Michele Riccio*
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Per aver rilevato in pubblico la teoria dei numeri irrazionali in una nota del decimo libro degli Elementi di Euclide, poi in seguito attribuita ad un altro filosofo e matematico, Proclo Licio Diadoco, si dice che il colpevole fosse ricondotto al suo luogo di origine e lì incatenato ad uno scoglio per essere in perpetuo flagellato dalle onde.
Nessuna commozione si doveva avere per la sua sorte, l’infelice aveva peccato contro le cose più sacre, aveva reso noto quello che non doveva essere, ed ora, era dovere farlo tacere e annientarlo.
Non pensavo di aver commesso un simile grave peccato, quando seguendo le disposizioni del dottor Gianni De Gennaro direttore della DIA e del dottor Gian Carlo Caselli al tempo responsabile della procura presso il Tribunale di Palermo, inoltravo alla direzione della DIA la solita relazione di servizio che raccoglieva gli esiti informativi dei contatti riservati che avevo con il boss di Cosa nostra e della Famiglia di Caltanissetta: Luigi Ilardo.
Mafioso che aveva deciso di collaborare con la giustizia operando dall’interno di Cosa nostra e così nel corso di nostri contatti dei giorni 13, 22 e 23 marzo 1994, mi riferiva che Bernardo Provenzano ed i suoi più fidi alleati avevano deciso di ricompattare il sodalizio criminale isolando sempre di più Leoluca Bagarella e i Madonia di Palermo colpevoli di voler proseguire la strategia di attacco frontale allo Stato voluta da Totò Riina.
Cosa nostra grazie ad un insospettabile personaggio appartenente all’entourage di Silvio Berlusconi, che poi mi riferirà essere Marcello Dell’Utri, aveva deciso di dare appoggio elettorale alla compagine politica guidata da Forza Italia. Nell’occasione mi riferiva che avrebbero sostenuto in Palermo, il sen. Antonino La Russa del 1913 (che non si candidava), ma principalmente il figlio Vincenzo, che si sarebbe presentato nella lista unica (Alleanza Nazionale Forza Italia).
Analogo appoggio elettorale lo avrebbero dato in Caltanissetta a Raimondo Luigi Bruno Maira del 1946, candidato nel collegio senatoriale n. 6 nella lista “Solidarietà Occupazione Sviluppo” e anche per la Camera dei deputati. Pareva che per lui si fosse appositamente organizzata questa lista dato che, circolavano sospetti su sue collusioni con la mafia e quindi non era opportuno candidarlo nelle liste di Forza Italia.
Per questo supporto elettorale i due candidati avevano promesso che in caso di vittoria della compagine guidata da Forza Italia, dopo sei mesi di governo si sarebbero varate normative di legge che avrebbero tutelato gli interessi dei vari inquisiti per mafia, un rallentamento dell’azione repressiva delle forze dell’ordine e sostegno allo sviluppo delle attività economiche mafiose.
Il contenuto di queste relazioni così come quello di tutte le altre che scriverò nel corso del mio servizio prima alla DIA e poi al Ros in seguito al mio rientro nell’Arma relative alla gestione Ilardo, le utilizzerò per scrivere il rapporto giudiziario che denominavo, non a caso, “Grande Oriente”.
Rapporto poi firmato dal collega Mauro Obinu del Ros, responsabile del settore mafia siciliana, e dopo essere stato supervisionato dal col. Mario Mori vicecomandante del Ros. Il 30 luglio 1996 lo consegnavo per competenza alle procure della repubblica di Palermo, Catania e Caltanissetta e per conoscenza a quelle di Messina e Genova.
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Nel rapporto “Grande Oriente” a pag. 43 e 47 trattavo le indicazioni sopra ricevute, e così tutto l’apporto informativo ed operativo conseguente la mia gestione di Luigi Ilardo iniziata nel gennaio 1994 fino alla data del suo omicidio, 10 maggio 1996, avvenuto nell’imminenza del suo transito nel programma di protezione.
Scelta concordata nell’incontro del 2 maggio ’96 con le AG di Palermo e Caltanissetta nell’incontro presso la sede comando Ros in Roma, per avviare la collaborazione di Ilardo in forma ufficiale.
Nel rapporto riferivo anche tutte le altre informazioni ricevute sulle attività passate e in corso attuate da Cosa nostra su ogni fronte organizzativo, affaristico e relazionale con la politica come, ad esempio, quelle intessute con rappresentanti di Alleanza Nazionale, Forza Italia e dei cristiano democratici uniti (CDU). Notizie ricevute da un mafioso di alto livello, in attività sin dagli anni Settanta e cugino di quel Giuseppe “Piddu” Madonia di Caltanissetta, famiglia storicamente alleata ai corleonesi di Liggio e Provenzano e ben noti all’Ilardo sin dalla sua gioventù.
Documentavo anche la cattura di sei latitanti appartenenti al livello più alto di Cosa nostra e dei loro favoreggiatori che avevo realizzato nel periodo di servizio alla DIA. Risultati che, oltre a riscontrare il fattivo apporto del collaboratore, mi consentivano addirittura di localizzare l’ubicazione esatta del covo di Bernardo Provenzano, capo dell’organizzazione criminale Cosa nostra allora latitante da oltre 30 anni. Il rifugio era un ovile a Mezzojuso (Pa) luogo doveva aveva incontrato il 31 ottobre 1995 Luigi Ilardo.
Ripensando a quell’episodio della mancata cattura di Provenzano ho il solo rammarico che quell’opportunità si presentò proprio quando rientrai come aggregato al Ros, mio vecchio reparto di appartenenza lasciando la DIA. L’esito sarebbe stato sicuramente diverso anche se non più presente il dottor De Gennaro già rientrato anche lui in Polizia.
