di Gianni Barbacertto
È tornato. Di nuovo in campo. Pronto alla campagna elettorale, Silvio Berlusconi sfodera l’ultima idea venuta al suo avvocato, Niccolò Ghedini: chiedere la riabilitazione in Cassazione e presentare una “candidatura con riserva”. Schermaglie destinate più alla propaganda politica che a ottenere concreti risultati giudiziari. Anche perché Silvio Berlusconi, che è tornato a indossare i panni del leader politico, resta però ancora coinvolto in procedimenti giudiziari: è tre volte imputato, a Milano, a Torino e a Bari, oltre che indagato, a Firenze.
L’ultima cattiva notizia gli è arrivata da Torino: la Procura della Repubblica ha chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione in atti giudiziari. Secondo l’accusa, avrebbe pagato una ragazza, Roberta Bonasia, perché raccontasse il falso ai giudici sulle “cene eleganti” di Arcore, nel 2010, ai bei tempi del bunga-bunga. È uno dei filoni del cosiddetto Ruby 3, il procedimento aperto dalla Procura di Milano e poi spezzettato da un giudice in tanti rivoli arrivati in diverse città d’Italia.
Il processo principale si è già aperto a Milano. I pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio hanno raccolto prove per sostenere che l’ex presidente del Consiglio ha pagato 10 milioni di euro ad alcune ospiti delle feste di Arcore, per addomesticare le loro testimonianze sotto giuramento davanti ai giudici dei processi Ruby 1 e Ruby 2. Hanno indagato 30 testimoni, oltre a Berlusconi, tutti accusati di falsa testimonianza. Di questi, 21 ragazze (tra cui Karima El Mahroug detta Ruby, la ragazza allora minorenne da cui tutto partì) devono rispondere con il fondatore di Forza Italia anche di corruzione in atti giudiziari.
Berlusconi resta imputato anche a Bari. È accusato di aver indotto un possibile testimone a mentire ai magistrati baresi, a suon di soldi: è Gianpaolo Tarantini detto Gianpi, l’intraprendente imprenditore pugliese che forniva ragazze a pagamento per le feste romane del risuscitato leader di Forza Italia. È in corso l’udienza preliminare che deciderà se rinviarlo a giudizio.
A Napoli c’è invece la coda di un processo per corruzione. La Procura gli ha contestato di aver pagato 3 milioni di euro a un senatore dell’Italia dei valori, Sergio De Gregorio, per strapparlo al suo partito e farlo passare nelle schiere del Popolo della libertà. Una mossa per indebolire l’allora maggioranza che sosteneva il governo di Romano Prodi, che infatti nel 2008 cadde, aprendo le porte alle nuove elezioni poi vinte da Berlusconi. Condannato in primo grado, l’ex cavaliere in appello è stato dichiarato prescritto, ma con una sentenza che conferma i fatti commessi e l’imposizione a risarcire il danno al Senato, che si è costituito parte civile. Ora la Cassazione dovrà chiudere la partita.
A Firenze l’indagine più delicata: sulle stragi di mafia del 1993. Era stato già due volte indagato, in passato, e due volte archiviato, insieme al suo braccio destro Marcello Dell’Utri. Ora la Procura fiorentina, che ha il compito di fare luce sulla stagione stragista dei primi anni Novanta, ha di nuovo iscritto sul registro degli indagati Berlusconi e Dell’Utri, per verificare le parole pronunciate in carcere (e intercettate) dal boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, gran regista delle bombe scoppiate “in continente”, a Firenze, Roma e Milano, nel 1993.
“Berlusconi mi ha chiesto questa cortesia, per questo c’è stata l’urgenza”, diceva Graviano al suo compagno dell’ora d’aria, il camorrista Umberto Adinolfi. Era il 10 aprile 2016 e le telecamere nascoste della Direzione investigativa antimafia registravano il dialogo tra i due. “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi”, spiegava Graviano. “E lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa”. Poi sbottava: “Trent’anni fa, venticinque anni fa, mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere. Poi mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi. Per cosa? Per i soldi, perché ti rimangono i soldi”.
Tre volte imputato e ancora indagato, come possibile mandante delle stragi di Cosa nostra. Così Berlusconi si avvia alla campagna elettorale.