Davide Conti
Un programma razzista, liberticida e dittatoriale fin dagli anni 20. Le sanguinarie imprese del fascismo in Jugoslavia, Albania, Grecia. Il duce: “Quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali”
Il fascismo non aspettò di certo la metà degli anni trenta (ovvero l’occupazione dell’Etiopia del 1936 e le leggi razziali del 1938) per manifestare il proprio intrinseco e costituente carattere razzista, liberticida e dittatoriale. Mussolini esplicitò fin dalle origini il suo «programma criminale» impegnando se stesso e poi il regime da lui guidato al mantenimento delle «promesse» lungo l’intero arco temporale del ventennio fascista, conformando la struttura identitaria della dittatura italiana a quelle linee programmatiche.
In questo articolo, in una misura necessariamente sintetica, indicheremo alcuni esempi della corrispondenza tra la verbale propaganda razzista del fascismo delle origini e le sue fattuali conseguenze una volta instaurata la dittatura sulle popolazioni civili dei Balcani.
Jugoslavia
Una particolare attenzione venne riservata dalle camice nere alla regione dei Balcani, destinata a divenire il principale campo di battaglia dell’imperialismo fascista in Europa.
Lo squadrismo riuscì a presentarsi fin dall’inizio degli anni 20 come elemento di sintesi delle istanze antislave (sul piano nazionalista) e anticomuniste (sul piano politico-sociale) dando rappresentanza a settori non marginali della società civile italiana che andavano dalla piccola e media borghesia alla proprietà terriera fino ai militari.
In questo quadro di embrionale manifestazione del fascismo Mussolini, a proposito della regione di confine con la Jugoslavia, poteva già scrivere nel 1920 sul «Popolo d’Italia»: «In altre plaghe d’Italia i fasci di combattimento sono appena una promessa, nella Venezia-Giulia sono l’elemento preponderante e dominante della situazione politica».
Il fascismo triestino ed istriano accanto alla lotta contro il sovversivismo sociale nelle terre della Venezia-Giulia sperimentò quel fascismo di frontiera che tra il 1920 ed il 1922 intensificò la propria azione violenta in tutta la regione sotto la guida di Francesco Giunta, a Trieste, e di Luigi Bilucaglia. All’attivismo anti-operaio promosso durante gli scioperi, in particolare a Pola, si associò una politica di provocazione e scontro con i gruppi croati fin dall’estate del 1920.
Il consenso ed il consolidamento politico dello squadrismo si manifestò quando Mussolini espresse le linee politiche anti-socialiste ed anti-slave del programma del fascismo nel suo intervento del 22 settembre 1920 a Pola: «Di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che da lo zuccherino, ma quella del bastone […] i confini dell’Italia devono essere: il Brennero, il Nevoso e le Dinariche […] io credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani» .[1]
Nel pieno della guerra di aggressione alla Jugoslavia e della pianificazione del controllo territoriale delle regioni balcaniche occupate, Mussolini, il 31 luglio 1942 a Gorizia, indicò ai generali Ugo Cavallero, Mario Roatta e Vittorio Ambrosio la linea di condotta che le truppe italiane avrebbero dovuto seguire:
«Sono convinto che al terrore dei partigiani si deve rispondere col ferro e col fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre […] come avete detto è cominciato un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto […] questa popolazione non ci amerà mai […] il ritmo delle operazioni deve essere sollecitato […] l’aviazione ha qui un compito abbastanza importante.
Questo territorio deve essere considerato territorio di esperienza. Non vi preoccupate del disagio della popolazione, lo ha voluto! Ne sconti le conseguenze, così come non mi preoccupo dell’università che sarà un focolaio contro di noi. Non sarei alieno dal trasferimento di masse di popolazione». [2]
Queste direttive politiche furono tradotte in termini operativi dai vertici del regio esercito rispetto al modus operandi delle truppe italiane impiegate nella controguerriglia anti-partigiana e nella repressione della popolazione civile.
Nel quadro di questa logica consequenziale i comandi militari dell’esercito mostrarono la propria corrispondenza agli ordini del duce attraverso la realizzazione di operazioni come quelle effettuate nella cittadina di Podhum attaccata il 12 luglio 1942 (91 uomini tra i 16 ed i 64 anni fucilati sul posto e altre 800 persone deportate) o nei villaggi di Zamet e nella zona di Danilovgrad che vennero rastrellati e rasi al suolo nell’agosto 1942 con l’approvazione di Mussolini.
