di MOWA
Ascoltando l’audizione dell’ex colonnello dei Carabinieri Michele Riccio, alla Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, del 27 aprile u.s.,
(qui riprodotta cliccando sopra l’immagine)
non sapevamo se congratularci con noi stessi per quanto detto da decenni o arrabbiarci perché rimasti inascoltati da parte di chi aveva strumenti e mezzi per fare qualcosa.
Un grandissimo merito sul portare alla luce la verità dei fatti va sicuramente a Sergio Flamigni che, nel tempo, ha analizzato tutte le contraddizioni sostenute da più parti e non si è fatto fuorviare da chi voleva portarlo fuori strada in merito alle sue deduzioni che sono arrivate con un anticipo di anni rispetto a quanto detto in audizione dall’ex investigatore colonnello dei Carabinieri, Michele Riccio.
In particolar modo siamo rimasti positivamente colpiti, quando, al minuto 41 50” circa, l’ex colonnello dei Carabinieri Michele Riccio, parlando delle stragi del 1992-93, indica l’intreccio tra destra extraparlamentare (in particolar modo ordinovista), parti istituzionali, servizi “deviati” e certi ambienti della politica, e cioè gli stessi soggetti che ispirarono le azioni del 1973-74 (strategia della tensione).
Riccio parlando del mentore del suo informatore Luigi Ilardo, il massone Ghisena (prima che Ilardo venisse ucciso nel 1996 davanti casa sua, dietro corso Italia a Catania, una settimana dopo la richiesta ufficiale di collaborare con la giustizia, era vice-rappresentante provinciale della famiglia mafiosa di Caltanissetta, ma era, anche, nipote del capo di Cosa Nostra Ciccio Madonia, nonché, cognato del latitante brindisino Giovanni Ghisena), sostiene che Ilardo disse che fu proprio Ghisena colui che portò “in casa sua [di Ilardo ndr] Luciano Liggio” e che fu, sempre questi (il “massone affliato ai servizi segreti […] SID” Ghisena) l’artefice del sodalizio tra la ‘ndrangheta calabrese e la mafia siciliana di Domenico Tripodi, Santapaola e Madonia.
La cosa che dovrebbe far riflettere il mondo politico ed in particolar modo quei compagni che nutrono ancora qualche dubbio su quanto sosteniamo da anni sulle “Brigate Rosse” è che questa formazione non è “la favola romantico-narrativa raccontata al mondo intero” ma che, in realtà, è quanto di più squallido possa esistere. Infatti, parlando di Torino, continua l’investigatore nell’audizione di Commissione, il massone Ghisena (“primo arresto nel ’75”) aveva contatti da diversi anni (sicuramente dal ’76-’77) con i brigatisti rossi ed un “imprenditore in rapporti con il Grande Oriente […] sui 50-55 anni”. Alla comunicazione – seguita l’investigatore – sia Mori che Caselli fecero un salto sulla sedia.
È a questo punto che molti dovrebbero rileggere alcuni brani scritti su questo sito rispetto ai diversi capi storici delle Brigate Rosse che tutto hanno fuorchè il comunismo nel cuore.
Dovremmo, ri-ascoltate le parole dell’investigatore e ripassare man mano tutte quelle storpiature politico-giornalistiche dei vari soggetti che si sono resi correi di una accomodante revisione storica del periodo che va dagli anni del dopo-guerra sino alla distruzione del più grande soggetto europeo comunista, il P.C.I. con l’intento di produrre caos e disorientamento politico tendente all’individualismo e all’eliminazione della solidarietà di classe.
Un progetto che è stato congeniato nei piani “alti” della nostra società ma che ha avuto manovali nei vari gradini del paese e che deve farci dire che tutto ciò deve essere ripreso e rianalizzato per mettere alla gogna (se serve) quelle categorie industriali, politiche e così via, che ci hanno portato pian piano alla rovina ma, partendo dall’assunto indiscutibile che prima occorre un soggetto politico che abbia le identiche basi che aveva il P.C.I.. L’unico soggetto che è stato capace di fermare le varie derive autoritarie provenienti sia dall’Occidente che dalla vicina ed ormai compromessa Unione Sovietica e rimanere fedele ai propositi costituzionali che sono stati il frutto di una sapiente analisi di cosa produsse il fascismo e quali danni poteva ancora arrecare se si fosse dato ascolto alle sirene culturali della violenza mazziniana. Cultura che parte e approda nelle logge che hanno tanto favorito sistemi solo ed eclusivamente capitalistici… e che (com’è nel loro modo di agire), non hanno mai ammesso.
2 Comments
Tutto molto interessante. Ma non condivido nulla dell’ultimo capoverso, in particolare: “L’unico soggetto che è stato capace di fermare le varie derive autoritarie provenienti sia dall’Occidente che dalla vicina ed ormai compromessa Unione Sovietica”. Stiamo scherzando? A parte che il PCI fece finta di denunciare, ma in realtà tacque molto di quel che sapeva (per favorire la disastrosa politica berlingueriana del “Compromesso Storico”), la sua analisi dell’URSS fu debole e tardiva (espulsione del Manifesto, indifferenza sui convegni di Venezia sulla dissidenza di sinistra all’Est, mantenimento strumentale del mito sovietico fra i meno colti, accettazione degli aiuti dall’URSS fino al 1974, 6 anni dopo l’invasione della Cecoslovacchia…). Se non fosse stata debole e tardiva, specie a livello di consapevolezza di massa, le sceneggiate occhettiane al tempo della caduta del Muro non avrebbero avuto spazio. Per quanto riguarda l’Occidente, si passò da una critica giusta, ma spesso meccanica e superficiale, a un improvviso innamoramento acritico, a cui diede il via il solito antimarxista Berlinguer (Giorgio Napolitano ci aveva visto lungo ad appoggiarlo) dicendo che si trovava meglio con la NATO che con il Patto di Varsavia. A questi signori, l’idea che l’Italia potesse non avere padroni (né l’URSS né gli USA), e un modello sociale democraticamente e autonomamente scelto, non venne mai in mente. Anche loro lavorarono (al di la della propaganda) per fare della Costituzione una foglia di fico dei poteri forti.
Rimandiamo la risposta al link http://www.iskrae.eu/?p=69502 che uscirà domani 5 maggio.
Lo staff di iskrae.eu