“Il sogno della democrazia borghese è di portare il proletariato al livello di stupidità che ha già raggiunto la borghesia stessa” Gustave Flaubert
Domenico Marino
segretario Sezione comunista Gramsci-Berlinguer di Pisa
Si parla molto, troppo e male delle elezioni prima del voto ma pochissimo e in modo decisamente farsesco dopo il voto. Ci si sofferma soprattutto sulle percentuali (pochissimo sui voti “veri”), sui candidati piazzati ma difficilmente si sente da parte dei politicanti di mestiere un’analisi del voto seria e circostanziata. Come al solito tutti vincono o comunque nessuno perde. A sentir chiacchierare questi “affaristi” della politica, al soldo dei potentati economico-finanziari, ci si fa un’idea malsana e forviante delle dinamiche politiche in atto, sia a livello generale che particolare. Al netto di sofismi da imbonitore il dato più macroscopico che emerge da questa tornata elettorale (regionale), così come dalle precedenti, almeno negli ultimi 15/20 anni, è l’aumento esponenziale del “partito del non voto”, dell’astensione dilagante. Alle regionali del 31 maggio scorso c’è stata un’astensione del 47%; a quelle dello scorso anno (Calabria ed Emilia-Romagna) addirittura il 60%. Questo fenomeno, che è la cartina di tornasole del malessere diffuso in cui versa la democrazia elettorale, cosiddetta liberale, mette a nudo la fragilità e l’inadeguatezza di questo sistema di potere rispetto alle necessità politiche, economiche, sociali, tecnologiche, lavorative, migratorie, umane e ambientali a cui le nazioni e il mondo intero debbono far fronte in questa società fortemente, nel bene e nel male, globalizzata. Inadeguatezza che è motivata dal fatto che la politica oggi è un meccanismo propagandistico utile più che altro per attuare le ricette politico-economiche pre-determinate e pre-confezionate dai poteri forti (la massoneria in primis con la sua “longa manus”: l’unico vero, sostanziale, partito della classe dominante borghese che dà direttive ai partiti formali). I politici e i partiti d’impostazione liberale, uguali da destra a sinistra tranne che per qualche sfumatura folkloristica, sono macchine tese a creare (false) opinioni, non a intercettare quelle che arrivano dai bisogni reali delle persone comuni, men che meno dei lavoratori. Ciò è sempre più facile verificarlo nella nostra quotidianità. In ultima analisi questa politica è lontana mille miglia dal mondo che si presuppone di trasformare e amministrare. L’astensione però non è un semplice “monitor” sulla disaffezione a questa politica teatrante da parte dei ceti medio bassi, dei proletari, ma è frutto soprattutto della mancanza, nei paesi cosiddetti democratici, di un soggetto politico che incarni le aspirazioni di quest’ultimi e le porti avanti in modo genuinamente rivoluzionario. In Italia si è arrivati a questo con due atti fondamentali: la liquidazione del PCI e l’instaurazione “incostituzionale” del meccanismo elettorale maggioritario: che è stato studiato apposta per eliminare i proletari dal voto a vantaggio dei ceti abbienti che possono scegliere tra un ampio ventaglio di partiti che hanno il compito di portare avanti programmi rispondenti alle esigenze politiche ed economiche dell’insieme della classe capitalista, infatti la democrazia con tale sistema è stata ridotta caricaturalmente da contenuto a forma, da fine a mezzo, e ha ceduto il passo, quasi definitivamente, a un’oligarchia di fatto. Il compito affidato al popolo non è più quello di decidere cosa lo Stato debba fare politicamente, ma di decidere chi deve decidere, che si riduce sempre più, con la fine dei partiti di massa e l’introduzione del maggioritario, alla semplice accettazione di una leadership politica (vedi Craxi, Berlusconi, Renzi…). In nome della governabilità si è sacrificata la capacità di governare democraticamente. Il sistema elettorale maggioritario (in tutte le sue declinazioni, compreso il pessimo Italicum) impone e riduce la scelta a due schieramenti – nei fatti due correnti del capitalismo che in ultima istanza, tramite questi loro partiti fanno leggi e decreti tramite una finzione: l’alternanza al governo, dando l’illusione di essere in democrazia, mentre nei fatti hanno operato per essere legittimati da meno della metà degli aventi diritto al voto.
