13/2/2012, Bruno Vespa manipola la foto dei fucilati di Dane ( http://www.diecifebbraio.info/2012/02/raiuno-13-febbraio-2012-alessandra-kersevan-a-porta-a-porta/ )
Giorno del Ricordo: un bilancio
Organizzato dalla associazione Jugocoord Onlus e dalla rivista di storia critica Historia magistra, si è tenuto il giorno sabato 10 febbraio 2018 a Torino, presso il caffé Basaglia, il convegno nazionale: GIORNO DEL RICORDO, UN BILANCIO. Il Convegno è stato coronato da un lusinghiero successo, date le numerose qualificate adesioni ed il centinaio di partecipanti, l’alto livello delle relazioni scientifiche presentate ma soprattutto il risultato politico, concretizzato nei saluti, tra gli altri, del vicesindaco Montanari, presente in sala con un assessore, e della presidente nazionale dell’ANPI Carla Nespolo. Tutte le informazioni ed i materiali disponibili (inclusi l’annuncio, l’elenco delle adesioni, la locandina, fotografie, definitivo, alcune note sulla disinformazione preventiva scatenata attorno al Convegno che ha determinato indisponibilità della sala inizialmente prenotata, e una Rassegna stampa) si possono reperire alla pagina:http://www.cnj.it/home/it/iniziative/8732-torino-10-2-2018-giorno-del-ricordo,-un-bilancio.html. Nel seguito ci limitiamo a riportare la Replica di relatori e organizzatori del Convegno alle gravissime dichiarazioni rilasciate dal presidente della Repubblica Mattarella proprio in occasione del “Giorno del Ricordo”:
Il saluto di Umberto Lorenzoni al convegno di Torino sulle foibe
Umberto Lorenzoni, partigiano e presidente dell’ANPI provinciale di Treviso, era previsto intervenisse al Convegno di Torino come uno dei relatori. Un importante intervento chirurgico (ben riuscito) subentrato negli ultimi giorni gli ha impedito di essere presente. Questo, sotto e in allegato, il testo del saluto che ha inviato al Convegno.
Mi spiace non poter partecipare a questo importante convegno, per un intervento che mi costringe ad un prolungato riposo.
La storia del nostro confine orientale è tormentata, dolorosa e soprattutto complessa e difficile d Mi spiace non poter partecipare a questo importante convegno, per un intervento che mi costringe ad un prolungato riposo.
La storia del nostro confine orientale è tormentata, dolorosa e soprattutto complessa e difficile da portare a conoscenza della pubblica opinione in modo corretto. In considerazione di tale complessità, continuando a deprecare la tragedia delle foibe isolandola dal contesto storico che l’ha originata, come fa da sempre la destra politica italiana, si persegue solo l’obiettivo di mistificare e strumentalizzare cinicamente la storia per usarne politicamente la memoria.
Nel mio breve intervento avrei voluto sottolineare la bizzarra quantificazione e la biografia delle vittime, per ristabilire un minimo di verità di fronte alle cifre iperboliche, letteralmente inventate dagli ambienti neofascisti. L’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione ha condotto negli anni 1987 – 1992 una accurata ricerca sui caduti, i dispersi e le vittime civili della seconda guerra mondiale nella regione Friuli – Venezia Giulia (i dati sono stati riportati nel n° 10 dei Quaderni della Resistenza, pubblicato a cura del Comitato regionale dell’ANPI nel 60° anniversario dell’inizio della guerra nazionale di Liberazione).
È questa la prima ricerca, condotta su basi scientifiche, che abbia avuto per oggetto tutti i caduti per cause di guerra, dei quali sono stati indicati i dati anagrafici, i reparti di appartenenza se militari, le circostanze della morte. I ricercatori dell’Istituto hanno lavorato, oltre che sulle fonti edite, con puntigliosi riscontri, su tutti gli archivi disponibili, fra i quali quelli delle Associazioni d’Arma, di Stato Civile, dei Tribunali delle città capoluogo di provincia, quelli dei comuni, delle Capitanerie di Porto e degli Uffici Leva dei Distretti militari.
