di MOWA
Ritornano, come zecche su un cane poco curato e lavato, le provocazioni reazionarie a danno dei democratici e dei comunisti, in uno scenario, già visto in passato (e più volte messo in atto), con l’applicazione pratica della tecnica degli opposti estremismi e a tutto vantaggio della destra più becera. Ai più giovani, che non hanno avuto modo di vivere quanto successe in un recente passato, si può consigliare l’ottimo libro di Giuseppe Carlo Marino, Biografia del Sessantotto, dove vengono documentate, con dovizia di particolari, le estremizzazioni di frange consistenti di giovani come ben spiegato nell’indice di presentazione della pubblicazione:
“A ben vedere, l’interpretazione che Marino avanza del Sessantotto italiano è piuttosto un’interpretazione della crisi degli anni settanta. Tant’è vero che i capitoli conclusivi (quelli più fitti di giudizi storico-politici) discorrono non più del movimento studentesco, ma dei gruppi extraparlamentari, giungendo sino al 1977 e alla stagione del terrorismo, e suggerendo l’immagine (plausibile, ma anch’essa scarsamente documentata) di una “espropriazione del Sessantotto”. Il quadro, a questo punto, è tutto a tinte fosche: lo stragismo “di Stato” (da piazza Fontana in poi), la sempre più accentuata propensione alla violenza e alla provocazione di piazza da parte dell’estremismo, una collusione oggettiva con l’azione dei gruppi neofascisti, l’utopismo ingenuo ma sincero delle origini che cede il passo alla disperazione e ai deliri teorici dell’Autonomia…”
Generazioni di giovani che preferirono la scorciatoia del “tutto e subito”, tipico dell’immaturità politica e del nichilistico spontaneistico anarco/azionista, invece del paziente lavoro di costruzione di solide basi che, invece, diedero frutti consistenti per anni nella società come (ad es.) la sanità e l’istruzione pubblica di massa, un sistema pensionistico basato su parametri ragionevoli, vantaggiose conquiste per le donne come i consultori pubblici o i sistemi assistenziali fino a farci considerare un paese in via di forte civilizzazione; per non parlare delle conquiste sindacali nel mondo del lavoro con l’articolo 18 della Legge 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) e la costituzione dei Consigli di fabbrica.
Cose che, pian piano, si sono perse grazie ad insidiose parole (in)stillate con millimetrica precisione tra i lavoratori per rompere quel (granitico) blocco sociale che erano “i lavoratori”. Un mondo del lavoro che, grazie alla sapiente collegialità di persone e sotto le indicazioni di seri partiti (P.C.I.) e/o organizzazioni sindacali, aveva costruito un considerevole ruolo riconosciuto tanto da aumentare la propria presenza nel paese, anche, sui banchi istituzionali ed in ogni meandro della società.
Un mondo nuovo che si affacciava agli occhi delle persone uscite pochi anni addietro dalla guerra, che aveva saputo fare tesoro del proprio bagaglio culturale per dare risposte concrete e di lungo respiro alle nuove generazioni che, però, si sono fatte irretire da piccolo-borghesi (i c.d. “cattivi maestri”) e ricacciare nella disperazione progettuale e/o caos. Ancor oggi, assistiamo, tra lo scoramento e la rabbia, ad una realtà dove vengono propugnati falsi e mistificanti miti della storia. Un abbaglio che si tinge di drammatica sipidità culturale (qualcuno li ha chiamati – e come dargli torto – utili idioti) tanto da trascinare frotte incolte nella spirale della disdicevole confusione mentale.
Un bestiario simbolico e lessicale che molti si portano come bagaglio culturale incapaci di guardare la luna invece del proprio dito.
Formazioni di giovani d’età ma vecchi nei propositi che parlano a slogan senza capire cosa esattamente formulato proprio come un analfabeta funzionale.