Non c’era nessuna volontà di catturare Bernardo Provenzano, come ho detto in tutte le aule di Tribunale. Sempre in quelle aule ho fatto anche presente che, il col. Mario Mori mi chiese di non scrivere alcuna relazione di servizio come facevo prima alla DIA per essere poi inoltrato all’autorità giudiziaria, ciò perché, secondo lui, era una indagine di esclusiva competenza della polizia giudiziaria e non della magistratura.
Giorni fa un mio collega e amico siciliano mi ha inviato una foto che ritrae l’allora colonnello Antonio Subranni comandante della scuola carabinieri di Benevento, presente alla cerimonia indetta dal sindaco Antonino Schillizzi del Comune di Mezzojuso per l’inaugurazione della locale stazione dei carabinieri.
L’ufficiale che poco dopo andrà a comandare il costituendo Ros aveva voluto non mancare a quell’evento perché era stato il promotore della nascita di quel comando dell’Arma in Mezzojuso nel precedente incarico di comandante della legione carabinieri di Palermo e con Mario Mori comandante del gruppo carabinieri Palermo centro.
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Vedere questa foto di Subranni a Mezzojuso e allo stesso tempo ricordare che i suoi uomini, Mori e i suoi vari capitani, non riuscivano a trovare in quei luoghi la strada che conduceva all’ovile di Mezzojuso, dove si nascondeva Bernardo Provenzano seguendo le mie elementari indicazioni, tanto da farmi ripetere più volte insieme ad Ilardo la strada da lui percorsa per raggiungere il covo e poi sentirsi ripetere le stesse indicazioni, mi fa molto sorridere anche se con una certa amarezza.
In quelle aule di Tribunale ho ancora riferito che Mori mi chiese di non presentare alcuna relazione su quanto facevo con Ilardo e quanto questi mi riferiva specialmente in merito ai rapporti di Cosa nostra con gli ambienti della politica e i loro rappresentanti.
Stessa richiesta attenne anche alla stesura del rapporto “Grande Oriente”, tutto doveva restare aleatorio, solo la voce del singolo contrapposta a quella dei tanti appartenenti a quel cerchio magico del Ros. A questo si aggiunse poi la ricerca spasmodica delle mie agende sulle quali avevo annotato come mia abitudine investigativa gli input informativi ed operativi dati da Ilardo e quanto ancora mi accadeva intorno.
Di quelle relazioni di servizio giunsero anche a negarne l’esistenza, smentiti poi dal ritrovamento che feci di quei floppy disk predisposti dal loro stesso personale contenenti le mie relazioni che mi ero fatto dare per scrivere il rapporto Grande Oriente. Supporto informatico di cui si erano dimenticati l’esistenza e che produssi al magistrato.
Documenti che videro anche il presentarsi presso la mia abitazione a Varazze e in mia assenza, di tre persone che si qualificarono come referenti di un esponente di Alleanza Nazionale chiedendo di affidare a loro ogni mio documento sulle indagini in Sicilia perché li avrebbero messi al sicuro. Ovviamente nulla ottennero.
Nel rispetto del mandato ricevuto, ho sempre ricordato ad Ilardo che quanto mi avrebbe confidato lo avrei sempre relazionato al superiore e al magistrato, fatti che poi avrebbe dovuto spiegare, approfondire con riscontro ai magistrati che un domani lo avrebbero sentito.
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L’arresto di Bernardo Provenzano l’11 aprile 2006
Per il rispetto del lavoro che ho svolto con sacrificio e rischio personale, ho voluto ora come abitudine rappresentare solo fatti, e poi ricordare che il rapporto “Grande Oriente” determinò decine e decine di arresti e di conseguenti condanne.
Fu ampiamente trattato dai media anche in ambito nazionale, fu esaminato nel corso dei tanti processi in molti dei quali nel tempo ho reso testimonianza. Senza sbagliare posso affermare che sia stato giudicato da più di ottanta magistrati e per la metà di loro non ho difficoltà a ricordarne il nome. Lo hanno studiato anche una infinità di avvocati, giornalisti, scrittori, di appartenenti alle forze di polizia e aggiungerei anche da moltissimi mafiosi.
Il Tribunale di Palermo il 27 maggio 2002 oltre ad affermare la piena affidabilità di Luigi Ilardo, l’importanza dei risultati conseguiti in quell’indagine volle sottolineare la mia corretta gestione della fonte.
Nella sua requisitoria nel processo “Trattativa”, gennaio 2018, il pubblico ministero dottor Nino Di Matteo dirà che la collaborazione di Luigi Ilardo sarebbe stata di altissimo livello e devastante per Cosa nostra e per i collusi con questa organizzazione.
Aver fatto il proprio dovere a differenza di altri, ora vede aggiungersi anche l’offesa personale, con l’aggiunta di affermazioni non corrispondenti al vero, esame per altre sedi. Tutto chiaro e ciò non mi sorprende, ricordando anche quanto mi diceva lo stesso Ilardo: “Comandante vedrà quante ce ne faranno passare”.
Come spesso discutevamo con un mio caro amico, ora scomparso: I fascisti dopo averci condotto in una guerra nefasta che ci fece perdere tutto, anche la dignità, ora possono anche cambiare nome e simbolo, ma tendono a rimanere sempre gli stessi e nella nostalgia totalitaria del potere da raggiungere ad ogni costo, sono pronti a calpestare tutto: anche la verità.
Infine, ricordando che la mia famiglia era di Salerno, chiedo nel caso dovessi essere ricondotto al mio luogo d’origine e lì incatenato ad uno scoglio per essere flagellato in perpetuo dal mare, che sia uno della mia amata Costiera amalfitana.
26 Marzo 2025
* Generale dei Carabinieri