Per quanto riguarda i “dispersi in deportazione” in Jugoslavia e gli infoibati , i risultati sono i seguenti:
Per la provincia di Trieste : gli scomparsi prelevati dall’eserciti jugoslavo di liberazione nel periodo maggio-giugno 1945 sono 601, così suddivisi: civili 185; partigiani 19; agenti di Pubblica Sicurezza 118; Guardie di Finanza 119; carabinieri 9; militi della MDT 69; forze RSI 34; Guardie civiche 10; Vigili del fuoco 2; militari CIL 3; Croce Rossa italiana 2; militari RE 22; altri 9.
Per la provincia di Gorizia : sono complessivamente 412, così suddivisi: civili 235; forze RSI 49; militi MDT 21; carabinieri 18; agenti di Pubblica Sicurezza 78; Guardie civiche 3; Guardie di Finanza 4; militari RE 1; partigiani 2; domobranci 1.
La ricerca copre i territori delle attuali province di Udine, Pordenone, Gorizia e Trieste e riguarda la condizione di caduti e dispersi residenti o residenti per servizio. A tale proposito va ricordato che per l’intera ricerca si è stabilito di conservare come base l’unità amministrativa dei Comuni nelle dimensioni che avevano al momento dello svolgersi degli avvenimenti. I Comuni di Muggia, S.Dorligo della Valle, Trieste, Monrupino e Sgonico sono stati censiti con le frazioni ora appartenenti alla Slovenia; e così per Gorizia S. Floriano del Collio, Dolegna del Collio e Cormons.
Questi dati trovano conferma in uno specchietto delle foibe esplorate dalla Polizia civile della Venezia Giulia in collaborazione con i Vigili del Fuoco, con i rastrellatori di bombe e mine e con gli speleologi del Comitato recupero salme di persone infoibate, riportato martedì 3 settembre 1996 dal Piccolo di Trieste. In questo specchietto si precisa che le foibe esplorate sono state 71, dislocate sul territorio di Gorizia e di Trieste, e che le salme recuperate sono state 464 (217 civili e 247 militari). E paradossalmente trovano conferma nell’esiguo numero di decorazioni riconosciute alle vittime in base alla legge 92/2004 che ha istituito il giorno del ricordo: 341 ad oggi, la gran parte ad appartenenti alle forze armate dell’Italia fascista, che per di più avevano giurato fedeltà a Hitler, o a personale politico fascista, molti dei veri e propri criminali di guerra.
Confermano insomma la necessità di ristabilire una base certa di verità storica -questo era anche l’obiettivo della relazione della Commissione italo/slovena, che l’Italia non ha diffuso – per riportare il problema del confine orientale nell’ambito della ricerca storica, che dovrebbe almeno farsi carico del perdurante razzismo fascista contro il popolo slavo, e non alimentare le strumentalizzazioni ideologiche della destra, che ambiscono a diventare senso comune e “memoria condivisa”.
Il trionfo della menzogna: le foibe
di Angelo d’Orsi
Se il comunismo è finito, perché l’anticomunismo prospera? A Kiev come a Roma, a Budapest come a Varsavia, a Washington come a Berlino, in Brasile come in Cile, governanti, magistrati, politici, giornalisti, professori emanano leggi, accendono polemiche, aprono processi, creano norme amministrative, o si spingono a riscrivere la storia in un senso diligentemente revisionistico, e rovescistico.
Lo scopo è uno: mandare alla sbarra, in senso proprio o figurato (culturalmente), il comunismo, i suoi teorici, i suoi esponenti storici, i suoi dirigenti e militanti. Non solo cancellare il passato, in cui il comunismo (in qualche sua forma) ha prosperato, ma punire chi ammette di avervi aderito. “Sorvegliare e punire”, ecco la ricetta: sorvegliare e punire quei reprobi. Molti dei quali, in vero, tra coloro che rivestirono ruoli dirigenti, hanno gareggiato nel negare il proprio passato, presentandosi come esempi viventi di nicodemismo: comunisti in pubblico, per necessità (!?), acomunisti o anticomunisti nel segreto del cuore.
