LAMEZIA TERME Forse il 2017 della cronaca potrebbe essere descritto da una foto dei brigadieri Fava e Garofalo. Due delitti – commessi tra il dicembre 1993 e il febbraio 1994 – che oggi la Dda di Reggio Calabria racconta sotto una luce nuova e più inquietante. È il 26 luglio 2017 e l’operazione ‘Ndrangheta stragista svela come anche i clan calabresi abbiano partecipato alla strategia degli attentati continentali negli anni Novanta. Nel novero della guerra mossa dalle mafie allo Stato sarebbero da ascrivere anche i tre agguati reggini ai carabinieri, costati la vita a Fava e Garofalo e il ferimento di altri quattro militari. Una strategia della tensione – ipotizza l’inchiesta – che mirava ad imporre un governo amico per sostituire i vecchi referenti politici. In anni nei quali la consistenza criminale delle ‘ndrine veniva sminuita, per non dire negata, i boss pianificavano un’escalation militare senza precedenti.
LA RETE DELLA MASSOMAFIA Forse, invece, la foto simbolo è quella di un cappuccio e di un compasso. E di stanze che hanno ospitato (e ospitano) le riunioni di logge massoniche che si sono aperte alla presenza degli ‘ndranghetisti. A dicembre la Commissione parlamentare antimafia ha messo nero su bianco nomi, cifre e riscontri capaci di scuotere le fondamenta di tutte le obbedienze italiane. La relazione approvata sul rush finale della legislatura è pesantissima: spiega che i Gran maestro convocati hanno mentito per coprire la riservatezza e il buon nome delle proprie logge. E invece sono 193 gli affiliati alle logge massoniche di Sicilia e Calabria coinvolti o lambiti da inchieste di mafia. Per la commissione significa «una mancata o quanto meno parziale efficacia delle procedure predisposte dalle varie associazioni per la selezione preventiva dei propri membri». In molti casi, i procedimenti si sono conclusi con l’archiviazione, il proscioglimento o un non luogo a procedere per morte del reo. Ma alcuni – e non sono pochi – si sono conclusi con condanne definitive. Anche pesanti.
IL SISTEMA DEGLI APPALTI Altre istantanee, altri sistemi. Nel mirino dei magistrati antimafia di Catanzaro e Reggio Calabria finisce una montagna di appalti e denari pubblici. È un sistema integrato quello che, da Cosenza a Gioia Tauro, sembra aver piegato gli appalti pubblici al codice della ‘ndrangheta. Lo Stato batte un colpo il 19 gennaio: ferma 35 persone e sequestra 54 imprese. Al centro dell’indagine, l’attività di due gruppi imprenditoriali, i Bagalà di Gioia Tauro, presunta espressione del clan Piromalli, e il cosentino Barbieri, che sarebbe legato ai Muto di Cetraro. I due gruppi imprenditoriali hanno più volte lavorato insieme – i Barbieri hanno lavorato al waterfront di Gioia Tauro, i Bagalà a piazza Bilotti a Cosenza – dimostrando, secondo l’accusa, di avere metodi speculari e ugualmente illeciti per accaparrarsi gli appalti pubblici per centinaia di milioni di euro. «Cambiano i metodi, ma l’inquinamento delle gare per mettere le mani sugli appalti pubblici non è cosa nuova per la ‘ndrangheta», commenta il procuratore capo Nicola Gratteri.
TUTTI AMICI ALLA SACAL È un sistema anche quello scoperchiato in aprile dalla Procura di Lamezia negli uffici di Sacal. L’inchiesta Eumenidi evidenzia pressioni indebite di ogni tipo, anche perpetrate da politici locali e dirigenti pubblici, per le selezioni dei lavoratori da inserire in “Garanzia Giovani”. Ottengono il posto soltanto amici e parenti degli indagati, attraverso interventi artificiosi sulle procedure previste dal bando pubblico.È la Calabria in cui gli “amici degli amici” trovano spazio a prescindere dalle capacità, secondo un cliché che mescola livello gestionale e politico. Il vantaggio, in questi casi, è che i cda delle società miste mettono insieme tutti. Ed è più facile trovare un accordo. Risultato: clientela batte meritocrazia dieci a zero. L’avviso di garanzia recapitato agli indagati è un bignami di relazioni politico-istituzionali deviate. Con tanto di nomi dei raccomandati messi nero su bianco su quaderni e cartelline sequestrati dagli uomini della Guardia di finanza nel corso delle loro visite in aeroporto. Il management della società che gestisce l’aeroporto di Lamezia (e, da qualche mese, anche quelli di Reggio Calabria e Crotone) finisce gambe all’aria.
