Marsonet da clima natalizio analizza l’effimero, la caricaturale crisi internazionale su un ‘cinepanettone’
Il film ‘The interview’, una storia satirica sul leader nordcoreano Kim Jong un, che per la Corea vede la Casa Bianca direttamente implicata! La produttrice Sony che blocca il film dopo gravi attacchi informatici di haker. Obama che critica la resa della Sony e la Corea pronta alla ‘Cyberguerra’.
di Michele Marsonet
A costo di generare equivoci, soprattutto quello di essere considerato difensore di una dittatura, vorrei spendere qualche parola sulla vicenda dell’attacco hacker alla Sony. In primo luogo è opportuno notare che non esistono prove certe circa la responsabilità di Pyongyang. Molto indizi, certo, ma prove no.
L’azienda giapponese ha in un primo tempo ritirato dal mercato la pellicola satirica riguardante Kim Jong-un, salvo poi fare una parziale retromarcia annunciando che il film sarà comunque disponibile in rete. La repentina reazione di Barack Obama: “Nessun dittatore può intimidirci”, lascia tuttavia un po’ sconcertati.
Che il giovane capo della Corea del Nord sia – come suo padre e il nonno Kim Il-sung – del tutto refrattario alle critiche e alla satira è un fatto arcinoto. E si sa pure che tale refrattarietà vale tanto in patria quanto all’estero. Del resto lui stesso e i suoi predecessori non hanno mai preteso di incarnare l’ideale della democrazia occidentale.
Kim Jong-un al computer coi suoi generali se la ride
E’ un fatto, però, che ormai la cosiddetta “cyberguerra” è diventata uno strumento comune per colpire gli avversari nello scacchiere politico internazionale. Se ne servono proprio tutti. E quando dico “tutti” intendo sottolineare anche gli Stati Uniti, che in materia di guerra elettronica sono maestri. Come potrebbe essere diversamente, vista la schiacciante supremazia tecnologica di cui tuttora godono?
Il problema è che quando lo fanno loro sembra che tutto vada bene. Giusto o sbagliato? Dipende ovviamente dal punto di vista adottato. Se si è convinti che hackeraggio e spionaggio elettronico siano utili – o addirittura indispensabili – per combattere il terrorismo il ragionamento può entro certi limiti essere accettato. Un po’ meno quando tali strumenti sono utilizzati per favorire la “esportazione” della democrazia. Una vecchia idea di Francis Fukuyama che, a dispetto dei suoi fallimenti pratici, non è stata mai abbandonata.
Lasciando stare per un attimo gli attacchi hacker, tutti rammentano il clamore suscitato dalla scoperta che i servizi segreti USA tenevano sotto controllo persino il cellulare di Angela Merkel. La cancelliera di ferro si adirò assai e pretese le scuse da Obama. Le scuse arrivarono, ma nessuno sa dire con certezza se il telefono portatile della Merkel sia ora al sicuro.
A voler essere maligni (e in questi casi la malignità di solito serve), viene spontaneo collegare lo spionaggio elettronico, dal quale è difficile difendersi se è basato nel Paese tecnologicamente più avanzato del mondo, alla strana acquiescenza tedesca nella vicenda delle sanzioni economiche antirusse.
Ma alla fine anche il Kim si è arrabbiato
Con questo intendo dire che “nessuno è perfetto”, citando la battuta finale del celebre film di Billy Wilder “A qualcuno piace caldo”. Non lo è, senz’ombra di dubbio, il regime di Pyongyang e la casta familiare che lo rappresenta da decenni.
Ma neppure gli americani sono perfetti, a dispetto della retorica democratica sui diritti umani e la parità di genere di cui trabocca, per esempio, “Scelte difficili”, il libro autobiografico scritto da Hillary Rodham Clinton. Difficile accettare la visione manichea secondo cui “se lo facciamo noi è difesa della democrazia, se lo fanno gli altri è terrorismo”.
Noto infine che Putin ha subito colto la palla al balzo, invitando Kim Jong-un a Mosca nel 2015, in occasione del 70° anniversario della vittoria sovietica nel secondo conflitto mondiale. Ed è noto che la Cina, dal canto suo, non ha mai tagliato i ponti con Pyongyang, consapevole del fatto che è meglio mantenere aperti i canali di comunicazione.
Una politica più intelligente della “strategia delle sanzioni” che gli americani stanno privilegiando da molto tempo. E, non a caso, si parla già di estenderla alla Corea del Nord. Sulla reale efficacia delle sanzioni è lecito nutrire dubbi corposi. Gli italiani dovrebbero saperlo, rammentando la loro inutilità quando furono decretate, in anni ormai lontani, contro il regime fascista dopo l’invasione dell’Etiopia.
21 dicembre 2014