a cura di AM
Lo spettro del default Usa frena la Borse.
Milano scatta nel finale e chiude in rialzo
Negli Stati Uniti continua la paralisi politica che ha già causato lo shutdown di diverse attività nazionali: per evitare il fallimento restano 10 giorni, ma Repubblicani e Democratici sono fermi sulle loro posizioni. Buffett: “E’ una bomba atomica”. Piazza Affari in controtendenza, lo spread stabile sotto 250 punti con rendimento al 4,3%
di GIULIANO BALESTRERI
Eppure dopo lo shutdown, la paralisi che da una settimana sta bloccando le attività statali americane per mancanza di fondi (foto), non ha spinto Democratici e Repubblicani a trovare un accordo con le accuse che vengono rimpallata da una parte all’altra: “Il credito della nazione è a rischio a causa del rifiuto dell’amministrazione di sedersi e discutere”. ha detto lo speaker repubblicano alla Camera, John Boehner in un’intervista alla Abc. Due anni fa fu trovato un accordo in extremis, ma da allora non sono più stati fatti passi avanti per mettere in sicurezza i conti americani e così a marzo sono scattati i sequester, i tagli automatici alla spesa pubblica prevista dalla legge che frenano la già fragile riprese americana. Protesta la Cina che detiene oltre 1.200 miliardi di dollari di debito americano e vuole “garanzie di stabilità” per i propri investimenti negli Stati Uniti.
In questo contesto le Borse europee chiudono deboli, ma Piazza Affari allunga a un’ora dal termine delle contrattazioni grazie alle banche e il Ftse Mib segna il +0,66% finale. Gli altri principali listini del Vecchio continente chiudono invece deboli: Londra arretra dello 0,26%, Francoforte cede lo 0,36% e la sola Parigi riesce a tornare sulla pari (+0,03%). In ribasso Wall Street: mentre in Europa terminano gli scambi il Dow Jones cede lo 0,65%, in linea con il Nasdaq e l’S&P 500.
Tra i singoli titoli della Borsa italiana si registra la performance positiva, oltre a World Duty Free, di Mps, nel giorno del cda chimato ad approvare il piano di ristrutturazione. Bene anche Finmeccanica, dopo il passaggio di Ansaldo Energia al Fondo strategico della Cdp, mentre soffrono Exor, Campari e Telecom, sulla quale pesa sempre il rischio downgrade.
Giornata interlocutoria sul mercato dei cambi, con l’euro che chiude la seduta stabile a 1,3561 dollari e 131,60 yen. Fa meno paura, invece, l’Italia dove il governo Letta è rinvigorito dopo aver incassato la settimana scorsa un doppio voto di fiducia. Si registra comunque un leggero rialzo per lo spread, la differenza di rendimento tra Btp e Bund, che si colloca a 248 punti base, per un rendimento dei titoli di Stato italiani vicino al 4,3%.
In mattinata, intanto, la Borsa di Tokyo ha archiviato il quarto ribasso consecutivo piombando ai nuovi minimi da un mese per le ripercussioni del perdurante shutdown Usa: l’apprezzamento dello yen penalizza i settori dell’economia nipponica maggiormente esposti sul fronte dell’export. In chiusura l’indice Nikkei dei 225 titoli-guida ha perso dunque 170,99 punti pari all’1,22% ed è sceso a quota 13.853,32, la più bassa dal 6 settembre scorso: e in precedenza aveva pur brevemente toccato quota 13.841,93. Male oggi anche il Topix relativo all’intero listino, che a sua volta ha ceduto 16,24 punti pari all’1,40% per attestarsi infine a quota 1.147,58.