Giovani e, anche, meno giovani, che si offendono o rifiutano il confronto solo perché, pensando che essere appartenenti ad un centro sociale, si sentono un anello importante della società non capendo che, invece, la auto-ghettizzazione che si è prodotta in quella esistenza “libera e trasgressiva” non è altro che uno dei desideri dei capitalisti. Non fu casuale, infatti, lo studio (schedatura?!) fatto dal reazionario Aldo Bonomi sui centri sociali italiani che li sondava persino con domande pruriginose e intime …se usassero droghe, sessualità…
Se ci pensate un attimo, alcuni centri sociali non sono molto diversi da quelle aree degradate delle città occidentali (ghetti) che vanno per la maggiore (negli ultimi anni) nei film di tendenza, che sono antropologicamente vittime inconsapevoli del grande capitale, e portate alla nichilistica violenza individualista (o per singole bande di quartiere) con teorizzazioni del mors tua vita mea in quanto sradicate e demotivate culturalmente dalla lotta di classe e dal superamento dal vivo contesto delle contraddizioni insite della società capitalistica.
Centri sociali che rifiutano il sistema e si autoproclamano antagonisti al sistema stesso senza capire che un blocco (pseudo) sociale a se stante non modifica nulla se non ha agganci o meglio radicamento con il fulcro dell’unica classe sociale capace di dare una visione rivoluzionaria o di reale cambiamento della società come la operaia.
Centri sociali educati da maleodoranti teorici del subdolo rossobrunismo che propagandando lo scontro fisico con le forze dell’ordine esaltandone le individualistiche gesta distruttive spacciandole come stereotipate teorizzazioni di una falsa sinistra (voluta e propagandata dal capitalismo) non capendo (ad es.), che lo stesso Ul’janov Lenin, se non avesse avuto (lavorandovi per tempo all’interno) persone in divisa e/o militari, la rivoluzione sovietica non l’avrebbe mai potuta fare; una Rivoluzione bolscevica fatta, praticamente, senza spargimento di sangue, senza saccheggi, senza devastazioni, smentendo il paradigma kerenskiano [1] disegnato sui comunisti .
Centri sociali piccolo-borghesi (e, quindi, non comunisti, anche se non lo ammetteranno mai) che invitano discutibili “cattivi maestri” del recente passato come Renato Curcio o Adriana Faranda… delle “Brigate rosse”, senza approfondire più di tanto chi siano e quale sia la loro reale natura storica.
Centri sociali che si sono fatti infinocchiare più dai richiami delle parole dell’esoterico Giulio Cesare Andrea (Julius) Evola quando analizzava i movimenti sociali per infiltrarvi le sue teorie ne L’infatuazione maoista:
«Un fenomeno curioso, meritevole di essere esaminato, è la suggestione che esercita il “maoismo” su alcuni ambienti europei, in quanto non si tratta soltanto di gruppi di dichiarata professione marxista. In Italia si possono perfino menzionare certi ambienti che rivendicano una esperienza “legionaria” e un orientamento “fascista”, pur opponendosi al Movimento Sociale in quanto lo ritengono non “rivoluzionario”, imborghesito, burocratizzato, irretito dall’atlantismo. Anche costoro parlano di Mao come di un esempio» [2]
e ulteriormente sviluppate dal fascista Franco Freda, ne La disintegrazione del sistema:
«Alla luce di una situazione storica mondiale per cui il guerrigliero latino-americano aderisce alla nostra visione del mondo molto più dello spagnolo infeudato ai preti e agli U.S.A.; per cui il popolo guerriero del Nord-Vietnam, col suo stile sobrio, spartano, eroico di vita, è molto più affine alla nostra figura dell’esistenza che il budello italiota o franzoso o tedesco-occidentale; per cui il terrorista palestinese è più vicino alle nostre vendette dell’inglese (europeo? ma io ne dubito!) giudeo o giudaizzato. Noi abbiamo propugnata l’egemonia europea, rivolgendoci a un’Europa che era stata ormai americanizzata o sovietizzata, senza considerare che questa Europa era diventata serva degli U.S.A. o dell’U.R.S.S. perché i popoli e le nazioni europee avevano assorbite – successivamente, ma non conseguentemente, alla sconfitta militare – le esportazioni ideologiche degli U.S.A. e dell’U.R.S.S». [3]
Centri sociali che si credono portatori di una cultura di sinistra (o comunista) mentre, invece, sono tutt’altro e la dimostrazione sta sia nelle parole d’ordine che nelle gesta o nei simboli adottati come quelli della saetta nel cerchio che è la riproposizione, lievemente modificata, del logo delle S A naziste (Sturmabteilung – letteralmente «battaglioni d’assalto»). Molti sono i siti o i centri sociali che si autodefiniscono di sinistra e che adottano colori che hanno un evidente richiamo ad altre culture e ben lontane dal comunismo come (ad es.) la combinazione del tris di colori: rosso, nero e bianco.
