Foto: Carmelo ‘Nino’ Gullace
In uno dei post precedenti parlando di cultura reazionaria ed asservita al capitale (indistintamente dalla collocazione partitica, come condizione per conservare i propri privilegi personali), si sosteneva che la politica di destra e la criminalità, si manifestino attraverso un “… minimo comune denominatore” dove la borghesia, con le altre due (destra e criminalità) sia “la sopraffazione del debole a vantaggio di pochi senza scrupoli. Per costoro è fondamentale che l’oppresso rimanga oppresso e che si perpetui sovrana la formula voluta dai capitalisti: l’individualismo.
Tutte e tre (borghesia, destra e criminalità) si associano con altri, solo, con lo scopo di rendere più veloce il proprio (personale) arricchimento e di rimando, quindi, abbiamo l’impoverimento di tutti gli altri.”
Ed ancora: “La destra non si batte per l’abolizione e/o l’eliminazione delle classi sociali privilegiate. Tutt’altro!
Infatti la destra ha storicamente dimostrato di essere funzionale al sistema di potere e di fare da “vassallo” all’élite nei momenti di forti tensioni sociali. Tanto furono fasulle le “reazioni” al capitale che, persino, il nazismo, nel massimo della sua espansione europea, non mise mai in discussione lo Stato svizzero dove erano depositati buona parte dei capitali (oro, denaro, contratti societari, beni artistici, ecc.) della borghesia… Anzi se ne avvantaggiò, anch’esso, usandola come fecero i loro “cugini” più grandi. Non si contano più gli innumerevoli episodi della storia dove la destra, insediatasi al potere, abbia rubato beni di altri (oro, beni artistici, denaro, contratti immobiliari, ecc.) e li abbia trasferiti nelle banche dei potenti. Due esempi per capire: Jorge Rafael Videla, Alberto Fujimori…(ecc. )”
Nell’articolo qui sotto abbiamo l’ennesima dimostrazione di come questo connùbio sia saldamente ancorato a queste considerazioni e che portano all’unica conclusione logica: il comunismo (= comunanza) è la sola realtà che si batte per il bene collettivo… Checchè ne dicano male i detrattori.
MOWA
Boss della ‘ndrangheta in manette. Sequestrati beni per due milioni
Carmelo ‘Nino’ Gullace incastrato per usura. E’ ritenuto, per frequentazioni e parentela, inserito nella cosca Raso-Gullace-Albanese.
‘Ndrangheta in Liguria, una realtà documentata anche nell’ultima relazione annuale sulle attività svolte dalla Direzione nazionale antimafia, secondo la quale è il territorio imperiese quello più fortemente condizionato dai tentacoli della malavita organizzata. Ma l’operazione ‘Real Time’ condotta oggi nel savonese ha dato una indicazione dell’esposizione di un’altro pezzo di territorio, sempre nel Ponente ligure.
I carabinieri del Comando provinciale di Savona, in collaborazione la Dia di Genova, hanno arrestato Carmelo “Nino” Gullace, 64 anni, residente a Toirano (Savona), ma originario della Calabria, personaggio di spicco ritenuto dagli inquirenti appartenente alla cosca “Raso-Gullace-Albanese” di Cittanova. “Un pedigree di spessore”, come lo ha definito Sandro Sandulli, capocentro della Dia di Genova Gullace è ritenuto responsabile di usura, tentata estorsione ed intestazione fittizia di beni. Gli inquirenti gli hanno sequestrato beni per un valore complessivo di circa 2 milioni di euro.
Nell’ambito dell’operazione sono state denunciate tre persone a piede libero, tra cui la moglie, Giulia Lazzari, e Fabrizio Accame, mediatore creditizio, ex segretario della Margherita di Albenga e candidato della lista civica “Voce alla Gente” che alle elezioni dello scorso anno sosteneva l’attuale primo cittadino Giorgio Cangiano. Il sindaco della cittadina ligure si è affrettato a precisare che non ci sono legami fra l’inchiesta e la sua amministrazione. “L’accostamento fra la città di Albenga e la mia amministrazione con l’inchiesta Gullace è assolutamente privo di giustificazione e fondamento. Non c’è alcun atto amministrativo, delibera o appalto che leghi il comune di Albenga a questa inchiesta”, ha affermato Cangiano.
Dall’inchiesta sono emersi particolari che hanno fatto fare al comandante dei carabinieri Alessandro Parisi un paragone col boss dei boss Al Capone, che “non venne arrestato per mafia”.
Nel caso di Gullace sarebbero tre gli imprenditori vittime di usura. Spaventati da arrivare a dire, come confessa uno di loro, di volersi buttare da un ponte.
6 marzo 2015