PRENDERE AI POVERI Gli abusi non riguardano soltanto “Garanzia Giovani”. In Calabria anche gli aiuti ai meno abbienti possono diventare un (presunto) modo per arricchirsi. Non ci si sposta di molto, perché l’epicentro dell’inchiesta “Robin Hood” (lo scandalo scoppia a febbraio) si snoda tra Catanzaro – sede di Calabria Etica, la fondazione che gestiva il Credito sociale –, Lamezia – fulcro delle attività dell’ex presidente dell’ente, Pasqualino Ruberto – e Vibo Valentia, baricentro della vita pubblica di Nazzareno Salerno, ex assessore regionale che finirà agli arresti con l’accusa di aver sottratto fondi destinati ai poveri per farli transitare sui propri conti. Salerno, una volta scarcerato, è tornato in consiglio regionale. Ma l’inchiesta avanza (la Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio per 17 persone).
IL GOTHA A GIUDIZIO Il 9 marzo 2017, invece, il senatore Antonio Caridi, indagato nella maxi-inchiesta Gotha per associazione mafiosa e altri reati, viene rinviato a giudizio. Insieme a lui devono presentarsi di fronte ai giudici del Tribunale di Reggio Calabria anche l’ex deputato Psdi, Paolo Romeo, considerato al vertice della direzione strategica della ‘ndrangheta reggina, il suo braccio destro, Antonio Marra. Dovranno affrontare il dibattimento anche l’ex controverso canonico di Polsi, Don Pino Strangio, il giudice Giuseppe Tuccio, il dirigente comunale Marcello Cammera, il marchese Saverio Genoese Zerbi, l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra. Sceglie invece di essere giudicato con il rito abbreviato l’avvocato Giorgio De Stefano. Tutti quanti sono finiti al centro dell’inchiesta che ha scattato la fotografia più attuale della ‘ndrangheta reggina, che sarebbe guidata da una direzione strategica, di cui Romeo e De Stefano sono espressione, in grado di condizionare – grazie ai “riservati” alle loro dipendenze – lo sviluppo politico, economico e sociale di Reggio Calabria e non solo.
MIGRANTI DA SPOLPARE Se, da un lato, i clan pensano a governare sui territori, dall’altro non disdegnano di inserirsi nei processi storici per trarne grossi guadagni. L’operazione “Johnny” ha messo nel mirino l’infiltrazione delle mafie nel Cara di Isola Capo Rizzuto. Secondo le indagini della Dda di Catanzaro, circa 32 milioni di euro sono stati distratti al loro uso, ossia l’assistenza ai migranti e finiti nelle tasche della cosca Arena grazie ai raggiri dei vertici della Misericordia, come il governatore Leonardo Sacco. In carcere, a maggio, è finito anche il parroco di Isola, don Edoardo Scordio. Il sacerdote fermato (è stato successivamente scarcerato) ha avuto finanziamenti per 132mila euro in un anno per «assistenza spirituale». Un capitolato d’appalto prevedeva che i profughi fossero dotati di giornali. Sono state analizzate dagli inquirenti una serie di note di debito da cui si evince che siccome i giornali si deteriorano, la Misericordia avesse preferito destinare questo denaro all’assistenza spirituale. Il business interessa molto alla ‘ndrangheta. Lo dimostra il commissariamento, in ottobre, di tre centri d’accoglienza per migranti nel Vibonese. Alla base della scelta un’interdittiva antimafia scattata nei confronti di due cooperative che gestiscono centri d’accoglienza a Briatico. Nel mirino sono finite alcune forniture che sarebbero state date in subappalto a una società in odore di ‘ndrangheta.
CRISALIDE ABBATTE LAMEZIA Le interdittive antimafie segnano l’ultimo scorcio del 2017, soprattutto a Lamezia. Perché finiscono per incrociarsi – soprattutto quella alla società che gestiva le mense scolastiche – con lo scioglimento del consiglio comunale. Politica, burocrazia, impresa trovano spazio nelle 240 che raccontano i mali della città della Piana. Pagine contestate, una per una, dal sindaco Mascaro che intende ricorrere al Tar. Parte tutto da un’altra operazione della Dda di Catanzaro, “Crisalide”. E da un misterioso candidato incappucciato: secondo l’accusa, si nasconde mentre briga per ottenere il sostegno di una cosca. Quando “Crisalide” (a maggio) si abbatte sul Comune di Lamezia nessuno immagina che possa diventare ciò che in effetti sarà: una slavina che travolge l’amministrazione comunale. In giunta fioccano le dimissioni, si moltiplicano le informative che segnalano relazioni pericolose tra candidati e gruppi criminali. E, a Palazzo, si insedia la Commissione d’accesso antimafia che consiglierà al prefetto di proporre l’azzeramento dell’assemblea comunale. Sarà il governo, su indicazione del ministro dell’Interno Marco Minniti, a ratificarla nel mese di novembre.
REGGIO SALUTA DE RAHO È lo stesso mese in cui dopo quattro anni di servizio nell’ufficio calabrese dello Stretto, il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho viene chiamato a guidare la Direzione nazionale Antimafia. Il Consiglio Superiore della Magistratura ha votato per lui all’unanimità dopo il ritiro del candidato di minoranza Roberto Scarpinato.
