Due laboratori diversi operano congiuntamente sotto la guida del dottor Gianni Arcudi, medico legale del Vaticano e del dirigente medico della Polizia, Enza Livieri. In attesa dell’estrazione del DNA la famiglia Orlandi si è affidata al genetista del caso Yara Gambirasio: “Vogliamo vederci chiaro”.
Continua il mistero delle ossa sepolte sotto il pavimento della dependance di villa Giorgina. Che siano di Emanuela Orlandi o no, gli scheletri nell’armadio del Vaticano, stanno dando un ben da fare ai consulenti della Santa Sede. Ben due laboratori, infatti, quello di genetica forense e quello di merceologia, stanno lavorando sotto la guida del dottor Gianni Arcudi, medico legale dell’Università di Tor Vergata.
Due laboratori al lavoro sulle ossa
Il primo si occupa dell’analisi morfologica delle strutture ossee, quella che consentirà di accertare il sesso e l’età del soggetto o dei soggetti e di datare i resti; il secondo, invece, è al lavoro per determinare le caratteristiche fisico-chimiche del terreno dove sono state rinvenute le ossa. I frammenti, infatti, sono stati trovati sotto il pavimento di un edificio annesso alla sede della Nunziatura Apostolica Vaticana su suolo italiano, nel corso dei recenti lavori di ristrutturazione dei locali. Solo quando tutti i tecnici avranno terminato le analisi sarà possibile sapere a quali e quante persone appartengano i resti. Tutte le operazioni sono condotte da Arcudi insieme congiuntamente al dirigente medico della Polizia, Enza Livieri. Nonostante si tratti di un immobile di proprietà Santa Sede, le indagini, infatti, sono in capo alla Procura di Roma, che ha aperto un fascicolo per omicidio.
Orlandi si affida al consulente del caso Yara
Nell’attesa del compimento degli esami la famiglia Orlandi, intanto, ha nominato un consulente di parte per l’identificazione dei resti: si tratta dell’ex ufficiale del Ris, Giorgio Portera, già consulente della famiglia di Yara Gambirasio nel caso di omicidio della ginnasta di Brembate di Sopra. Il genetista prenderà parte alle operazioni di comparazione tra il DNA dei parenti di Emanuela – prelevato nel 2013 – e quello estratto dai resti trovati lo scorso 30 ottobre nei sotterranei di via Po. L’ipotesi che i resti appartengano proprio alla quindicenne cittadina vaticana scomparsa nell’estate del 1983, resta estremamente credibile.
“Il Papa sa cosa è successo a Emanuela”
Proprio in questi giorni Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ha ricordato la cosiddetta ‘trattativa’ che sarebbe andata in scena tra l’ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone e alti prelati del Vaticano sui resti di Emanuela, nel 2012, ribadendo che proprio dalla Santa Sede sarebbe venuto fuori il nome di Emanuela all’indomani del ritrovamento in via Po. “Papa Francesco sa che fine ha fatto mia sorella”, ha detto Pietro in diverse occasioni, ma del resto il coinvolgimento del Vaticano nel caso della studentessa, non è mai stato un mistero. Tra depistaggi veri o presunti, fu proprio l’allora segretario di Stato Pontificio, Agostino Casaroli, a raccogliere le prime segnalazioni riguardanti il caso, telefonate di cui oggi Pietro e la sua famiglia continuano a chiedere conto a Bergoglio, nel cossiddetto dossier su Emanuela.
19 novembre 2018