di MOWA
“Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote” (Dante – Inferno, V 25)
Si sa benissimo di vivere in una società occidentale discriminante, che dissimula la sua vera natura classista offrendo un volto pubblico falso e ipocrita, un finto viso “acqua e sapone” che, però, nasconde i “germi dell’infezione” dell’ Ingiustizia che portano ad una “necrosi intellettuale”. Sarebbe importante, invece, dare l’opportunità a tutti di crescere avendo le stesse identiche chance; purtroppo si sa altrettanto bene che così non è, anzi…
Quella occidentale è una cultura classista, dove i privilegiati agiscono come patogeni infettanti, pilotando il pensiero nella direzione dell’irrazionalità perniciosa che tende a prevalere sulla ragione e sullo studio scientifico, conducendo, anche, verso soluzioni mistiche o trascendentali e dando, poi, risposte sconclusionate alle persone, pur di non cedere spazi di potere agli “ultimi” della scala sociale.
Dimostrazione di tali comportamenti condizionati da siffatte culture sono le azioni che si sono susseguite nei pre e post elezioni presidenziali statunitensi dove, da una parte, vi erano ragioni comprensibili quali il bisogno di partecipare attivamente alle scelte politiche del proprio paese, dall’altra, la frustrazione di “sapere (in)consapevolmente” che, in quel sistema, così congegnato, non era ed è possibile essere protagonisti ma solo attori passivi.
A tutto ciò, poi, bisogna aggiungere quegli attori attivi e sostenitori del pervasivo sistema discriminatorio classista che lavorano per la riproduzione in itinere dello stesso, come un memento mei («ricòrdati di me», inteso come società oppressiva), i quali indebolirebbero le giuste ragioni dei più deboli verso uno stupido complottismo dietrologico, invece di abbattere le differenze sociali e i gradini che lo compongono portandolo, come dovrebbe, ad una riparametrazione democratica epistemica. Tutto questo, non come vorrebbero sostenere alcuni discutibili studi nel merito per un bisogno psicologico dovuto alla necessità di controllo dei singoli ma, per dare sfogo alle esigenze, molto terrene, di miliardi di persone che vivono di stenti e sofferenze tra guerre indotte da logiche di un viziato mercato economico, oppure, la fame causata da una pessima distribuzione delle ricchezze prodotte sulla Terra.
Quindi, fuori da ogni metafora, vi è l’impellente necessità di avere ampi strati della popolazione che si rendano conto di come le varie credenze religiose abbiano indebolito il fronte critico su come si formino le società e di quale peso specifico abbiano le credenze mistiche che hanno alimentato il pensiero comune a sostegno della proprietà privata con tutto ciò che ne è derivato.
Si era detto, tra l’altro, in altra occasione quanto le
“credenze spiritualiste o trascendentali, senza eccezione alcuna, si spingono a creare una netta demarcazione tra gli eletti e gli “altri”. L’intento ovvio è quello di creare una netta separazione tra chi detiene il pass, il codice per comunicare con l’infinito e chi ne è privo e quindi soggetto a fidarsi ciecamente, senza dubitare del tramite che si attiverà per rendere partecipe il “povero mortale” della presunta rivelazione che è la redenzione e il riscatto.”
E come alcune persone usino lo spiritual-trascendentismo o l’esoterismo per evidenti
“reiterati e poliedrici richiami alla redenzione degli uomini e la loro aspirazione verso un mondo nuovo, migliore di quello in cui si vive. La soluzione è sempre quella di una “terza via” tra vita e morte o, se volete, come fanno più esplicitamente in alcune narrazioni gli esoterici, la “terra di mezzo” dove si accampa la speranza di un luogo “terzo” lontano dalle sofferenze e ingiustizie, indiscutibilmente terrene, in cui rifugiarsi.”
Ma, soprattutto, come venne usata la simbologia della “luce” ad indicare, in tutte le credenze spiritualiste o trascendentali,
“la meta della saggezza diventando, quindi, la depositaria della giustizia a cui gli impuri possono ambire ma mai raggiungere definitivamente, lasciando così, all’impuro, all’asceta, al discepolo il desiderio, mai soddisfatto, di arrivare, perché prerogativa esclusiva di chi è stato prescelto: l’iniziato, il guru, il maestro, il sacerdote, ecc…”
Inutile dire, per facile ovvietà, come tutto ciò venne usato (pur sempre in un conflitto-collaborativo) da quelle organizzazioni che, come una “piramide superiore”, diffusero il proprio “marchio” identificativo indelebilmente persino sulla carta moneta negli scambi commerciali come avvenuto con il dollaro.
Nel secolo scorso, titanica fu la battaglia culturale dei Soviet contro questa metafisicità incompatibile col comunismo perché avrebbe determinato la fine stessa dell’emergente democrazia popolare.
Quella della metafisicità è una cultura di cui abbiamo molti esempi nelle credenze create artificialmente a danno delle aspirazioni di libertà ed egualitarismo delle persone come avviene negli USA dove vige un sistema di ferreo controllo verticistico e di divisione della platea popolare. Ben difficile avere, in quella che viene venduta a livello mondiale come la patria della democrazia, posti di rilievo se non si è passati, almeno una volta nella vita, attraverso le forche caudine della sottomissione spiritual-trascendentistica. Uno dei primi passaggi formativi in tale direzione avviene a scuola attraverso, ad esempio, l’obbligo di cantare l’inno alla bandiera le cui parole richiamano proprio quel tipo di cultura…
Non c’è paese al Mondo (Cina e Cuba compresi) che non sia immune alle pressioni spiritual-trascendentistiche tanto da costringere le popolazioni che vorrebbero liberarsene a pagare scottanti ritorsioni o ripercussioni.
Difficile, infatti, il percorso scientifico di Karl Marx sul fronte culturale per far comprendere che sia la religione, che la metafisica, o, persino, la morale, appartengano alla sfera ideale e che, tutto questo, non ha una propria storia e che, quindi, gli uomini sviluppano la produzione e quindi i loro rapporti sociali, modificando insieme anche il loro pensiero.
Infatti, per Karl Marx, a differenza di Hegel (che teorizzava il lavoro concependolo non come trasformazione del mondo oggettivo ma come spirituale astratto), non sarebbe la coscienza a determinare la vita, ma la vita a determinare la coscienza. Non per questo Marx intendeva dire che gli esseri umani siano individui passivi nella storia ma, anzi, intendeva proprio che nulla è fuori dalla loro attività e che quest’ultima consiste principalmente nei rapporti sociali, nella produzione e nel lavoro in una realizzazione di personalità armoniche e libere, non come problema individuale e privato ma come problema sociale e dipendente dalla trasformazione della struttura economica della società: il problema dell’uomo diventa problema di tutta la società.
Per Marx i gradi della libertà si misuravano secondo i gradi dell’economia: in quel periodo (regola generale tuttora valida) protagonista dei cambiamenti in atto non doveva essere la fuorviante teoria della germanicità ma il proletariato che avrebbe dovuto seppellire la borghesia proprio come questa aveva fatto in precedenza con il feudalesimo.
Un Karl Marx (poi, Lenin, Gramsci…) che in ragione della battaglia culturale contro i disseminatori di ideologie paraborghesi, si attivò in prima persona per estromettere dalla I^ Internazionale quei personaggi che avevano un ruolo fuorviante dal riscatto ideologico dal capitalismo come Mazzini o Bakunin, personaggi appartenenti alla Massoneria.
Foto di Hudson Hintze