Cicli operativi di questo tipo rientravano nella strategia di sostituzione della popolazione finalizzata ad uniformare confini politici e razziali nell’ambito del più generale progetto di snazionalizzazione:
«Il Duce ha approvato le modalità esecutive delle operazioni […]; abbiamo adottato il provvedimento successivo di sgomberare tutti gli uomini validi ad Arbe. Non importa se nell’interrogatorio si ha la sensazione di persone innocue […] quindi sgombero TOTALITARIO […] resta inteso che il provvedimento dell’internamento non elimina il provvedimento di fucilare tutti gli elementi colpevoli o sospetti di attività comunista. Non limitarsi negli internamenti. Le autorità superiori non sono aliene dall’internare tutti gli sloveni e mettere al loro posto gli italiani (famiglie dei caduti e dei feriti italiani). In altre parole far coincidere i confini razziali con quelli politici». [3]
D’altro canto la declinazione fascista di confini territoriali e confini razziali era stata sin dall’inizio della guerra una delle chiavi di lettura della misura imperialista del regime.
Mussolini il 10 giugno 1940 in un discorso tenuto alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni aveva affermato: «Noi avremmo potuto, volendo, spingere i nostri confini dai Velibiti alle Alpi albanesi ma avremmo, a mio avviso, commesso un errore […]; avremmo portato entro le nostre frontiere parecchie centinaia di migliaia di elementi allogeni, naturalmente ostili […]; gli Stati che si caricano di troppi elementi alloglotti hanno una vita travagliata […]; bisogna adottare verso di essi un trattamento speciale […]; quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali». [4]
Di fronte alla Resistenza jugoslava ed alla rivolta antifascista nella regione del Montenegro Mussolini cercò di ripristinare l’ordine fascista sul territorio inviandovi il generale di Corpo d’Armata Alessandro Pirzio Biroli che diverrà governatore del Montenegro e che al termine della guerra sarà iscritto nelle liste delle Nazioni Unite dei «presunti» criminali di guerra italiani in ragione delle misure di repressione operate contro la popolazione civile jugoslava:
«Recatevi a Cettigne per dirigere sul posto operazioni di questa che ormai è una guerra ed insieme ai poteri militari assumete quelli civili. F. to Mussolini». [5]
Al termine della guerra i danni complessivi denunciati dalla Jugoslavia alla Conferenza per le riparazioni di Parigi ammontarono a 9 miliardi e 145 milioni di dollari di danni materiali e 1.706.000 morti, pari al 10,8% della popolazione totale. Di questi, la stragrande maggioranza era rappresentata da vittime civili giacché, secondo le stime ufficiali jugoslave le perdite tra i combattenti inquadrati nelle formazioni partigiane E.P.L. e D.P.J. ammontarono complessivamente a 306.000 uomini. Queste cifre vennero integrate dai dati dei reduci dei campi di concentramento in Jugoslavia e Italia, dalla distruzione del 25% degli abitati e dai danni arrecati dagli occupanti ai rami dell’industria, dell’agricoltura dei trasporti e delle materie prime.
L’Italia a conclusione dei trattati di Parigi venne condannata a pagare alla Jugoslavia, a titolo di riparazione, 125 milioni di dollari. [6]
Nella riunione del 13 aprile 1939 del Gran Consiglio del Fascismo Mussolini affermò: «L’Albania è la Boemia dei Balcani, chi ha in mano l’Albania ha in mano la regione balcanica. L’Albania è una costante geografica dell’Italia. Ci assicura il controllo dell’Adriatico […] nell’Adriatico non entra più nessuno […] abbiamo allargato le sbarre del carcere del Mediterraneo». [7]
Il 7 aprile 1939 l’Albania venne occupata dalle truppe militari del regio esercito.
Nel corso della guerra la Resistenza albanese rappresentò il principale elemento politico di contrasto all’invasore fascista e per questo le misure di repressione territoriale assunsero un carattere uniforme a quello presente nel resto dei alcani occupati.
Il 14 luglio 1943 venne realizzata, dal regio esercito, un imponente operazione militare antipartigiana nei villaggi intorno a Mallakasha ed al termine di quattro giorni di combattimento, in cui vennero usati artiglieria pesante ed aviazione, tutti gli 80 villaggi della zona vennero rasi al suolo causando la morte di centinaia di civili.
Al termine della guerra l’eccidio di Mallakasha venne simbolicamente ricordato dalle autorità albanesi come la “Marzabotto albanese” ponendo in relazione i brutali metodi dell’occupazione tedesca in Italia e quelli fascisti in Albania.
