Venerdì 23 Gennaio 2015 Ore 17
presso la Libreria Ubik, Via dei Garofani 6, Pisa
Miriam Marino
Presenta il suo libro
Macerie
La città del sole, 2014
Introduce Renata Quartuccio, del Gruppo per la Palestina di Pisa
Miriam Marino
è una scrittrice e attivista impegnata da diversi anni per i diritti umani e in
particolare per la liberazione del popolo palestinese, per la fine dell’occupazione e per il conseguimento dei pieni diritti umani e politici dei palestinesi.
Fa parte di tre associazioni «Ebrei contro l’occupazione», «Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese» e «Stelle Cadenti-Artisti per la pace».
http://miryammarino.it.gg/
http://miryammarino.blogspot.
Macerie
Un romanzo che si svolge sullo sfondo delle due Intifade e abbraccia dieci
anni di storia palestinese. La protagonista, che racconta in prima persona, è Tikva, una giovane cresciuta in Israele con il padre. Quando scopre di avere una madre palestinese è un’adolescente e in quel momento sta iniziando la prima Intifada.
La ragazza riesce a rintracciare sua madre e incontrarla, da quel
momento la sua vita cambierà. Inizialmente l’impatto con una realtà così
diversa da quella in cui è cresciuta la traumatizzerà e non riuscirà a credere ai racconti dei ragazzi palestinesi. Ma presto la sua incredulità diventerà consapevolezza a misura che vedrà con i propri occhi il livello
dell’oppressione, e dell’apartheid portata dall’occupazione coloniale. Attorno a lei si muovono altri personaggi, suo padre, un progressista israeliano, i suoi parenti, gli amici israeliani e palestinesi. Nel 2000 scoppia la seconda Intifada, Tikva ha da tempo fatto la sua scelta di campo, una scelta determinata e sofferta: «Ho portato a casa una rosa. E’ una rosa pallida come le mani e il volto di cera di un morto bambino trasportato a spalla durante il funerale a Hebron. La rosa è caduta dalla sua barella e io l’ho raccolta. Ha fatto la strada con me fino a Tel Aviv e sopravvissuta a tutti i check point.
Nella mia stanza l’ho messa in un calice con l’acqua e l’ho posta sulla mia
scrivania. Ho fatto male. Ogni volta che la guardo vedo il volto di quel
bambino con la tenera bocca semiaperta e tuttavia muta. La rosa urla per lui ed è ancora viva. Non fresca, non lo è mai stata, ma viva. Si seccherà prima o poi, penso. Ma lei vive e testimonia quietamente il dolore. Un dolore che è dappertutto. Ne sono impregnate le pareti della stanza, attraversa la finestra da cui il sole è fuggito come un ladro lasciando solo una smorta luce ottusa, avanza lungo le mattonelle, inonda silenziosamente i vestiti e va a fermarsi come una pietra in mezzo al mio petto. Respiro a fatica, respiro sotto l’acqua, (…..) mi sento vuota a parte il peso che mi comprime il petto.
Ho sofferto troppo. Poi mi afferra il rimorso. La tragedia è davanti ai miei occhi, ma a rigore non mi ha toccato, soffro come testimone. Ma la mia vita dov’è? L’idea della felicità, del futuro è assente incomprensibile, non ha diritto di cittadinanza nella mia mente».
Il dolore ormai occupa ogni spazio e ogni pensiero, il romanzo termina con la distruzione del campo profughi di Jenin.
In un certo senso è la storia di una presa di coscienza che si rafforza sempre più nel tempo. L’evidenza dell’occupazione non lascia spazio a dubbi e perplessità sulla strada da prendere e con Tikva, anche il lettore viene condotto piano piano attraverso lo svolgersi della storia a un’unica e sicura conclusione: Israele è uno stato coloniale che occupa militarmente un altro popolo in modo feroce e tesse una fitta rete di menzogne per nascondere la realtà, la sua decadenza morale e la sua mancanza di umanità.