ è una donna che mi ha colpito per la sua semplicità e la sua determinazione nel proprio lavoro a rischio della vita. Si chiama Ilaria Alpi e alloggia nell’ unico albergo aperto a Mogadiscio nord”. Ilaria e Aloi si incontrano spesso. Una sera mentre il maresciallo va a trovare in albergo la giornalista assiste un uno di quei terribili stupri.
“Mi dirigo verso l’ albergo di Ilaria… Mi chiede che cosa è capitato. Le racconto tutto, non è possibile, mi dice, nonostante anche lei sa qualcosa”.
Di stupri e violenze, secondo il memoriale, il maresciallo e la giornalista sentono parlare spesso. Troppo. “Ilaria” si legge a pagina 57 “raccoglie molte prove e informazioni da rivelarmi di voler scrivere un libro… Ha scoperto altri stupri… Pare che abbia anche scoperto essere in atto traffici di armi che dall’ Est passando per l’ Italia attraverso un corrispondente giungono al nord della Somalia distribuendosi capillarmente in tutto il paese. Ilaria probabilmente ha scoperto uno dei canali che vengono utilizzati per il traffico…”.
Aloi racconta di un’accesa discussione tra la giornalista e il generale Bruno Loi “Ilaria ha un’ accesa discussione con il generale Loi ed esce dall’ ex ambasciata infuriata. Dopo alcune ore si ripresenta e non viene fatta entrare. Ilaria inferocita insiste, l’ Ufficiale alza la voce e la maltratta. Ilaria minaccia di mandare in onda quanto successo e altro al “Tg3″ delle 14. Io rimango impietrito chiedendomi che cosa sia successo”.
Certo, tutto ciò non è detto che abbia a che fare con la morte di Ilaria Alpi. Certo è che l’ ultimo capoverso dedicato a lei, tra pagina 66 e pagina 67, inquieta: “… Mi confida di aver paura. E non dei somali. Fa chiari riferimenti agli uomini del 1 Btg (Tuscania, ndr) e del 9 Btg (Col Moschin, ndr), pare che alcuni di questi ultimi appartengano alla Gladio. Dico a Ilaria di spedirmi quanto raccolto, disponendo quanto da lei ritenuto utile fare”.
Il memoriale del maresciallo Aloi venne cestinato senza essere preso in considerazione e nessuno dei militari da lui menzionati ebbe il benché minimo procedimento disciplinare.
Alcuni di loro li ritroviamo a piazza Alimonda, durante il G8 del 2001, al comando dei due Defender che attireranno nell’imbuto della piazza i manifestanti. Due colpi di pistola e muore Carlo Giuliani.
Il magistrato Alfonso Sabella, che al G8 era responsabile dei luoghi di detenzione preventiva, Bolzaneto e Forte San Giuliano, in un’intervista a Repubblica 2015 dichiarerà: “a Genova sono successe cose molto strane. Fino alla morte di Carlo Giuliani non era stato fatto nemmeno un arresto”.
E specifica: “doveva scapparci il morto. Ma doveva essere uno della polizia, non un manifestante. Bisognava demonizzare la piazza e sono convinto che ci sia stata una regia politica alle spalle di tutto”.
Il morto ci fu, anche se le cose non andarono come sperato, però anche nel 2001 come in Somalia, quegli stessi militari la passarono liscia, anzi, li ritroviamo nel 2007 tra i ranghi della misteriosissima Gendarmeria Europea, l’Eurogendfor, ratificata dal Parlamento nel 2010.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatic, piazza Alimonda e Carlo Giuliani, fino alla Gendarmeria Europea.
Un nucleo di militari e omicidi irrisolti, militari mai sfiorati da una qualsiasi inchiesta, sempre respinta sul nascere.
4 agosto 2017