Operazione per gettare discredito sulla Siria
16 maggio 2017 (Tony Cartalucci – LD) – Nel febbraio del 2017, gli USA avrebbero tentato di sfruttare una relazione di Amnesty International che dichiarava di spiegare dettagliatamente le atrocità commesse nella prigione di Sednaya in Siria.
Nel suo rapporto Amnesty ha teso a dare un’idea della prigione siriana di un luogo dove si pratica la tortura, di negligenze e persino di esecuzioni di massa, dimenticandosi però di includere ogni prova effettiva a supporto delle sue affermazioni. L’unica prova reale è stata un’immagine esterna presa dallo spazio con un satellite. Inoltre inclusa nel rapporto ci sarebbero presunte interviste e ricostruzioni in modelli 3D della prigione fatti a Londra.
L’immagine satellitare non ha rivelato nient’altro che un edificio simile a una prigione.
La pubblicazione del rapporto da parte degli Stati Uniti è arrivata poco prima di un nuovo tour di colloqui, volti a far terminare il catastrofico conflitto che dura ormai da 6 anni. La mossa da parte degli Stati Uniti è stato un tentativo per dare a Washington e ai suoi alleati regionali un ulteriore vantaggio al tavolo delle trattative. E ora – mesi più tardi – proprio quando gli Stati Uniti hanno bisogno di una maggiore pressione, la storia di Sednaya è riapparsa.
Il Dipartimento di Stato statunitense non solo ha ripetuto le precedenti e infondate affermazioni tratte dalla relazione di Amnesty International, ma ha affermato anche che la prigione comprende una struttura per cremare i cadaveri – un subdolo tentativo di collegare l’attuale governo siriano con le pratiche dei nazisti tedeschi.
Il Washington Post ha tentato di dare le gambe a questa narrazione “ricicciata” in un articolo intitolato “Gli Stati Uniti affermano che la Siria ha costruito un crematorio per gestire le uccisioni di massa di prigionieri”, che afferma:
Il Dipartimento di Stato ha reso noto lunedì che il governo siriano ha costruito e sta utilizzando un forno crematorio presso la sua famosa prigione militare di Sednaya, vicino a Damasco, per smaltire illegalmente i corpi dei prigionieri; una pratica che continua ad eseguire nell’impianto.
In termini di “prove”, afferma il Washington Post (con enfasi):
Il Dipartimento di Stato ha distribuito fotografie satellitari che documentano la graduale costruzione della struttura al di fuori del complesso principale della prigione e il suo uso ora è evidente. Jones ha detto che alcune informazioni “recentemente declassificate” su questa e altre atrocità compiute del governo del presidente Bashar al-Assad sono emerse da “valutazioni della comunità di intelligence”, nonché da organizzazioni non governative come Amnesty International e dai media.
In altre parole il Dipartimento di Stato americano riprende un’infondata relazione di Amnesty International, che non ha presentato nessuna prova tangibile a supporto delle sue affermazioni, se non delle immagini dell’esterno fotografate con i satelliti.
Elaborando sulle “prove”, il Washington Post riferirà (con ulteriore entusiasmo):
Le informazioni appena rilasciate includevano una foto satellitare del complesso di Sednaya coperto di neve con un edificio a forma di L classificato come “probabile crematorio”.
La parola “probabile” è un’aperta confessione di non avere prove che l’edificio sia effettivamente un “crematorio”. La parola “probabile” significa anche che non esiste alcuna prova che il presunto “crematorio” venga utilizzato per l’incenerimento di massa dei corpi, e nemmeno che i corpi siano il risultato di un processo sistematico di tortura e di esecuzioni di massa.
Nessun’agenzia di intelligence responsabile dovrebbe presentare rapporti finali che contengono la parola “probabile” e, a maggior ragione, nessun dipartimento di stato responsabile dovrebbe utilizzare relazioni contenenti la parola “probabile” per accusare un governo straniero di crimini contro l’umanità.
Ma un’agenzia di intelligence incaricata di fabbricare una “narrazione” e un Dipartimento di Stato che si preoccupa di venderla alla comunità internazionale – come già molte volte ha fatto il Dipartimento di Stato americano, in passato, a costo di molte vite umane e della stabilità globale – come per esempio in Iraq, Afghanistan e Libia – è proprio quello che è di nuovo successo.
Il Washington Post – nel caso che i lettori non avessero fatto la connessione con i forni crematori dei nazisti – lo fa per il suo pubblico definendo il briefing del Dipartimento di Stato americano “accuse di omicidi di massa e corpi inceneriti, che ricordano l’Olocausto”.
Mentre il Dipartimento di Stato americano e il Washington Post tentano di elaborare un’immagine di abusi per coinvolgere la comunità internazionale nella condanna della Siria, in realtà ciò che ha realmente è stato il ricorrere a una tattica da manuale per definire il governo siriano “Hitler”.
La relazione di Amnesty International è stata pubblicata nel febbraio 2017. Indubbiamente non presentava prove concrete e considerando la dimensione industriale dei presunti omicidi di massa e dell’”incenerimento” che sarebbe ora in atto, si dovrebbe pretendere che, qualche mese più tardi, la più grande e potente rete di intelligence mai vista al mondo, dovrebbe essere in grado di presentare qualcosa di più sostanziale di una fotografia dell’esterno etichettata come “probabile forno crematorio”.
Che la rete di intelligence più grande e più potente della storia umana non sia riuscita a trovare qualcosa di più sostanziale, indica che non c’è niente da trovare e che, invece, gli Stati Uniti sono tornati ancora una volta a fabbricare pretesti per le loro continue intromissioni in mezzo a conflitti catastrofici, oltre i loro confini. E che tutto questo è stato progettato e si ripete, con un risultato che si adatta a Washington soprattutto, a spese di tutti gli altri popoli coinvolti.
Mentre i portavoce del Dipartimento di Stato americano insistono sul fatto che il “macello” siriano è organizzato e diretto da Damasco, è chiaro invece che – proprio come lo smembramento e la distruzione di Iraq e Libia – il “macello” siriano è un progetto organizzato e diretto da Washington.