Quello che intendono per democrazia questi “tromboni” della politica con il loro codazzo di “pennivendoli” tutti di un prezzo è cosa ben diversa invece da ciò che intendono (un po’ troppo ingenuamente…) le classi subalterne.
Valutando il significato letterale di democrazia, che è governo del popolo, si capisce senza fatica alcuna che mai sulla terra la democrazia ha trovato piena applicazione, tranne in alcune esperienze socialiste: la Russia dei soviet (consigli del popolo) e in esperienze dove a quel modello ci si era ispirati, come in Italia nel Biennio rosso (1919-20) con l’occupazione delle fabbriche e delle campagne e nelle lotte degli anni Settanta, forti di quelle esperienze che abbiamo saputo trasferire nella Resistenza antifascista e nella nostra Costituzione.
Quella che oggi viene spacciata per democrazia, in tutti i paesi occidentali (USA in primis), ne rappresenta una variante molto “larga”, abbastanza sui generis per così dire, se non impropria. Infatti il sistema di riferimento che abbiamo “noi” occidentali è la democrazia rappresentativa di stampo liberale che in ultima analisi è semplicemente una democrazia formale. Non è sufficiente che esistano dei seggi con delle cabine per votare per dire che in quel paese c’è una reale democrazia. Una reale democrazia esiste quando il voto di ogni cittadino, indipendentemente dalla classe sociale, ha lo stesso valore e possibilità di scelta dei candidati e delle formazioni politiche. Questa libertà fondamentale si ottiene solo con il sistema proporzionale puro. Infatti sino a quando in Italia si è votato con il sistema proporzionale puro ed abbiamo avuto partiti che erano rispettosi di questa nostra libertà costituzionale, in Parlamento sedevano in maggioranza rappresentanti delle classi subalterne, dagli operai, ai contadini, alla piccola e media borghesia, che erano e sono le classi maggioritarie. Ed erano queste classi che mettevano la mordacchia al grande capitale, facendo alleanze sociali dalle fabbriche sino al Parlamento e che ci hanno consentito di progredire, nonostante i tentativi eversivi del grande capitale nostrano e internazionale, diventando un punto di riferimento per molti popoli che tentavano di sfuggire dai tentacoli del capitalismo.
Tornando all’oggi è facile accorgersi che, anche se la stragrande maggioranza della popolazione appartiene al ceto medio-basso (più basso che medio, quindi operai, impiegati, precari, disoccupati, in Parlamento siedono, per la stragrande maggioranza, i ceti alti rappresentati da ricchi capitalisti: imprenditori e banchieri con i loro avvocati, commercialisti, medici ma anche i loro mafiosi. Basta prendersi la briga di controllare il censo dei parlamentari italiani. Questo rappresenta il primo vulnus di tale interpretazione al ribasso della democrazia, in quanto come ha analizzato V. Giacché, nel suo libro, La fabbrica del falso: «…la reale differenza tra la democrazia e l’oligarchia è la povertà e la ricchezza. Dovunque gli uomini governano in ragione della loro ricchezza, siano pochi o molti, si ha un’oligarchia, e dove governano i poveri si ha una democrazia».
Essendo oggi la nostra, dopo le controriforme introdotte dal 1993, una democrazia di stampo formale, non ci è concesso di votare liberamente ma siamo fortemente condizionati nelle scelte dalle segreterie dei partiti che a loro volta, asservite ai potentati economici, si fanno portatrici dei loro interessi particolari, mentre il voto dovrebbe essere il più libero ed esteso possibile e avere lo stesso peso politico, secondo il vecchio adagio “una testa un voto”.
Ritornando alle scorse elezioni regionali, ad esempio, vediamo come sia predominante questa tendenza alla disaffezione. Nei fatti (tenendo conto dell’astensionismo che rasenta il 50%) le coalizioni vincenti governeranno con il 15-16% dei voti reali. Uno su sette ha votato per loro. Parlare quindi di maggioranze di governo appare quanto mai risibile.
Gran parte della popolazione (lavoratori, disoccupati e precari in special modo) si rende conto suo malgrado, che non ha rappresentanza politica; e che il suo voto vale sempre di meno sia quantitativamente che qualitativamente. Ma non è un caso: tutto è studiato “ad hoc”.