Per gli altri, invece, ecco scattare la sanzione sociale. Escludere, ostracizzare, ridicolizzare chi prova a resistere sul piano culturale, chi, magari citando Bobbio, invita, semplicemente, a non rallegrarsi davanti alla caduta del comunismo storico, ma a prendere atto che anche se larga parte di quell’esperimento è fallito, rimane intatta l’ansia di liberazione di centinaia di milioni di esseri umani, schiacciati dai grandi potentati economici, vilipesi da una ingiustizia mostruosa, offesi dall’essere esclusi dal proscenio, dopo che, un secolo fa la Rivoluzione Bolscevica li aveva fatti uscire dall’ombra dando loro la parola, e addirittura portandoli al potere. Quell’ansia di liberazione dei subalterni è stata moltiplicata dagli svolgimenti del turbocapitalismo nel senso della disuguaglianza, dell’oppressione, dell’ingiustizia. Delle nuove povertà per le classi medie, delle accresciute povertà per i poveri, delle accresciute ricchezze per i ricchi.
Il quotidiano Il Tempo, pochi giorni fa, si è spinto a proporre un’anagrafe dei comunisti: quale dovrebbe essere il passo successivo? L’esilio? Il confino di polizia? La galera? Leader politici forse destinati ad andare al governo, a dispetto della loro pochezza, come Berlusconi, Salvini, Meloni e loro adepti, non esitano a richiamare lo spauracchio comunista, convinti che quel richiamo porterà voti. Un giornalista di lungo corso come Bruno Vespa, tradendo ogni deontologia professionale, negli stessi giorni, in una puntata dedicata all’annoso tema “foibe”, scatena il proprio demone anticomunista, contro ogni verità accertata, procedendo incontrastato o quasi in vergognose filippiche prive di sostanza storica.
E che dire del presidente della Repubblica? Il quale precisamente in relazione al “Giorno del ricordo” ultimo ha emesso un comunicato che fa accapponar la pelle, tra ignoranza e propagandismo (lo abbiamo denunciato nel recente convegno “Giorno del ricordo. Un bilancio”, svolto a Torino, il 10 febbraio 2018).
Vespa come Mattarella in fondo colpiscono nel “comunismo titino” qualsiasi idealità comunista, ossia ogni esigenza di giustizia; e che per farlo offendano la verità storica, poco importa. Poco importa che centri di ricerca accreditati abbiano prodotto monografie, saggi, articoli, in grado di smontare le balle spaziali sulle foibe; poco importa che la menzogna delle decine (centinaia?!) di migliaia di infoibati sia smentita dalla stessa configurazione geologica del territorio; poco importa che gli italiani occupanti abbiano seminato morte e distruzione nella Jugoslavia; poco importa che quando si parla di italiani “vittime” ci si riferisca essenzialmente a quegli italiani, ossia fascisti occupanti; poco importa che l’Europa tutta debba proprio all’esercito partigiano jugoslavo guidato da Tito un tributo di gratitudine eterna; poco importa che a quella Jugoslavia l’Italia del Centrosinistra abbia dato il colpo di grazia nel 1999 con la guerra del Kosovo…
Poco importa che la verità, insomma, venga violentata dai Bruno Vespa, e dai suoi ospiti scodinzolanti (salvo eccezioni, come l’ottima Alessandra Kersevan maltrattata con villania da Vespa), che venga sottaciuta o rovesciata da politici in cerca di consenso (ricordo solo l’orribile figurina di Maurizio Gasparri, che della questione foibe ha fatto un caso personale, che lo manda in agitazione da ictus ogni volta che ne parla, anzi, che ne strilla); la menzogna viene propalata, ripetuta, ribadita, fino a che diventa senso comune. I telegiornali, i talk show, i “programmi di approfondimenti”, i docufilm, le pseudomemorie di pseudoreduci o pseudoesiliati, stanno realizzando una sorta di cortina fumogena, dietro la quale si erge come un totem (e insieme un tabù), “la foiba”: una sorta di gigantesco monumento alla menzogna.
Grazie a tutto ciò, a codesto apparato propagandistico, è facile che chiunque, in un’aula universitaria o in uno studio radio-tv, in un vagone ferroviario o in una vettura di tram, d’improvviso se ne esca con la fatidica domanda: “E allora, le foibe?!”. E se si prova a opporre ragionamenti argomentati alle più truci invettive, dati reali e certificati ai dati inventati, vicende storiche accertate alla propaganda becera, allora si viene sommersi dall’ingiuria e additati, una volta di più, con la stentorea accusa: “Comunista!”. Parola che vorrebbe essere il culmine dell’infamia, ma forse, a maggior ragione se si guarda a chi la proferisce, diventa un titolo di merito.
