Aaron Pettinari
Il coinvolgimento dei servizi segreti, l’attentato all’Addaura e Gladio
Gli elementi su un soggetto “alto, brutto, scarno in volto, con gli zigomi sporgenti, la fronte bassa, avrebbe somigliato ad una scimmia”. Un “anomalo incarico, al di fuori dei servizi ordinari d’istituto” con “viaggi fino a Trapani in treno, scendendo a Carini-Capaci, facendo il ‘pendolare’ ed, a sua detta ‘naschiando’” e il collegamento tra tali “’anomale’ missioni a Trapani”, il lavoro compiuto da Giovanni Falcone, il quale “nei suoi diari ricorda di aver chiesto di occuparsi della struttura Stay Behind”, e una pendente “interrogazione parlamentare con la quale sono stati chiesti chiarimenti sui possibili legami tra il caso Gladio e le strutture del Supersismi in Sicilia create dal generale piduista Musumeci”. Il collegamento tra l’allora dirigente del Commissariato San Lorenzo, Elio Antinoro e il neofascista siciliano Alberto Stefano Volo. E poi ancora la possibile presenza di “talpe” più o meno consapevoli che possano aver avvisato i killer della presenza di Agostino a Villagrazia in orario serale, in quanto quel giorno aveva avuto un cambio di turno. L’individuazione del contesto in cui si arrivò al delitto dell’agente Agostino, ucciso assieme alla moglie Ida il 5 agosto 1989, in riferimento a quanto aveva appreso sul fallito attentato all’Addaura.
Sono questi solo alcuni degli elementi che l’ex magistrato Carlo Palermo (sopravvissuto alla strage di Pizzolungo) al tempo in cui era il legale di fiducia della sorella del poliziotto, Annunziata Agostino, offrì in una memoria presentata al Gip per opporsi alla richiesta di archiviazione del caso.
L’atto, depositato a Palermo il 4 gennaio 1993, fa impressione specie se si tiene conto che diversi spunti sono pressoché coincidenti con l’atto d’accusa dell’attuale Procura generale che sta conducendo il processo contro il boss Gaetano Scotto, accusato del delitto, e Francesco Paolo Rizzuto (accusato di favoreggiamento aggravato).
Il fatto clamoroso, emerso in aula in queste prime udienze, è che dopo quel deposito l’incarico a Carlo Palermo fu tolto a causa di pressioni che la famiglia Agostino avrebbe ricevuto da un altro avvocato che li assisteva al tempo: Vincenzo Gervasi.
A raccontare le modalità era stato proprio il papà dell’agente di polizia, Vincenzo Agostino. Rispondendo alle domande del proprio legale, Fabio Repici, ha ricordato: “Io non conoscevo nessun avvocato penalista. Mi rivolsi ad Orlando e il sindaco mi presenta un altro: l’avvocato Galasso. Doveva assistermi lui poi mi indirizza al professor Gervasi, nominato da me e mia moglie. Mia figlia Nunzia aveva Carlo Palermo”. Ad un certo punto, ha raccontato Agostino “Gervasi mi sollecita vivamente che mia figlia si doveva togliere questo avvocato Palermo. E lo stesso avvenne quando ci rivolgemmo all’avvocato Giustino Piazza. Ci hanno immediatamente sollecitati a toglierci Giustino Piazza. Chi? Sempre Gervasi”.
Oggi, però, durante l’esame della figlia Annunziata, la vicenda si è colorata di ulteriori elementi.
“La mia famiglia non era soddisfatta dell’azione dello stato delle indagini. Non ci comunicavano mai nulla e le indagini erano sempre ferme allo stesso punto – ha ricordato – Avevamo le porte sbarrate e non ci facevano sapere nulla. Eravamo disperati e addirittura venivano fatte circolare voci sul possibile coinvolgimento di mio fratello nel fallito attentato all’Addaura”.
E’ in quel periodo che, dunque, si rivolse all’ex giudice Carlo Palermo, conosciuto all’interno del coordinamento antimafia della città. “Lui accettò l’incarico immediatamente. Lui si confrontò con me, mia sorella, mia madre e mio padre. Chiese notizie anche ai genitori di Ida. E dopo la richiesta di archiviazione del 1992 depositò una memoria difensiva in cui indicava delle piste da poter seguire. E si parlava anche del possibile coinvolgimento dei servizi segreti nell’omicidio di mio fratello. Da questa memoria conseguì una reazione sconvolgente del legale che in quel periodo assisteva i miei genitori: l’avvocato Gervasi”.
Ed è qui che l’accusa è stata ancora più diretta: “Ha costretto mio padre a dire a me di revocare il mandato conferito all’avvocato Palermo perché in nessun modo dovevano essere coinvolti i servizi segreti nell’omicidio di mio fratello. Non solo. Aggiunse pure che se io avessi continuato con questa pista con l’avvocato Palermo mio fratello poteva essere accusato dell’omicidio del piccolo Claudio Domino. Questa circostanza la appresi da mio padre”. Fu così che, sulla spinta di quelle pressioni e sull’insistenza del padre Nunzia revocò a malincuore il mandato.
