La scomparsa di Emanuela Dopo 34 anni il fratello Pietro non si arrende e tornerà a rivolgersi alla Segreteria di Stato vaticana
di Andrea Palladino
È un dossier segreto, custodito all’intero della Città del Vaticano, il pezzo mancante che potrebbe riaprire il caso del rapimento di Emanuela Orlandi.
SONO PASSATI 34 anni dal 22 giugno 1983, quando la figlia, all’epoca quindicenne, di un commesso della Prefettura della Casa pontificia spariva senza lasciare tracce. Da allora il fratello Pietro ha inseguito voci, piste, tracce che apparivano e sparivano nelle pieghe dell’eterna Roma papalina. Tutto portava verso quel gruppo che per un decennio ha dominato la Capitale, i Testaccini, il nucleo più misterioso, potente e ricco della banda della Magliana. E a un nome, Renatino De Pedis, il boss sepolto per quasi vent’anni nella basilica di Sant’Apollinare.
Ieri Pietro Orlandi era al presidio in via della Conciliazione, organizzato per ricordare la scomparsa della sorella e per chiedere una risposta dal Vaticano. È sicuro che un pezzo chiave della storia sia chiuso lì: “L’esistenza di quel dossier sulla scomparsa di Emanuela – spiega al Fatto Quotidiano – è confermata dalla intercettazione di Raoul Bonarelli (vice ispettore della Gendarmeria vaticana, ndr) con il suo superiore l’anno dopo la scomparsa
della ragazza”. Una telefonata agli atti dell’inchiesta, poi archiviata dal gip di Roma, su richiesta della Procura, nel 2012. “Nella conversazione telefonica – prosegue – il superiore dice che ‘la cosa è andata alla Segreteria di Stato”. La “cosa” è la documentazione sulla scomparsa di Emanuela”.
NON È L’UNICO elemento. Nel film di Roberto Faenza, “La verità sta in cielo”, la sequenza finale (citata anche nell’istanza presentata in Vaticano dai legali di Pietro Orlandi) descrive nei particolari l’incontro tra il magistrato incaricato dell’inchiesta e un alto prelato, per la consegna del dossier Orlandi in cambio della rimozione della salma di De Pedis dalla basilica di Sant’Apollinare, la cui sepoltura stava creando grave imbarazzo al Vaticano. Proprio in seguito a questa ricostruzione il fratello di Emanuela ha chiesto lo scorso anno un incontro con il segretario di Stato Parolin. Poi, nei giorni scorsi, è stato presentata una istanza della famiglia Orlandi dallo studio legale Bernardini de Pace e dall’esperta rotale Laura Sgrò. La risposta, per ora, è stata netta: “Per il Vaticano è un caso chiuso”, ha risposto monsignor Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato. Pietro Orlandi non ha nessuna intenzione di tornare indietro, di archiviare la storia del rapimento della sorella.
“MOLTE VOLTE in questi anni eravamo sicuri di essere vicini alla soluzione – spiega al Fatto– , pronti ad andare a prendere Emanuela”. Nonostante l’archiviazione dei magistrati romani e il muro che si è alzato dal Vaticano è tuttora sicuro di arrivare alla verità. Fonti autorevoli confermano che il dossier era a disposizione dei collaboratori più vicini a Benedetto XVI. Un elemento, questo, che la famiglia è pronta a presentare alla Segreteria di Stato.
23.6.17