Nessun colpo militare in America latina ebbe in tutto il pianeta un impatto così forte come quello in Cile dell’11 settembre 1973, afferma il professor Alan Angell (Università di Oxford). Per questo il golpe, frutto dell’alleanza della destra reazionaria politica e militare e dell’attivo appoggio degli Usa, suscitò sorpresa e indignazione.
Nella fine violenta dell’”esperimento” di Allende sostenuta dagli Usa, fu un messaggio anche all’Europa.
48 anni dopo, nel Cile oggi, costituente a ostacoli. Le idee più avanzate non hanno vita facile. Gli attacchi delle destre, i pasticci della sinistre, le lacerazioni delle comunità indigene. E il sistema neoliberista non si tocca.
(foto) Protesta del popolo Mapuche
Salvator Allende e Augusto Pinochet
La vittoria di Unidad Popular nell’eleggere il socialista Allende come presidente nel 1970, e il processo pacifico di cambiamenti politici, sociali ed economici del socialismo cileno avevano suscitato grande interesse non solo nel subcontinente latinoamericano, ma in molti altri paesi. Soprattutto in Europa, ci ricorda Roberto Livi sul Manifesto.
«L’America latina si trovava sotto l’influenza di due modelli di sovranità e indipendenza volti a un cambiamento progressista: quello “rivoluzionario” di Cuba e di Fidel Castro e quello pacifico e politico del Cile di Allende e della coalizione Unidad popular».
La rivoluzione non violenta
«Per Henry Kissinger, teorico e responsabile della politica estera dell’amministrazione repubblicana di Nixon, l’esperimento di governo socialista eletto democraticamente presieduto da Allende doveva fallire, perché gli Usa potessero mantenere il loro controllo imperiale nel ‘cortile di casa’. Con ogni mezzo».
I campi di concentramento, gli assassinii, i desaparecidos, le brutali violazioni dei diritti umani, l’opposizione eliminata o costretta all’esilio furono per Kissinger e per il mondo statunitense prevalente, «un male necessario» per combattere il pericolo marxista.
L’Eurocomunismo
In Europa, dall’inizio degli anni ’70 si iniziava a parlare di un socialismo possibile in paesi a democrazia pluralista e dunque una linea indipendente dall’Urss: quello che poi fu definito l’eurocomunismo. Ecco perché l’ ”esperimento” di Allende era seguito con interesse soprattutto in Italia e Francia.
«Con il saggio sulla rivista Rinascita, -Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile-, Enrico Berlinguer formulò la nota linea del “compromesso storico” in cui il segretario del Pci proponeva alla Dc una collaborazione di governo. In sostanza, si accettava che gli Usa non avrebbero permesso una modifica degli equilibri geopolitici di Yalta».
La lunga dittatura di Pinochet
La lunga dittatura di Pinochet (1973-90) è stata in seguito giustificata per tre fattori: la fine al pericolo marxista in America latina; la stabilità politica in Cile e, la più citata, una considerevole crescita economica la paese. Due menzogne e una bugia a metà. «Nei primi quindici anni di questo secolo la cosiddetta ‘marea rosa’, ovvero governi socialisti eletti, più o meno radicali, si è estesa dal Venezuela all’Argentina, passando dall’Ecuador, Bolivia, Uruguay, Paraguay e, soprattutto, Brasile (Lula e Dilma). E negli ultimi mesi in Cile, con la vittoria delle forze progressiste nel referendum (ottobre 2020) sulla Convenzione costituente».
Economia e benessere
Per la stabilità politica imposta col fucile: «negli ultimi anni della dittatura la disoccupazione ha raggiunto il 30% mentre il 40% dei cileni era sotto la soglia della povertà. Il Cile lasciato in eredità da Pinochet è afflitto dalla forbice sociale più larga del subcontinente». «E il tasso di crescita annuale dei 17 anni di dittatura non supera il modesto 2%; le privatizzazioni e la riduzione delle spese sociali hanno avuto gravi conseguenze nella qualità della salute e della educazione pubblica, e vi sono state due severe recessioni, nel 1975 e nel 1982-83».
Cile oggi, costituente a ostacoli
48 anni dopo. Gli attacchi delle destre, i pasticci della sinistre, le lacerazioni delle comunità indigene. E il sistema neoliberista non si tocca, spiega Claudia Fanti, «E a 48 anni dal golpe in Cile, il sogno di Salvador Allende – quello dei ‘grandi viali per dove passerà l’uomo libero per costruire una società migliore’– appare ancora molto lontano». «E se a imboccare quei grandi viali ci sta provando, da poco più di due mesi, la Convenzione costituente, si tratta però di un percorso pieno di ostacoli, come indicano i tentativi delle forze conservatrici di oscurarla, screditarla e spingerla all’angolo».
Fratture interne al fronte progressista
Fratture interna alla sinistra e al composito fronte popolare progressista fa si che una minoranza del 33% legata agli interessi della classe imprenditoriale esercita il suo potere di veto contro qualunque cambiamento diretto a superare il modello neoliberista che da Pinochet in poi governa l’economia del Paese e le sue diseguaglianze ormai divenute macroscopiche.
«Nessuna delle proposte più avanzate avrà vita facile. Ciò che è in corso nella Convenzione, presieduta dall’attivista mapuche Elisa Loncon, è infatti un duro scontro tra la classe dominante e le forze del cambiamento, tra le quali i popoli indigeni giocano indubbiamente un ruolo centrale».
Il popolo Mapuche
«Ciò che è in corso nella Convenzione, presieduta dall’attivista mapuche Elisa Loncon, è un duro scontro tra la classe dominante e le forze del cambiamento, tra le quali i popoli indigeni giocano indubbiamente un ruolo centrale». Ma per i costituenti mapuche gli attacchi della destra sono solo una parte della storia. Più dolorosa è certo l’opposizione espressa nei loro confronti da altri mapuche, quelli delle Comunità in resistenza di Malleco.
«Noi non siamo gli indigeni del Cile, siamo Mapuche», hanno affermato, dopo aver denunciato la persecuzione politica e giudiziaria dello stato.
11 Settembre 2021