Certo è che il lavoro di Carlo Palermo aveva fatto “rumore” anche perché il tre gennaio venne pubblicata sull’Ansa la notizia con l’opposizione all’archiviazione del procedimento riguardante l’agente di polizia Antonino Agostino, ucciso insieme con la moglie il 5 agosto del 1989 dando atto proprio di quei medesimi spunti investigativi inseriti nella memoria.
“La sera stessa l’avvocato Palermo aveva organizzato al Piccolo Teatro di via Pasquale Calvi, a Palermo, un incontro con altre persone – ha ricordato ancora Nunzia – Ad un certo punto arriva il dottore Antinoro, indicato da Palermo come colui che avrebbe dato ordine di svolgere certe attività investigative a mio fratello, e si avvicina a mio padre dicendo che quello che era stato scritto dal dottore Palermo non corrispondeva a verità”.
Quel che è certo è che nella memoria, che fu anche trasmessa alla Procura della Repubblica e al sostituto procuratore competente Giusto Sciacchitano, veniva anche circoscritta una possibile causale del delitto. “La uccisione dell’ag. Agostino – si legge – dovrebbe essere stata evidentemente determinata dal fatto che, nell’ipotesi in cui il medesimo sia potuto effettivamente venire a conoscenza di qualche particolare o nome, nei rapporti ‘disposti’ dal suo dirigente, e considerate le sue note conoscenze sugli esplosivi, che gli avrebbero potuto far capire (e probabilmente manifestare) che i candelotti rinvenuti all’Addaura erano stati posti sugli scogli, da terra (e quindi con possibili complicità ‘interne’) e, proprio dalle altre risultanze oggi addotte, emergerebbe proprio la presenza a terra del suo possibile killer nella preparazione dell’attentato all’Addaura, la sua permanenza in vita avrebbe potuto consentire di far accertare i responsabili dell’attentato”.
“Peraltro – prosegue ancora Palermo nelle sue conclusioni – il fatto che tale killer, quello riconosciuto, avrebbe probabilmente preso parte all’attentato all’Addaura (con una lunghissima preparazione) contro Giovanni Falcone, alla eliminazione dell’agente Agostino (che avrebbe potuto smascherarlo) ed all’attentato di Capaci (ove pure paiono intuibili eventuali presenze di “talpe”, per gli analoghi cambiamenti di programmi: nel giorno e nell’orario, l’utilizzazione di aereo noleggiato dai Servizi, ecc); ciò evidenzierebbe un suo radicato, negli anni, collegamento con le cosche mafiose e con eventuali rapporti deviati”.
L’11 gennaio 1993 la Squadra Mobile di Palermo trasmetterà alla Procura la copia della notizia Ansa e la comunicazione che “allo stato attuale delle indagini non emerge alcunché a conforto del contenuto di tali notizie”.
Grazie agli accertamenti compiuti dalla Procura generale è emerso che, parallelamente al servizio ufficiale presso il Commissariato di San Lorenzo, l’agente Agostino avrebbe svolto una attività al di fuori di quelle tradizionali svolgendo ruoli di infiltrato o agente sotto copertura.
Così sono emerse le segretissime missioni a Trapani, dove Agostino, in abiti civili, si sarebbe recato con una valigetta 24h e dove il SISMI aveva aperto il centro “Scorpione”, sede dell’organizzazione Gladio.
E poi ancora il ruolo che Agostino svolse per garantire la sicurezza di Alberto Volo, che tra il 28 marzo e il 18 maggio venne sentito più volte da Giovanni Falcone, tanto che nel 2016, quando Volo fu intercettato dalle indagini della Procura generale, questi dichiarava di conoscere “perfettamente” Agostino e che si trattava di cose vecchissime, di quando era “in Gladio e nei servizi”.
Fili che verranno ripercorsi in questo processo che si celebra ad oltre trent’anni di distanza dal delitto.
Un processo che squarcia il velo di maya su quei “rapporti sommersi tra talune articolazioni delle istituzioni e mondo criminale”. Una linea di confine che, probabilmente, Nino Agostino aveva scoperto nelle sue attività. Uno dei volti è quello di Giovanni Aiello, anche noto come “Faccia da mostro”, l’ex poliziotto dal viso sfigurato da un colpo di fucile indicato dai collaboratori di giustizia tra i responsabili di stragi e delitti. E’ deceduto qualche anno fa a causa di un infarto sulla spiaggia calabrese di Montauro. Chissà, forse seguendo quelle indicazioni di Carlo Palermo in quei primi anni Novanta si sarebbe potuti arrivare prima a certe verità negate per anni.