Con questo sistema che non tiene conto dell’astensionismo di massa infatti si potrebbe governare, paradossalmente, anche se andassero a votare in tre o quattro, perché le percentuali contano più dei voti effettivi.
Parlare quindi di “maggioranze” di governo e ridicolo. Tutto questo è contenuto, con buona pace di molti sciocchi bontemponi, che anche a sinistra ricacciano tali constatazioni come stucchevoli teorie del complotto, in documenti redatti da commissioni messe in piedi dal grande capitale internazionale. Una di queste: la famigerata Commissione Trilaterale (una potente lobby transatlantica) in un documento pubblicato nel lontano 1975 dà la linea di comportamento per combattere gli eccessi di democrazia.
In questo antidemocratico documento, che ha tra gli estensori Samuel P. Huntington, tristemente famoso per le sue tesi sullo scontro di civiltà tra Islam e Occidente, base per un nuovo ordine mondiale, vengono fortemente stigmatizzate l’eccesso di cultura nelle scuole e università, pericolose, secondo Huntington, per l’ordine democratico e causa principale delle manifestazioni di protesta; contro le quali si chiedono misure per “ridurre” la democrazia a beneficio della democrazia stessa – palese caso di stravolgimento della realtà – elogiando a tal proposito l’apatia politica delle masse, che si dovrà concretizzare nell’inazione politico-sociale e quindi nell’astensionismo.
Possiamo, in un grido disperato, affermare: la democrazia formale come procedura ha finito col soffocare la democrazia sostanziale. Alla luce di ciò ci rendiamo conto di come questo sistema politico maggioritario sia molto poco democratico e molto oligarchico/aristocratico, poiché coloro che ci governano fanno parte in ultima analisi delle “élites” politiche, scelte dalla grande borghesia di stampo massonico, attraverso think tank, gruppi di opinione, club esclusivi (vedi Bilderberg, Trilateral Commission, Aspen Istitute e via discorrendo), per fare i loro interessi privati a discapito della stragrande maggioranza della popolazione.
Le politiche degli ultimi anni ne sono una chiara e incontrovertibile esemplificazione: i ricchi sono diventati più ricchi mentre i poveri più poveri e soggiogati.
Quindi di fronte a tutto questo che fare?
Bisogna rivoltare questa democrazia formale come un calzino. Per fare questo c’è bisogno di un fattore soggettivo, un Partito comunista, non basato su dogmi e icone stantie ma sulla dialettica materialista, che prepari il terreno sociale e culturale per una rivoluzione proletaria: che il mondo aspetta per la sua sopravvivenza.
Ciò è necessario ma non sufficiente in questa fase: bisogna infatti creare un ampio fronte popolare, resistente, tra le forze genuinamente anticapitaliste e antifasciste, che faccia massa critica contro gli abusi del capitale e difenda i diritti sociali e individuali contrattaccando. Anche se il fine è la Rivoluzione socialista non dobbiamo dimenticarci, come classe sociale, che la democrazia conquistata con la lotta di Liberazione dal fascismo, almeno in questa fase di riflusso sociale e decadimento politico, rappresenta un mezzo che bisogna utilizzare al massimo per poter andare verso il socialismo-comunismo. Quindi in tale fase mediana bisogna lottare anche per quei principi che “migliorano” tale sistema di potere – in funzione rivoluzionaria, non certo socialdemocratica – per i quali i nostri padri hanno lottato a costo della vita.
Quindi non è non votando o disaffezionandosi alla politica in tono dimesso o lasciando che smantellino pezzo per pezzo la Costituzione nata dalla Resistenza che sia possibile trovare la soluzione ai problemi del proletariato, ma è conducendo battaglie nella società affinché il voto riacquisti la sua validità democratica, tramite il proporzionale puro, e difendendo e applicando la Costituzione soprattutto, nella sua integrità e progressività. Poiché è più facile andare verso il socialismo lottando in un regime (anche se) “blandamente” democratico, piuttosto che in un regime assolutista o fascista (verso il quale si sta ritornando), come Marx – nella sua infinita lungimiranza – fece notare a più riprese contro il becero, quanto pericoloso, estremismo radical borghese e anarcoide.
Ora e sempre Resistenza.
Pisa 10 giugno 2015