Sul fronte delle materie prime, l’oro è in ripresa sulle attese di un protrarsi dell’intervento di stimolo all’economia da parte della Federal Reserve negli Stati Uniti per evitare le conseguenze della paralisi statale causata dal mancato accordo sul bilancio. Il metallo con consegna immediata, alla chiusura dei mercati europei, recupera quasi un punto percentuale sopra quota 1.320 dollari l’oncia; da inizio anno i timori di un ritiro degli stimoli all’economia avevano fatto crollare le quotazioni del lingotto del 22%. Il prezzo del petrolio, invece, è in calo ma il Wti resta sopra 103 dollari al barile. ______________________________
7 ottobre 2013
Paralisi politica negli Stati Uniti
Monito della Cina sul default Usa. Obama: sarebbe una catastrofe
Il possibile default degli Stati Uniti preoccupa la Cina, che ha in mano gran parte del debito pubblico Usa e che lancia l’allarme: Washington deve fare i passi decisivi per evitare la crisi del debito e garantire la sicurezza degli investimenti
Washington, Stati Uniti, 07 Ottobre 2013
Il muro contro muro della politica di Washington preoccupa la Cina che lancia l’allarme: gli Stati Uniti devono fare i passi decisivi per evitare la crisi del debito e garantire la sicurezza dei nostri investimenti.
Il monito cinese
Un monito che viene dal vice ministro delle Finanze cinese, Zhu Guangyao, a 10 giorni dalla data fatidica del 17 ottobre, giorno in cui il Congresso americano è chiamato ad approvare l’innalzamento del suo debito se vuole evitare un drammatico default dalle conseguenze inimmaginabili per l’economia mondiale, non solo quella americana. Lo stesso Obama ha ribadito che il ‘fallimento tecnico’ avrebbe un “impatto catastrofico”. Ne è consapevole la Cina, la potenza industriale con i maggiori margini di crescita al mondo, che ha in mano gran parte del debito pubblico Usa.
Cina, il maggior creditore degli Usa
Secondo i più recenti dati diffusi dal Tesoro, il governo di Pechino è infatti il maggiore creditore estero, possedendo circa 1280 miliardi di dollari in titoli americani. “Speriamo che gli Stati Uniti abbiano capito le lezioni della storia”, ha detto Zhu facendo riferimento allo stallo che nel 2011 portò al primo downgrade della storia degli Stati Uniti.
Lo stallo di Washington
Tuttavia, a Washington prosegue lo stallo e il braccio di ferro. La Casa Bianca ha appoggiato la legge presentata dai senatori democratici con cui si innalzerebbe il tetto del debito per un solo anno, considerato il periodo utile per uscire dalle incertezze sui mercati. Ma malgrado Barack Obama sia rimasto in città – cancellando un importantissimo vertice a Bali – il sentiero per un accordo rimane strettissimo, non solo per la madre di tutte le battaglie, quella del debito, ma anche sul fronte più limitato dello shutdown, la chiusura dello Stato Federale che entra nella seconda settimana.
Le conseguenze dello shutdown
In una capitale travolta dal maltempo, la Casa Bianca e il partito repubblicano, in particolare il gruppo di deputati che ha la maggioranza alla Camera, restano ognuno sulle proprie posizioni. Obama ha fatto visita alla sede della Fema, l’Agenzia Federale che si occupa della Protezione Civile americana. Qui ha ringraziato i 100 addetti richiamati al lavoro senza percepire alcuna paga per far fronte alla tempesta tropicale Karen che si sta abbattendo tra New York e Washington. “Vi ringrazio per il vostro senso del dovere, chissà che non possiate essere di esempio per i parlamentari, perchè facciano il loro lavoro”, ha detto Obama. Quindi è tornato a chiedere ai deputati repubblicani di approvare il finanziamento dello Stato, in modo da farla finita con lo shutdown. Alle proteste della destra, Obama, a muso duro, ha replicato che il partito democratico ha già concesso un compromesso, accettando in passato livelli di spesa richiesti dai repubblicani più bassi di quelli che avrebbe voluto. Quindi, ha sfidato apertamente la leadership repubblicana dello speaker John Boehner: “Sono convinto che alla Camera, tra democratici e repubblicani, ci siano i voti per far cessare la chiusura dello Stato Federale. Arriviamo oggi a un voto, e vediamo che succede”.
I sondaggi
I sondaggi intanto dicono che la linea dura potrebbe costare caro ai repubblicani: gli americani in maggioranza danno a loro la colpa dello stallo e se si votasse oggi il partito dell’elefante perderebbe l’attuale maggioranza alla Camera.