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Pochi giovani, molti anziani. Pochi lavoratori dipendenti, molti pensionati. Pochi elettori del Centro e del Nord Italia – e soprattutto delle regioni cosiddette rosse – e molti del Sud. Sono alcuni degli elementi che emergono dalle analisi statistiche delle primarie del Pd. Sia Repubblica che il Corriere oggi hanno pubblicato loro studi (elaborati da Candidate&Leader Selection per il primo e da Ipsos per il secondo) che coincidono nelle conclusioni e che offrono diversi spunti di riflessione. Vediamoli.
- I giovani non sono molto attratti dal Pd, e oggi lo sono ancora meno del passato. La fascia 16-44 anni infatti costituisce solo il 23 per cento del popolo delle primarie. Scomposta: appena il 15% nella fascia 16-34 e solo il 9 in quella 35-44. Il grosso degli elettori Pd è anziano: il 42% ha più di 65 anni e il 34% si colloca nella fascia 45-64. Insomma, il 76% di quelli che hanno votato il 30 aprile ha più di 45 anni. Quindi, il Pd non è un partito per giovani e la segreteria Renzi negli ultimi tre anni non solo non è riuscita a invertire la tendenza ma ha di fatto peggiorato la situazione. Nel 2013 infatti i giovani (16-34) erano il 19% del totale degli elettori e il 12% erano della fascia 35-44 anni. Può sembrare una cosa da niente, ma si tratta in termini assoluti di 262 mila giovani in meno tra i 16-34 anni e di 174 mila nella fascia 35-44. In totale: 436 mila in meno rispetto al 2013.
- Se si osserva la composizione del voto dei tre candidati si nota, con una punta di sorpresa, che proprio Renzi è quello che attira i voti dei più vecchi: il 45% tra gli over 65, il 33% nella fascia 45-64 anni. Giovani, invece, meno della media generale: solo il 13% nella fascia 16-34 e 9% in quella 35-44. Va meglio Orlando: il 19% tra i 16-34 anni e l’11% tra i 35-44 e il 38% tra gli over 65. Emiliano è quello che ottiene più voti giovanili (il 20% tra i 16-34 anni e il 16% tra i 35-44 anni) e meno voti anziani (appena il 24% degli over 65). In conclusione, il leader che voleva rottamare il vecchio e rinnovare il partito aprendo ai giovani riesce a vincere le primarie proprio grazie al contributo degli anziani e senza quello dei più giovani.
- I primi due dati si riflettono quasi automaticamente quando si osserva la posizione professionale degli elettori. Il 41% è pensionato, il 30% è lavoratore dipendente (pubblico e privato). Anche qui è Renzi a fare il pieno tra i pensionati con il 44%. A Orlando va il 38%, a Emiliano solo il 24%. Tra i lavoratori dipendenti Renzi va meno bene degli altri: 29% contro il 31% di Orlando e il 35% di Emiliano. Anche questo è un dato interessante per definire l’appeal politico del nuovo-vecchio segretario democratico.
- La distribuzione geografica offre non poche sorprese: il Pd è sempre più un partito meridionale. E’ nelle regioni del Sud infatti che l’affluenza alle urne è più alta e la disaffezione rispetto al 2013 (un milione di votanti di meno complessivamente) più bassa. Al centro e al Nord la “scissione silenziosa” ha lasciato il segno e in particolare ha colpito le cosiddette zone rosse: solo in Emilia Romagna e in Toscana quasi la metà degli elettori (48% e 47% rispettivamente) ha disertato i gazebo rispetto al 2013. Si tratta di circa 400 mila elettori, il 40% di quel milione che è rimasto a casa. Tutto il centro-nord (ad eccezione della Lombardia che ha un calo del 33%) subisce una sensibile diminuzione dei votanti, di gran lunga oltre il 40%. Al Sud invece è esattamente il contrario con il segno + di Puglia (28%), Basilicata (28%) e Abruzzo (12%) e un ridotto calo nelle altre regioni, molto al di sotto del 30%. Diciamo che complessivamente gli elettori del Sud costituiscono quasi la metà degli elettori italiani che hanno partecipato alle primarie del 30 aprile.
- Questi dati dicono in modo abbastanza chiaro che il Pd ha un problema, che certamente preesisteva all’arrivo di Renzi ma che con il nuovo segretario, dal 2013 a oggi, è peggiorato. Un partito che non attira giovani è un partito che ha un futuro incerto, che non si rinnova, non è dinamico. Da questo punto di vista, dato che il M5S è ancora il partito con più appeal nei confronti dei giovani, il populismo light di Renzi non è riuscito nell’impresa di rubare elettori della fascia 18-34 anni a Grillo. E inoltre l’opera di contrasto quotidiana del Pd nei confronti dei grillini sembra essersi rivelata un’arma spuntata che rischia di rafforzare il competitor a cinque stelle. Allo stesso modo la presenza debole del Pd nelle fasce professionali attive (lavoratori dipendenti) e la sua preponderante vocazione pensionistica costituiscono un ostacolo serio per un partito riformista.
La domanda, al termine di questo viaggio nei numeri, è sempre la stessa: qualcuno, nel Pd, si porrà queste domande?
3 maggio 2017