“Lavoro” …. in palio
“Lavoro” ad estrazione, a sorte, a punti, a premi….
…. merce, merce, merce, null’altro che merce!
di mommorosso comunista
Rileggere ora, nell’attuale situazione italiana, i primi articoli della nostra bella Costituzione del 1948, nata dalla resistenza antifascista, ad opera soprattutto dei comunisti, devo ammettere, fa male al cuore.
Art. 1
L’Italia e’ una Repubblica democratica, fondata sul lavoro……..
Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art. 3
………..
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Il lavoro come diritto, dunque il corrispondente dovere della Repubblica Italiana di rendere effettivo questo diritto, reale; il dovere di trovare un lavoro a tutti e adeguato ad ognuno, un lavoro che contribuisca ad elevare la dignità e libertà umana, in quanto commisurato ai desideri, alle capacità, alla forza di ciascuno di noi, oltre che alle effettive necessità. Un lavoro per tutti, nessuno escluso, avrebbe comportato la divisione del lavoro socialmente necessario tra tutti i cittadini italiani, dunque il “lavorare meno per lavorare tutti”, ovviamente a parità di salario sociale (il salario sociale è tutto il reddito diretto, indiretto e differito che ci serve per vivere e riprodurci, dunque , stipendio, sanità pubblica gratuita, scuola pubblica gratuita, pensioni pubbliche, etc.).
Purtroppo è rimasto solo un sogno, che si sarebbe forse realizzato se la Costituzione fosse stata applicata in tutte le sue parti ed articolazioni, dunque ne fosse stato attuato il relativo programma sociale.
Non è mia intenzione analizzare qui gli aspetti costituzionali del diritto al lavoro, lascio ad altri soggetti, ben più preparati di me, che scrivono anche su iskrae.eu questi aspetti (es. Movimento Nazionale Antifascista Difesa e Rilancio della Costituzione, etc.); qui voglio solamente criticare, dal punto di vista “marxista”, e premettendo appunto gli articoli 1, 3 e 4 della Costituzione, questa notizia apparsa sul FattoQuotidiano.it.
Proprio così, avete letto bene, si può “vincere” un posto di lavoro, a scadenza certa, ossia a tempo determinato, raccogliendo punti in un supermercato, partecipando, sempre in un negozio di una catena commerciale, ad un concorso a premi (sia le raccolte punti che i concorsi sono subordinati, lo sappiamo, all’acquisto di prodotti), oppure vincendo una tombola di festa di paese, sponsorizzata, non c’è nemmeno più da domandarselo, da associazioni di categoria e\o da commercianti vari.
Riguardo l’ingresso nel mondo del lavoro, non sono molti quelli che ricordano, che dal 1960 (LEGGE 23 ottobre 1960, n. 1369 ), sino al 2003 era fatto esplicito divieto di “intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro”, ossia era fatto divieto da parte di soggetti privati di fare commercio di forza lavoro; l’imprenditore poteva, sino al 2003, compare questa particolare merce per fini produttivi che non fossero l’immediata vendita della stessa, ma l’esclusiva produzione di beni e servizi.
Ciò limitava la vendita della forza al lavoro al solo proprietario, ossia al lavoratore (mediante le relative organizzazioni mediatrici di natura sindacale); ciò è precondizione per l’attuazione degli articoli 1, 3 e 4 della Costituzione.
Con la legge n. 264 del 29 aprile 1949, recante Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati, si era disciplinata la materia della mediazione nel mercato del lavoro, sottoponendo il tutto a monopolio esclusivo degli organi dello Stato.
Vendere la propria forza lavoro, non a chi la utilizza direttamente, ma a chi poi la rivende a sua volta, pone il lavoratore, la parte debole, in condizione di ancor maggior debolezza, di maggior sfruttamento, disarticolando, di fatto, l’azione sindacale che si trova ora di fronte a due datori di lavoro contemporaneamente (l’intermediatore e l’imprenditore vero e proprio).
Nel caso il lavoratore venda la propria forza lavoro ad un intermediatore vende in realtà il proprio diritto soggettivo al lavoro, aliena ogni residua possibilità di scegliere il compratore ed il prezzo; un po’ come succede quando il mediatore è il caporale o il “magnaccia” per la prostituta.
L’intermediazione di lavoro (somministrazione di lavoro) è di fatto “caporalato” regolarizzato e normato, “buono” rispetto a quello “cattivo” che sfrutta, ad es., la manodopera in agricoltura ed in nero al sud Italia; il diritto al lavoro, così some concepito dalla nostra Costituzione nei primi articoli è di fatto annullato “ab origine”, non può esistere con queste limitazioni di legge.
