di Gianni Barbacetto
Ha un passato pesante, Paolo Savona. Dal punto di vista accademico, istituzionale e politico. Ma anche giudiziario. Il candidato presidente della Consob è rimasto invischiato in un paio di inchieste antipatiche. Nessuna condanna, per carità, ma fastidiose ombre che restano negli archivi di chi conserva memoria.
Savona viene indagato per corruzione, ma poi, nel 2007, archiviato. Da presidente della grande impresa di costruzioni Impregilo, è accusato di manovre corruttive per aggiudicarsi l’appalto per la costruzione del ponte di Messina e per la ristrutturazione della metropolitana di San Pietroburgo. Viene prosciolto. Ma le intercettazioni telefoniche lo inchiodano a intrallazzi realizzati con l’allora senatore Marcello Dell’Utri per far vincere Impregilo: “Non esiste che Astaldi (il concorrente, ndr) possa vincere quel tipo di cosa, vince Impregilo”, lo rassicura al telefono l’amico Carlo Pelanda. Il magistrato, il pm di Monza Walter Mapelli, nei suoi atti constata come la gara sia stata segnata dalla politica. E dalle mazzette: “Chiedo garanzia a voi perché a San Pietroburgo loro pagano la tangente, noi sono due anni che bisticciamo proprio per non… Loro dicono: e allora la paghiamo noi, ma tratteniamo la quota da voi”. Così sbotta Savona al telefono. È la proposta dell’azienda francese Vinci, che vorrebbe fare accordi con Impregilo, anche pagando tangenti. Non si sa come sia finita e dunque l’indagine viene archiviata.
Nel 2009 è la volta dell’aggiotaggio: è il reato che viene contestato dalla Procura di Milano a Savona, presidente di Impregilo, ma che decade per prescrizione. Nel febbraio e marzo 2003, l’azienda diffonde due comunicati in cui afferma che il bilancio di una società controllata, Imprepar, si sarebbe “chiuso in pareggio”. Entrambe le note, scrive il giudice, “erano false in quanto contenenti una stima di pareggio del bilancio di liquidazione contrastante con le stime del liquidatore”. Non solo: vengono “falsati” anche i crediti della società, che passano da “466 milioni” ai 497 comunicati da Savona alla Consob.
Nella sentenza del gip di Milano, Enrico Manzi, si legge che il modo di operare di Savona “è assolutamente censurabile”. “Si è in presenza di un metodo di formazione della contabilità e delle informazioni esterne affidato alla pura e semplice convenienza di immagine”. Tanto che “l’informazione esterna non tiene conto del vero dato: lo trasforma, lo manipola, diventa frutto di un desiderio e non di un riscontro oggettivo, nel rispetto delle regole del mercato e della trasparenza verso i risparmiatori”. È un buon viatico per chi, da presidente della Consob, dovrà controllare anche la correttezza delle comunicazioni fornite al mercato?
C’è poi una confessione di Savona che lo inchioda al passato più nero della “guerra non ortodossa” combattuta in Italia fino agli anni Ottanta: in teoria contro il comunismo (anche a colpi di stragi), in pratica contro la democrazia. L’ha raccontato lo stesso Savona in un convegno organizzato da Scenari Economici nell’ottobre 2015. Rivela che “nel 1963, in qualità di sottotenente di complemento nel Reggimento Leoni di Liguria a Sturla, Genova, zona politica calda, ho svolto esercitazioni nell’ambito del Piano Op (Ordine pubblico), nell’ipotesi in cui lo Stato fosse stato attaccato da forze eversive”.
Il compito assegnato al sottotenente Savona era quello di occupare, o di liberare nel caso in cui fosse stata occupata dai “ribelli”, la sede Rai di Genova. L’ambito è quello di Gladio, la pianificazione segreta anticomunista nata dall’accordo firmato dai servizi segreti italiano (Sifar) e americano (Cia) e sottratto al controllo costituzionale di Parlamento e governo. Per l’Italia, la firma era stata apposta dal generale Giovanni De Lorenzo, che l’anno dopo, nel 1964, appronterà il Piano Solo, che prevedeva l’occupazione dei centri di potere (tra cui le sedi Rai) e la deportazione degli oppositori politici “sovversivi”.
7 febbraio 2019