Anche a 96 anni suonati, la fortuna non abbandona l’ex venerabile maestro della P2, accusato insieme ad alcuni familiari di evasione fiscale: i reati sono stati prescritti e Villa Wanda dissequestrata.
di Nicola Tranfaglia
La fortuna di Licio Gelli è a prova di bomba, ancora una volta, anche a 96 anni. L’ex potentissimo capo della loggia massonica segreta P2 – per molti anni, depositario dei segreti più inconfessabili della storia repubblicana -, dopo la prima udienza del processo per il sequestro di Villa Wanda (una villa dell’ex Venerabile costruita sulla collina di Santa Maria delle Grazie: 33 stanze su tre piani con piscina e serra, immersa in un parco di tre ettari, già di proprietà della famiglia Lebole), ha visto estinto il reato di evasione fiscale per avvenuta prescrizione. È decaduto così il sequestro di Villa Wanda, che è tornata ora nella disponibilità della famiglia.
In quella villa, all’inizio degli anni Ottanta, vennero trovati gli elenchi della loggia coperta P2 e, nascosti nelle fioriere, 160 chili di lingotti d’oro. E in quella sorta di paradiso il Venerabile capo della loggia decise di scontare gli arresti domiciliari, continuando a incontrare gli amici e a far parlare di sé il mondo intero. Secondo l’attuale procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, Licio Gelli e i suoi familiari avrebbero trovato un sistema per ingannare il fisco con il tentativo fittizio di una vendita di Villa Wanda ed evitarne così il pignoramento da parte di Equitalia.
Tutto ha avuto inizio nel 1988, più di venticinque anni fa, quando l’Agenzia delle Entrate venne in possesso del testamento olografo dello stesso Gelli (recuperato dalla polizia francese), che attestava grandi disponibilità patrimoniali all’estero per il sostentamento dei tre figli: Raffaello, Maria Rosa e Maurizio. Si trattava di cifre notevolmente superiori ai redditi dichiarati. Le cifre dei pagamenti omessi? Le commissioni tributarie le hanno quantificate in cartelle esattoriali: nei confronti di Licio Gelli per 8,8 milioni di euro, del figlio Maurizio per 7,2 milioni, della figlia Maria Rosa per 1,1 milioni e del nipote Raffaello per 500 mila di euro. Due i passaggi chiave dell’operazione: le iscrizioni ipotecarie sull’immobile a favore della moglie di Licio Gelli e del nipote, a fronte di crediti vantati dagli stessi per l’erogazione di presunti finanziamenti nei confronti della società di famiglia; quindi, la successiva alienazione del compendio immobiliare nell’asse patrimoniale di una società romana costituita ad hoc e sempre riconducibile ai parenti di Gelli.
Di fronte a una simile vicenda che tanta influenza ha avuto nella recente storia repubblicana, viene in mente una frase che ho sentito pronunciare dall’onorevole Tina Anselmi che presiedette la Commissione parlamentare di inchiesta sulla P2 e che proprio all’inizio dei lavori disse poche parole, ma scritte nella pietra, che vale la pena ricordare di fronte a quello che sembra l’epilogo di una lunga vicenda politica e giudiziaria: “Basta una persona che ci governa ricattata o ricattabile – disse la Anselmi-, perché la democrazia sia a rischio.” A una simile frase non è utile aggiungere niente.
10 gennaio 2015