Carola Frediani
Le anticipazioni del libro di Schmidt contro la guerriglia digitale: «Sarà il terreno di scontro in campo economico»
MILANO – Avrà pure fatto un viaggio “umanitario” in Corea del Nord, ma alla Cina non le manda a dire. Una superpotenza pericolosa, anche e soprattutto per i metodi scorretti che utilizza, per la sua competizione sleale fatta di razzie nelle praterie della Rete. A lanciare simili bordate è nientemeno che Eric Schmidt, il presidente di Google, attraverso le pagine del suo ultimo libro, The New Digital Age, atteso per i primi di aprile ma di cui sono uscite alcune anticipazioni sul Wall Street Journal.
CINA SLEALE – Al di là degli scenari tecno-utopisti tratteggiati nel saggio, infatti, spicca la dura presa di posizione contro Pechino, che da tempo è impegnata a dominare il terreno ancora vergine della cyberwarfare, la guerriglia, lo spionaggio, le incursioni via internet. «La disparità tra aziende cinesi e americane e tra le loro tattiche metterà sia le imprese che il governo Usa in una condizione di netto svantaggio», teorizza Schmidt nel libro, perché «gli Stati Uniti non prenderanno la stessa strada dello spionaggio corporate digitale, essendo le loro leggi molto più severe (e meglio applicate), e perché questa competizione illecita viola il senso americano di fair play. Si tratta di una differenza non solo del sistema legale ma anche dei valori».
SPIONAGGIO E SABOTAGGIO – Sarà un caso, ma le anticipazioni sulle frasi di Schmidt arrivano proprio nei giorni in cui due delle principali testate americane, il New York Times e ilWall Street Journal, hanno rivelato di essere state attaccate da hacker cinesi a causa della pubblicazione di articoli scomodi riguardanti la Repubblica Popolare. Anche se il presidente di Google sembra dimenticare (in realtà non lo scorda, perché è comunque citato nel suo libro) che l’episodio più clamoroso di cyberwarfare riscontrato fino ad oggi a livello internazionale è di matrice statunitense (e probabilmente israeliana). Stiamo parlando di Stuxnet, il virus che ha bloccato le turbine di una centrale nucleare iraniana e che, a partire dalle stesse rivelazioni del New York Times, è stato sviluppato da mani americane. Resta il fatto, scrive Schmidt, che la Cina è il «più attivo ed entusiasta censore (filterer) di informazioni al mondo», ed anche il più «sofisticato e prolifico» hacker di aziende straniere. E la situazione starebbe diventando ancora più preoccupante a causa del grande balzo in avanti delle aziende tecnologiche cinesi, che producono infrastrutture di rete, come Huawei. Il presidente di Google le considera infatti la prima linea del processo di espansione della sfera di influenza digitale cinese.
IL CO-AUTORE – Per contestualizzare l’attacco frontale di Schmidt a Pechino, oltre ai pregressi dissidi tra Google e la Cina, bisogna considerare anche il coautore del libro The New Digital Age: Jared Cohen, 31 anni, oggi alla guida del think tank di Mountain View, Google Ideas, ma fino a ieri giovane e brillante consigliere di Condoleezza Rice e Hillary Clinton al Dipartimento di Stato americano. Quel Cohen, cioè, che avrebbe teorizzato la nuova arte di governo del ventunesimo secolo degli Stati Uniti, caratterizzata da un forte interventismo sul fronte della cyber-diplomazia. Un esempio? Fu proprio lui, durante le turbolente elezioni iraniane del 2009, a contattare l’amico Jack Dorsey, cofondatore di Twitter, per chiedergli di rimandare la manutenzione della piattaforma poiché altrimenti avrebbero tarpato le ali alle opposizioni. E fu lo stesso Cohen a volare in Egitto durante la rivoluzione del gennaio 2011 e a cenare con Wael Ghonim, dipendente di Google certo, ma anche attivista di spicco che successivamente venne pure arrestato.
OBAMA HACKER IN CHIEF – Le anticipazioni sul libro di Schmidt e Cohen escono tra l’altro anche in contemporanea con una svolta della Casa Bianca nella gestione della cyberwarfare. Si sarebbe appena conclusa, secondo indiscrezioni giornalistiche, una revisione legale delle “regole di ingaggio”, chiamiamole così, riguardanti le modalità con cui ordinare eventuali cyber-attacchi. Chi ha il potere di comandare azioni di guerra o guerriglia digitale negli Stati Uniti? Fino ad oggi questa facoltà era distribuita in modo non del tutto chiaro tra il Pentagono e varie agenzie di intelligence. Ma la propensione ora è di attribuire più poteri e responsabilità su questo fronte al presidente americano, in una naturale evoluzione da commander-in-chief ad “hacker-in-chief”. Del resto il Pentagono ha creato un dipartimento ad hoc, il Cyber Command, e ha recentemente alzato il budget previsto per le operazioni di cyberguerriglia, annunciando di voler reclutare 4mila nuovi esperti di sicurezza informatica oltre ai 900 già presenti. Anche a livello ufficiale per gli Stati Uniti non è più tempo di giocare in difesa.
4 febbraio 2013