di Paola Baiocchi
Ci era piaciuta molto la storia di Gino Bartali, il ciclista mito dell’epopea sportiva italiana, che trasportando sotto il sellino della sua bicicletta documenti falsificati, aveva permesso ad intere famiglie di ebrei durante il fascismo di salvarsi, nascondendo la loro identità.
Nel 2006, sei anni dopo la scomparsa del ciclista, il presidente Carlo Azeglio Ciampi aveva consegnato la medaglia d’oro al merito civile alla moglie di Bartali.
La storia poi era stata avallata anche dal conferimento a Bartali del riconoscimento di Giusto tra le nazioni assegnatogli dallo Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme.
Ma proprio come diceva Bartali “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!”, prove storiche di questa attività del Gino nazionale non esistono, tanto che anche le storico Stefano Pivato, autore del libro Sia lodato Bartali fa il mea culpa e in un altro libro dal titolo secco e duro L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata, ammette di aver preso un abbaglio: ci sarebbero solo testimonianze non di prima mano non sufficienti a confermare la verità storica.
Lo Yad Vashem sostiene che ha esaminato prove incontrovertibili prima di assegnare il riconoscimento a Bartali, come per un processo di canonizzazione per i cattolici, ma non le ha fornite agli storici con un atteggiamento che non favorisce la ricerca storica.