Infatti, esaltare una brigatista come la Faranda che è stata insieme agli altri terroristi causa del disfacimento delle faticose conquiste degli anni passati vuol dire essere dei trogloditi politici.
Si era più volte scritto su questi “cattivi maestri” al punto da citare come la pensassero addirittura i servizi segreti tedeschi:
“…della DDR quando diedero disposizione di proibire tassativamente (pena l’immediato arresto) ai componenti BR di entrare nel loro paese. Avevano studiato il fenomeno delle Brigate Rosse e avevano bollato, senza mezzi termini, l’organizzazione come fascista composta da persone solo ammantate di rosso (come avevamo già chiarito in un altro post) e quindi un’organizzazione, ostile e dannosa per quell’area geografica.
Tanto erano attenti quelli della DDR che avevano segnalato, per tempo, la collocazione politica reazionaria delle Br che “diventata” (sic!) strumento esecutivo dell’imperialismo aveva avuto il compito di eliminare gli artefici del compromesso storico. [4] Infatti, un commando di terroristi sequestrò e uccise il democristiano Aldo Moro.
Le dinamiche del sequestro dell’onorevole Moro sono tuttora una marea di frottole, piene di contraddizioni e lapalissiane compiacenze con i poteri forti che hanno risvegliato, in molti aderenti alle BR di allora, risentimenti legati alla loro evidente strumentalizzazione.
Ecco che, allora, dovremmo parlare, anche, del fascista Mario Moretti, iscritto all’Asan Giovane Italia, organizzazione giovanile del fascistissimo, atlantico e filosionista, Movimento sociale di Giorgio Almirante. O dovremmo, forse, credere alle fake news del “Memoriale” di Morucci, il brigatista che ha rapporti con il Sisde?
Oppure, dovremmo tirare giù dal “letto” i trascorsi di Renato Curcio prima dello storytelling mediatico post Trento
“…quello valdese-protestante, prima, e quello dell’estrema destra nazional-socialista, poi, e precisamente Jeune Europe (“Giovane Europa”). Organizzazione, quest’ultima, che riprende le tesi di Jean Thiriart …”
E si badi bene come segretario e non simpatizzante di questa organizzazione.
Una domanda, ad es., al CPA di Firenze diventa inevitabile anche per rispetto di altri che si sono dati alla causa avventuristica di questi provocatori:
Perché costoro sono fuori dal carcere ed hanno una vita di tutto agio, nonostante, gli omicidi a loro carico?
Se non fossero funzionali al sistema sarebbero ancora in prigione e non liberi di scorazzare a destra e a manca, come quelli che li hanno (in buona fede!), seguiti e che non vivono nell’agio e comodità di confortevoli case ed uffici.
La sottile propaganda del potere passa attraverso un crinale inclinato che conduce ad un vicolo cieco (e indirizzato verso persone in buona fede) ma ha, invece, come unico scopo “il mettere nell’angolo” attaccando il movimento comunista nel suo variegato arcipelago e veicolando i brigatisti come sinceri compagni, agevolando, così, una falsa contrapposizione a tutto vantaggio dei reazionari e ben oliata coi loro media. Trasformando e legittimando, in questo modo, la destra politica come se fosse democratica contro il terrorismo e nascondendo, inoltre, alle nuove generazioni tutte le stragi da loro compiute.
NOTE:
[1] Angelo d’Orsi L’anno della Rivoluzione 1917 ed. Laterza (pag. 198)
[2] Julius Evola, L’infatuazione maoista, Il Borghese, 18 luglio 1968
[3] Franco G. Freda, La disintegrazione del sistema (1969), Edizioni di Ar, Padova 1978
[4] Archivio della STASI XV/3887/63 HV A II – “Periodo 1977-78: diverse informative sulla Biennale di Venezia, sui presunti rapporti fra destra estrema tedesca e servizi segreti italiani su attività del partito CSU in Italia e su un tentativo di sequestrare Berlinguer ” dal libro “Spie dall’Est – l’Italia nelle carte segrete della Stasi” di Gianluca Falanga, pag 249, Carocci ed . Sfere 2014