LA GIUNTA PERDE UN PEZZO È una delle ultime inchieste firmate dal procuratore a provocare uno smottamento all’interno della giunta regionale. Tra gli indagati dell’operazione Mandamento Jonico (che porta all’arresto di 116 fra capi e gregari di 23 clan della Jonica, insieme a quelli dei Serraino e dei Ficara-Latella di Reggio Calabria, e delle famiglie di Sinopoli) c’è anche – ma non per reati legati alla criminalità organizzata – l’assessore alle Attività produttive Carmen Barbalace. Una posizione marginale, la sua: è accusata di concorso in truffa e falso per aver fatto parte, in epoca antecedente la sua nomina ad assessore, della commissione che approvò un finanziamento in favore di appartenenti alla cosca Barbaro di Platì. Nonostante questo decide di dimettersi a 24 ore dalla pubblicazione della notizia. In agosto, per lei arriva una nomina riparatrice. L’ex assessore, infatti, diventa la vice del capo di Gabinetto della giunta Gaetano Pignanelli. Anche Pignanelli è indagato, dalla Procura di Castrovillari, per la presunta truffa sul legname a Calabria. Per lui è stato chiesto il rinvio a giudizio.
UNA STATALE CHE SI SGRETOLA Ancora lontana dall’approdo davanti al gup ma potenzialmente esplosiva è un’altra inchiesta, legata però ai lavori pubblici. L’ha avviata la Procura di Catanzaro dopo i cedimenti sul nuovo tratto della Statale 106 inaugurato pochi anni fa nel territorio di Catanzaro. Un pezzo di strada nuovo che continua a sgretolarsi svincolo dopo svincolo, uscita dopo uscita. In questo caso le foto funzionano meglio delle parole. E i carotaggi compiuti nelle settimane scorse su impulso degli uffici giudiziari catanzaresi potrebbero funzionare da atto d’accusa nei confronti di chi quei lavori li ha portati a termini. E di coloro i quali non ne hanno controllato l’efficacia.
SPEZZATINO ILLEGALE Lavori pubblici sotto la lente d’ingrandimento pure a Cosenza. Per il procuratore capo Mario Spagnuolo si tratta di «reati gravissimi». Sono quelli descritti dal «sistema» che avrebbero messo a punto i burocrati in servizio a Palazzo dei Bruzi, rei di aver favorito sempre le stesse ditte nella realizzazione delle opere pubbliche spacchettando l’intera somma dei lavori in cifre inferiori ai 40mila euro e predisponendo così l’assegnazione per somma urgenza e senza passare dalla gara d’appalto. L’inchiesta, nata da un esposto del senatore grillino Nicola Morra, conta 14 indagati. Ma le indagini delle fiamme gialle non si fermano solo ai reati della pubblica amministrazione. Il procuratore aggiunto Marisa Manzini ha coordinato le indagini relative agli affidamenti diretti: «I dirigenti del Comune di Cosenza hanno dimostrato di avere rapporti eccessivamente stretti con degli imprenditori le imputazioni sono per falso e abuso d’ufficio, per lavori dati in affidamento sempre alle solite imprese, e riguardano vari appalti, l’affidamento per le luminarie natalizie e i canili».
IL ROGO DEGLI INVISIBILI La Procura di Cosenza indaga da agosto sul rogo del centro storico nel quale hanno perso la vita tre persone. Tre “invisibili”: della loro scomparsa restano il dolore e la rabbia dei vicini. Antonio Noce, Roberto Golia e Serafina Speranza se ne sono andati dopo aver chiesto inutilmente aiuto, bloccati in un appartamento che dà sul duomo, uno dei simboli della città. La stessa città che si è interrogata per settimane sul mistero dei beni distrutti nell’incendio.
LA COPPIA OMICIDI Alla voce “misteri”, però, quello più fitto è legato a Marco Gallo e Federica Guerrise. Lui perito tecnico, lei infermiera, residenti a Falerna: una vita tranquilla, mai risultati in contatto con le organizzazioni criminali che infestano la Piana di Sant’Eufemia. Eppure questa coppia di insospettabili parrebbe essere dedita ad attività criminali efferate. Nessun attrito personale con le vittime, il movente ipotizzato è, quindi, il freddo tornaconto economico del delitto su commissione. Ma su questi aspetti le indagini sono ancora aperte. Sul capo di questi nostrani “Mr and Mrs Smith” (il film con Brad Pitt e Angelina Jolie, ndr), pende l’accusa di omicidio. Lui, Marco Gallo, è accusato dell’assassinio avvenuto a Catanzaro del dipendente delle Ferrovie della Calabria, Gregorio Mezzatesta, (reato per il quale era stato tratto in arresto a luglio dalla Procura di Catanzaro) e anche di avere teso l’agguato mortale, a Lamezia Terme, a gennaio 2017, nei confronti di Francesco Berlingeri, 57 anni, fruttivendolo di etnia rom. Lei, Federica Guerrise, si trova in carcere a Castrovillari con l’accusa di concorso morale e materiale per l’omicidio Berlingeri. Due insospettabili per un mistero che potrebbe dipanarsi attraverso altri atti di sangue.
Pablo Petrasso
1 gennaio 2018