di Stefano Masson
“#ElAlamein #23ottobre 1942, un luogo e una data che raccontano di valore e sacrificio, un capitolo tanto eroico quanto tragico della nostra storia. Rendiamo onore ai coraggiosi militari italiani che combatterono tra le sabbie del Nord Africa. Con loro ricordiamo con deferenza tutti i #Caduti che hanno sacrificato la loro vita per la nostra libertà.” (post del ministero della difesa)
Lungi da me voler difendere Crosetto, autore di un post apertamente revisionista su El Alamein, ma prevedibilmente ben costruito. Con il giusto punto di ambiguità linguistica e logica.
Ripeto, a dispetto dei molti commenti negativi che ho letto (e scritti con le migliori intenzioni antirevisioniste, beninteso), con il giusto punto di ambiguità.
Crosetto, che è tutto tranne che uno sprovveduto, ha infatti legato il post commemorativo alla chiusa interpretativa con un “insieme” che è un capolavoro di ambiguità gesuitica.
Un “insieme” che può essere letto in duplice maniera.
1. I soldati dell’Italia fascista pre-8 Settembre hanno combattuto per la nostra libertà tanto quanto la Resistenza antifascista. Si tratta di un’interpretazione da Seconda Repubblica. Di “storicismo” assoluto e surrealmente babbeo, ma oggi amplissimamente condiviso: tutto ciò che ci ha preceduto è in pari grado contenuto nell’esito (che sì, a un certo punto ha incontrato il 25 Aprile, a cui tutti in questo gioco assurdo storicistico assoluto hanno contribuito, fascisti e antifascisti).
Si celebra quindi l’attuale comunità nazionale nella sua interclassistica interezza, ponendo l’accento dove l’occasione del momento consiglia: se “Occidente democratico in guerra contro le autocrazie”, si pesca nel 25 Aprile; se “Italia guerriera con onore”, El Alamein va benissimo (e in tempi di nuova guerra mondiale, va da sé che risulti più spendibile anche all’estero).
1a. A chi si scandalizza per l’iniziativa di Crosetto (che è comunque quasi certo sia alquanto ben meditata e nient’affatto estemporanea distrazione), faccio notare che il post sintetizza in modo magistrale l’esito concreto di quarant’anni di revisionismo storico liberale. E che il piddino Violante (motore primigenio di trent’anni di sdoganamento di infamie), in questa lettura di reinserimento di tutto e tutti nella “comunità nazionale”, si era spinto molto più in là di Crosetto (che celebra in fondo il “nazionale” Regio Esercito), avendovi incluso proprio l’Italia iperideologica e “germanica” della Repubblica di Salò.
Questa lettura ha soprattutto un ruolo e un significato metastorico che possiamo così sintetizzare: facciamo un bel condono tombale delle divisioni novecentesche e concentriamoci uniti sulle sfide belliche NATO del prossimo futuro. Inutile sottolineare che è il medesimo punto di vista della destra di governo e la destra d’opposizione piddina, entrambi gli schieramenti desiderosi da decenni di festeggiare con tarallucci e vino sul Secolo Breve.
2. Tuttavia, per i puntigliosi e per gli ipercritici attardati sull’antifascismo, quel gesuitico “insieme” crosettiano contiene anche una tipica lettura da Prima Repubblica, non meno ambigua e ciononostante più deglutibile.
Traduco. “Insieme”, cioè “in occasione” di questa celebrazione di questo episodio di coraggio e valore militare dei nostri soldati, il nostro pensiero di “democratici” va “anche” ai combattenti della Resistenza.
Attenzione! Non è mia fantasiosa ermeneutica. È proprio lettura da Prima Repubblica, da “antifascismo dell’arco costituzionale”. Intorno al Memoriale di El Alamein (già di per sé un monumento curioso e ambiguo, molto italico se si vuole, a celebrazione infatti di una strategica sconfitta seppur costellata di episodi memorabili) si consumò per anni uno strano rituale “democratico”, che potenzialmente conteneva anche l’interpretazione al punto 1. Rituale ambiguo cui non si sottrassero numerosi protagonisti della politica “democratica” (ricordo distintamente Fanfani). E dei quali sarebbe interessante ripescare discorsi e dichiarazioni d’occasione.
In fondo, col senno del poi, potremmo leggere quel Memoriale come una delle innumerevoli mine post-democratiche e autoritarie (pensiamo alle “leggi emergenziali” e al Kossino Assassiga oppure alla struttura Gladio) di cui la Prima Repubblica era cosparsa negli umbratili interstizi della sua “costituzione materiale” e senza le quali non avremmo assistito al rapido (rapido, se guardato con prospettiva storica) collasso della dicotomia Destra/Sinistra consumatosi nella Seconda.
24 ottobre 2024