Non è mia intenzione paragonare qui l’intermediazione di lavoro legalmente consentita e la messa a “sorteggio” di un posto di lavoro in un grande magazzino, nettamente differenti, ma evidenziarne le analogie esistenti, in particolare la negazione, in entrambi i casi, del costituzionale diritto al lavoro.
Qui la legge del 1960:
http://www.servizi.cgil.milano.it/ARCHIVIO/2008/11/19601023_Legge_1369_ABROGATA.pdf
Con la legge n. 276/2003 e tutte le numerose successive modificazioni seguenti, ha introdotto nuovamente, e selvaggiamente, l’intermediazione di manodopera.
Qui trovate, in apposita sezione una piccola storia delle contro-riforme borghesi del lavoro, interessante e breve; assolutamente da leggere è l’intero articolo:
http://clashcityworkers.org/documenti/analisi/2040-jobsact-fine-diritto-lavoro.html
Che il lavoro, in una società capitalistica come la nostra, sia merce, e null’altro che merce pagata con salario sociale, noi comunisti lo sappiamo benissimo (il marxismo è la nostra guida scientifica); lo sapevano anche i comunisti che hanno lavorato, da e assieme ai padri costituenti, per porre le basi per un futuro possibile superamento democratico di tale condizione, o almeno per un suo forte ridimensionamento.
Così non è stato; la Costituzione, soprattutto in questi ultimi anni è stata disapplicata, se non boicottata, sin dal suo primo articolo.
Addirittura i borghesi sono andati ben oltre; hanno ottenuto, grazie alla fine del PCI e dei veri partiti di massa, la possibilità di togliere al singolo lavoratore il diritto soggettivo di vendere la propria forza lavoro, assegnando questo ad un terzo soggetto ufficialmente incaricato, come è una società di intermediazione, con tutti i contro a cui abbiamo accennato.
E cosa è vincere un posto di lavoro a “punti” o come premio se non rinunciare persino alla proprietà della nostra capacità lavorativa?
Così facendo alieniamo il diritto di sceglierci il padrone o accettare le condizioni che questo ci impone, un po’ come accade con l’intermediazione legale di manodopera; anzi compriamo (cedendo nostro salario) una quota parte di questo diritto, che dovrebbe esser connaturato alla persona e dunque inalienabile; lo compriamo quando andiamo al supermercato per fare i punti necessari, per poi sperare di lavorare, o quando paghiamo una cartella della tombola per lo stesso fine.
Diviene merce la speranza, di conseguenza anche lo stesso diritto di lavorare, e sappiamo benissimo che non vi è diritto se questo può essere alienato; un diritto ceduto non è un diritto: è, di fatto, dietro corrispettivo di valore, merce!
Trovare oggi lavoro venduto anche al supermercato (la raccolta punti, anche tramite sorteggio, è una vendita indiretta, in quanto l’esercizio commerciale destina quota parte del proprio profitto a questo evento) non ci deve stupire; possiamo e dobbiamo indignarci per lo squallore e l’approfittarsi, da parte delle aziende commerciali, delle situazioni di crisi (mettendole a “lotteria” varia), speculando dunque sulla sofferenza del proletariato (come hanno sempre fatto le chiese e varie organizzazioni di beneficenza), ma non stupirci; noi comunisti, date le condizioni ed i rapporti di forza attuali, non abbiamo questo diritto: il lavoro è merce, e questa forma ne è la piena dimostrazione.
Solo un’inconcludente “sinistra”, che ha oramai smarrito la via del marxismo-leninismo, può limitarsi, in malafede o meno, comunque in modo ingannevole e dispersivo per la propria classe di riferimento, a implorare la borghesia di non considerare il lavoro merce; è come chiedere alla luna di farsi sole!
La nostra reazione, di comunisti, a questo stato di cose deve diversa, comporta la lotta per la necessaria espansione della coscienza di classe, prodromo indispensabile alla futura società (scevra della proprietà privata dei mezzi di produzione) di liberi ed eguali, che è appunto il Comunismo.
Necessario a tal fine è la ricostruzione, come più volte detto, di un unico e vero partito comunista.
Saluti comunisti
1 Comment
Vorrei fare una “banale” piccola aggiunta, implicita nel testo, ma, proprio per questo,
necessitante di dovuta esplicitazione.
Fino a quando avevamo un’Italia più democratica di quella attuale (sotto evidente dittatura
della borghesia, Jobs Act insegna, e con povertà sempre più diffusa), giocare ai pochi
giochi permessi (es. totocalcio) rappresentava, per lo sfruttato, la speranza di affrancarsi
dalla necessità di vendere la propria forza lavoro (ovviamente come privilegio di pochi
fortunati); ora, al contrario, giocare esprime, a volte e\o quando non ci ammaliamo di ludopatia, la speranza di non sprofondare o rimanere nel sotto-
proletariato, ossia di poter godere di un non-diritto come il lavoro, purtroppo!
Saluti comunisti