Nella vertenza contro Uber i taxisti portano a casa una vittoria. La storia è questa: nel mese di marzo le società che gestiscono i servizi di radio taxi in Milano, Genova e Torino, più alcuni tassisti di quelle città, alcune associazioni di categoria e sindacati, hanno chiesto al Tribunale di Milano di inibire il servizio “Uber pop” alla società Uber International e alle sue controllate.
Il Tribunale di Milano ha emesso il 25 maggio un’ordinanza in cui accerta “la concorrenza sleale” praticata da Uber con la sua applicazione Uber pop e “inibisce in via cautelare ed urgente” alle società citate in giudizio di utilizzare su tutto il territorio nazionale l’applicazione Uber pop e “comunque la prestazione di un servizio – comunque denominato e con qualsiasi mezzo promosso e diffuso – che organizzi, diffonda e promuova da parte di soggetti privi di autorizzazione amministrativa e/o di licenza un trasporto terzi dietro corrispettivo su richiesta del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta”.
Uber pop è un’applicazione scaricabile su smartphone, con la quale si può chiamare un autista non professionista per farsi accompagnare da una parte all’altra della città. Il pagamento del passaggio viene effettuato, poi, attraverso lo smartphone, “di cui – dice ancora l’ordinanza – solo una percentuale minima verrebbe destinata all’autista”. Insomma un servizio taxi a tutti gli effetti, afferma il tribunale di Milano, ma abusivo e che, non dovendo sostenere le spese a carico dei tassisti con regolare licenza, può praticare tariffe più economiche in regime di concorrenza sleale.
Attorno alla vertenza dei tassisti è stata fatta parecchia disinformazione: non tutti sanno che gli autisti di Uber pop sono persone che fanno tutt’altro lavoro e che, magari, dopo aver finito il turno in ospedale (è veramente successo) decidono di “arrotondare” i guadagni portando a spasso con la propria macchina le persone, invece di andare a dormire. A discapito della qualità della propria vita e della sicurezza dei passeggeri.
Forte di una propaganda dei media molto schierata dalla sua parte, Uber che ricordiamo ha molte cause in giro per il mondo, per esempio per l’utilizzo dei dati personali dei trasportati, che resterebbero geolocalizzati a loro insaputa anche una volta finito il trasporto la vertenza dei tassisti è passata come un’anacronistica difesa di privilegi che impediscono lo sviluppo e la modernizzazione dell’Italia. Non in tutte le città, e non tutti i tassisti offrono lo stesso livello di professionalità, un obiettivo che la categoria può darsi, ma sono comunque lavoratori che operano in un quadro regolato e che pagano le tasse, con un regime a metà tra il lavoro autonomo e il lavoro dipendente che, in certa misura, somma i difetti dei due tipi di prestazione.
A noi, invece, sembra anacronistico dover fare il secondo lavoro dopo averne svolto uno faticoso come l’infermiere. Pensiamo che sia da combattere il fatto che un lavoratore non riceva dal suo lavoro un reddito sufficiente al suo mantenimento e che debba integrarlo in qualche modo.
Troviamo che Uber pop contribuisca a creare categorie di nuovi poveri, senza nessuna garanzia previdenziale o retributiva. Se questo è il modello della “condivisione”, quello della sharing economy che piace a Google (da cui Uber ha ricevuto 250 milioni di dollari nel 2013) ci sembra che si condivida solo la povertà.
Paola Baiocchi
Sezione comunista Gransci-Berlinguer, Pisa