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“Foibe, sgomenti per le parole di Mattarella”
Pubblichiamo il comunicato redatto dai partecipanti (Angelo d’Orsi, Andrea Martocchia, Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi, Sandi Volk, Davide Conti) e dagli organizzatori (Historia Magistra e Jugocoord) del convegno “Giorno del ricordo. Un bilancio”, tenutosi a Torino il 10 febbraio. A seguire la dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
I partecipanti e gli organizzatori del convegno “Giorno del ricordo. Un bilancio”, tenutosi a Torino, in data odierna, hanno preso atto del comunicato del Presidente della Repubblica, sulla ricorrenza del 10 febbraio, inserita, con legge del Parlamento del marzo 2004, nel calendario delle feste civili della Repubblica. Le parole del massimo rappresentante dello Stato lasciano sgomenti, in quanto non sono altro che una riproposizione degli elementi portanti della propaganda revanscista e persino neofascista. Accanto al vago riconoscimento “della durissima occupazione nazi-fascista di queste terre”, il presidente Mattarella addita ancora una volta alla pubblica ignominia il “comunismo titino”, mostrando una inaccettabile ignoranza dei fatti storici (ci limitiamo per esempio a far notare che a fianco delle formazioni partigiane jugoslave erano combattenti di ogni nazionalità e i loro nemici, prima ancora che gli italiani o i nazisti tedeschi, furono soprattutto croati “ustascia”, sloveni “domobrani”, serbi “cetnizi”, albanesi “balisti”) e accodandosi a uno sciagurato uso politico della storia: una storia manipolata, riscritta, e “adattata” ad usum.
I risultati del nostro convegno, al contrario, confermano, una volta di più, che quella delle “foibe” è una vera e propria operazione politico-culturale, sancita dalla istituzione della legge n. 92/2004, che ha contribuito a creare o consolidare un senso comune anticomunista, e anti-antifascista, volto a favorire una memoria contraffatta. In essa, invece di una necessaria, indispensabile, sebbene tardiva assunzione di responsabilità del Paese, si è propalata ancora una volta l’autoassolutoria idea della innocenza degli “italiani brava gente”. Dal capo dello Stato ci saremmo aspettati ben altra cautela, tanto più in una fase storico-politica che vede un sempre più invadente e pericoloso ritorno del fascismo (più che del “nazionalismo”, come prudentemente scrive Mattarella).
Sebbene emarginati, e spesso impediti di parlare, ostacolati nella stessa attività di ricerca, gli studiosi e le studiose, oggi presenti a Torino, assieme agli organizzatori e a coloro che ci hanno testimoniato la loro vicinanza e solidarietà si impegnano a continuare il proprio lavoro, con lo studio, la testimonianza, la divulgazione. E la lotta.
Torino, 10 febbraio 2018
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Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione:
«Il Giorno del Ricordo è stato istituito dal Parlamento per ricordare una pagina angosciosa che ha vissuto il nostro Paese nel Novecento. Una tragedia provocata da una pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica.
Le foibe, con il loro carico di morte, di crudeltà inaudite, di violenza ingiustificata e ingiustificabile, sono il simbolo tragico di un capitolo di storia, ancora poco conosciuto e talvolta addirittura incompreso, che racconta la grande sofferenza delle popolazioni istriane, fiumane, dalmate e giuliane.
Alla durissima occupazione nazi-fascista di queste terre, nelle quali un tempo convivevano popoli, culture, religioni diverse, seguì la violenza del comunismo titino, che scatenò su italiani inermi la rappresaglia, per un tempo molto lungo: dal 1943 al 1945.
Anche le foibe e l’esodo forzato furono il frutto avvelenato del nazionalismo esasperato e della ideologia totalitaria che hanno caratterizzato molti decenni nel secolo scorso.
I danni del nazionalismo estremista, dell’odio etnico, razziale e religioso si sono perpetuati, anche in anni a noi molto più vicini, nei Balcani, generando guerre fratricide, stragi e violenze disumane.
L’Unione Europea è nata per contrapporre ai totalitarismi e ai nazionalismi del Novecento una prospettiva di pace, di crescita comune, nella democrazia e nella libertà.
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