Grecia
Nella riunione del 15 ottobre 1940 tenutasi a Palazzo Venezia Mussolini, Galeazzo Ciano, Pietro Badoglio, Mario Roatta, Soddu, Francesco Jacomoni e Visconti Prasca discussero della strategia che l’Italia avrebbe dovuto adottare per invadere la Grecia. Nei suoi interventi Mussolini non lasciò adito a dubbi sull’azione da intraprendere: «Lo scopo di questa riunione è quello di definire le modalità dell’azione – nel suo carattere generale – che ho deciso di iniziare contro la Grecia […] questa è un’azione che ho maturato lungamente da mesi e mesi; prima della nostra partecipazione alla guerra ed anche prima dell’inizio de conflitto[…] Fissata la data si tratta di sapere come diamo la parvenza della fatalità di questa nostra operazione. Una giustificazione di carattere generale è che la Grecia è alleata dei nostri nemici […] ma poi ci vuole l’incidente per il quale si possa dire che noi entriamo per mettere l’ordine. Se questo incidente lo fate sorgere è bene, se non lo determinate è lo stesso. […] è per dare un pò di fumo. Tuttavia è bene se potete fare in modo che ci sia l’appiglio all’accensione della miccia. […] Nessuno crederà a questa fatalità, ma per una giustificazione di carattere metafisico si potrà dire che era necessario venire ad una conclusione». [8]
A seguito delle attività provocatorie e terroristiche sostenute dal governo fascista, Mussolini spedì nelle prime ore del 28 ottobre 1940 l’ultimatum al governo di Metaxas nel quale si fece riferimento ai falsi attacchi subiti dall’Albania lungo la zona di confine che l’Italia aveva delimitato con la Grecia: «Il Governo italiano […] deve ricordare al governo greco l’azione provocatrice svolta verso la Nazione albanese con la politica terroristica da esso adottata nei riguardi della popolazione della Ciamuria e con i persistenti tentativi di creare disordini oltre le sue frontiere. […] Tutto questo non può essere dall’Italia ulteriormente tollerato […] il Governo italiano è venuto pertanto nella determinazione di chiedere al Governo greco, come garanzia della neutralità della Grecia e come garanzia di sicurezza per l’Italia, la facoltà di occupare con le proprie forze armate […] alcuni punti strategici in territorio greco […]; ove le truppe italiane dovessero incontrare resistenze, tali resistenze saranno piegate con le armi e il governo greco si assumerebbe la responsabilità delle conseguenze che ne deriverebbero». [9]
Nel corso del conflitto le difficoltà operative incontrate dal regio esercito spinsero all’utilizzo massiccio dell’aviazione per fiaccare l’opposizione delle truppe greche e per colpire gravemente la popolazione civile. Mussolini affermò perentorio ai suoi generali: «In questo periodo di sosta occorre che l’aviazione faccia quello che non possono fare gli altri. Questi bombardamenti incessanti dovranno: a) dimostrare alle popolazioni greche che il concorso dell’aviazione inglese è insufficiente o nulla; b) disorganizzare la vita civile della Grecia, seminando il panico dovunque. Quindi voi dovete scegliere – chilometro quadrato per chilometro quadrato – la Grecia da bombardare». [10]
Al termine del conflitto venne stilato un bilancio dei danni arrecati dagli occupanti alla Grecia in termini di vite umane, disarticolazione di settori strategici dell’economia nazionale e di distruzione dei villaggi e delle città che avevano subito bombardamenti, rastrellamenti e incendi da parte delle truppe nazifasciste.
I dati pubblicati nel 1946 nella relazione «Les sacrificies de la Grèce pendant la guèrre 1940-1945» (verificati dall’agenzia delle Nazioni Unite «United Nation Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA)» e dalla Croce Rossa) certificarono: «Il primo anno dell’occupazione (1941-1942) fu incontestabilmente il più doloroso per il popolo greco […]; molti paesi europei furono conquistati dall’Asse e videro le loro popolazioni in balia delle privazioni e delle sofferenze. Tuttavia nessun popolo ha sofferto quanto il popolo greco a seguito delle privazioni e della fame. […] Gli uomini, le donne e soprattutto i bambini che la fame aveva ridotto allo stato di scheletri vagavano per delle ore intere per le strade […] Tutte le mattine la polizia si occupava di sgomberare dalle strade decine, alle volte centinaia, di cadaveri.
Di tutti i paesi conquistati la Grecia è quella che conta proporzionalmente la più grande quantità di ostaggi e vittime delle persecuzioni e di esecuzioni. Prova inconfutabile della partecipazione unanime del popolo greco alla resistenza nazionale. […] Tremilasettecento (3.700) villaggi e città furono in tutto distrutti, una parte a seguito di bombardamenti, saccheggi ed incendi. A seguito di queste distruzioni 1.200.000 persone, cioè 1/6 della popolazione totale del paese si trovano senza riparo. 88.000 famiglie contadine nelle macerie delle loro abitazioni, 30.000 famiglie contadine vivono in case semidistrutte, 510.000 famiglie urbane sono miseramente alloggiate. […] L’armata dei partigiani ingaggiò nelle montagne dei duri combattimenti di cui il prezzo fu pesante. Con le rappresaglie gli occupanti massacrarono più di 40.000 persone, per lo più donne e bambini, e incendiarono 3.000 villaggi». [11]
Secondo i dati forniti dal rapporto i morti in totale durante l’occupazione della Grecia ammonterebbero ad un totale di 620.000 persone: 360.000 morti a causa della fame; 30.000 morti a causa della guerra; 7.000 vittime dei bombardamenti; 43.000 persone uccise da esecuzioni operate da tedeschi (35.000) ed italiani (8.000); 25.000 persone uccise da esecuzioni operate dai bulgari; 60.000 morti tra la popolazione giovanile; 45.000 morti tra gli ostaggi ed i prigionieri dei nazifascisti; 50.000 morti tra le file della resistenza greca.
Oltre 190.000 persone risultano perseguitate ed imprigionate dalle truppe occupanti: 100.000 da parte tedesca; 35.000 da parte italiana; 50.000 da parte bulgara; 5.000 da parte delle milizie albanesi inquadrate, addestrate e comandate dall’esercito italiano.
Le deportazioni dei prigionieri fuori dal territorio greco raggiunsero la cifra di 88.000: 40.000 eseguite dai tedeschi; 18.000 dagli italiani; 30.000 dai bulgari. [12]
Dall’Italia all’Africa, dai Balcani alla Russia le promesse criminali di Mussolini erano state mantenute. Fu la Resistenza a farsi carico di chiederne conto al dittatore e ai suoi gerarchi.
Davide Conti, Curatore per l’Archivio Storico del Senato della Repubblica del riordino dei fondi «Rosario Bentivegna»; «Carla Capponi»; «Mario Fiorentini-Lucia Ottobrini»
[1] T.Sala-S. Bon Gherardi, L’Istria tra le due guerre, Bollati Boringhieri, Torino, p.30. [2] U.Cavallero, Diario, edizioni Ciarrapico, 1984, Cassino, p. 443. [3] Verbale 2 agosto 1942 della riunione di Kocevje indetta dal generale Mario Robotti, in «Quaderni della Resistenza», Anpi Friuli-Venezia Giulia, n.10, Udine 2003, pp. 30-31. [4] «Il Piccolo di Trieste» 11 giugno 1941. [5] Archivio Storico Ministero Affari Esteri (Asmae), Gabinetto del Ministro e della Segreteria Generale 1923-1943, serie V, busta 2, AP 49, Montenegro, telegramma n.20983 del luglio 1941 di Mussolini al generale Pirzio Biroli. [6] Cifre della Commissione jugoslava presentate nella Conferenza per le riparazioni di guerra tenutasi a Parigi nel 1945, in J. Marjanovic,Guerra popolare e rivoluzione il Jugoslavia 1941-1945, Ediz. Avanti! Milano 1962 pp. 153-154. [7] Verbale riunione Gran Consiglio del Fascismo 13 marzo 1939, in E. Misefari, La Resistenza degli albanesi all’imperialismo italiano, Ediz. Cultura popolare, Milano 1976. [8] Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito (USSME), documenti del Tomo II, «La Campagna di Grecia», verbale riunione di Roma 15 ottobre 1940, documento n.52, pp. 159-163. [9] Ussme, ibidem, nota del governo italiano al governo greco presentata dal Ministro Grazzi al Presidente del consiglio ellenico alle ore 3 antimeridiane del 28 ottobre 1940, documento n. 65, pp. 184-185. [10] Ussme, ibidem, verbale riunione tenuta di Roma del 10 novembre 1940, documento n.99, p. 314. [11] «Les Sacrificies de la Grèce pedant la guèrre 1940-1945», Edition de la Ligue «La Paix par la Justice», Atene 1946. [12] Ibidem.
20 novembre 2018