Hanno torto gli Occidentali a temere il dominio militare di Russia e Cina; devono invece temere l’uso che Mosca e Beijing potrebbero farne per costringerli a onorare la loro propria firma.
La Russia e la Cina hanno armamenti superiori agli Occidentali. La Russia ha vinto la guerra in Siria e si appresta a vincere il conflitto in Ucraina. Qui, nonostante gli sforzi, la Nato – che già ha fallito in Medio Oriente per interposizione degli jihadisti – non riesce a rovesciare la situazione sul campo.
La forma mentale da ex potenze coloniali spinge gli Occidentali a immaginare che Russia e Cina useranno la superiorità militare per imporre il proprio modo di vivere al resto del mondo. Ma non è quanto fanno, né quanto intendono fare.
Mosca e Beijing chiedono l’applicazione del diritto internazionale. Niente di più. I russi vorrebbero poter stare tranquilli a casa loro, i cinesi ambiscono invece a sviluppare il proprio commercio su tutto il globo terrestre.
Gli avvenimenti in Ucraina ci inducono a dimenticare le richieste che dal 2007 la Russia ha più volte rinnovato: Mosca pretende garanzie di sicurezza adeguate alla propria situazione, in particolare esige che Paesi terzi non ammassino arsenali nelle nazioni con essa confinanti. La Russia non può difendere le proprie frontiere, le più estese al mondo. Non può tutelare la propria sicurezza con eserciti nemici concentrati su più fronti ai propri confini, a meno di ricorrere alla «strategia della terra bruciata» del maresciallo Fëdor Rostopchin. Questa è la linea che ha guidato Mosca in tutti i negoziati per la riunificazione della Germania, cui l’URSS si è sempre opposta a meno che la nuova Germania s’impegnasse a non schierare armi della Nato nella parte orientale. Ed è anche il senso di tutti i negoziati con gli ex Stati del Patto di Varsavia, nonché dei negoziati con tutti gli Stati dell’ex Unione Sovietica. Mosca non si è mai opposta al diritto di questi Stati di scegliere con chi allearsi, nonché eventualmente di aderire alla Nato; vi si è opposta se l’adesione alla Nato avesse implicato lo stoccaggio di armamenti della Nato sul loro territorio.
Mosca ha ritenuto rispettate le proprie esigenze solo nel 1999, quando 30 Stati membri dell’OSCE [Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, ndt] firmarono la Dichiarazione d’Istanbul, la cosiddetta Carta della Sicurezza in Europa, in cui furono fissati due principi fondamentali:
– il diritto di ogni Stato di scegliere i propri alleati;
– il dovere di ogni Stato di non minacciare la sicurezza di altri Stati per assicurare la propria.
L’unica ragione che ha portato al conflitto ucraino è la violazione di questi principi. Fu questo il senso del discorso alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco del 2007, con cui il presidente Vladimir Putin denunciò il non-rispetto degli impegni dell’OSCE e l’instaurazione di una governance «monopolare» del mondo.
Gli Occidentali convennero che la Russia aveva ragione, ma, ritenendola un Paese alla deriva, irrisero alla sua impotenza. Sbagliarono: la Russia si è risollevata e li ha superati. Oggi usa la forza per costringere noi Occidentali a onorare la nostra firma sui trattati, non per imporci il suo modo di pensare.
Dal crollo dell’Unione Sovietica, gli Occidentali hanno disatteso gli impegni sottoscritti durante la guerra fredda: volevano costruire un «Nuovo Ordine Mondiale», secondo la formula di Margaret Thatcher e George W. Bush; un nuovo ordine mondiale «fondato su regole» da loro stessi definite. Quindi noi Occidentali abbiamo continuato a disonorare la nostra firma e, dunque, il diritto internazionale.
C’è incompatibilità di fondo tra il diritto internazionale, esito della Conferenza dell’Aia nel 1899, e il diritto anglosassone: il diritto internazionale è una convenzione positiva. È elaborato all’unanimità, ossia accettato da tutti i Paesi che lo applicano. Il diritto anglosassone si fonda invece sulle consuetudini. È perciò costantemente in ritardo rispetto all’evoluzione del mondo e privilegia coloro che l’hanno dominato.
A partire dal 1993 gli Occidentali hanno iniziato a sostituire uno dopo l’altro tutti i Trattati internazionali riscrivendoli secondo il diritto anglosassone. Madeleine Albright, rappresentante all’Onu dell’amministrazione Clinton, era figlia del professor Josef Korbel, diplomatico ceco docente all’università di Denver, il cui insegnamento si basava sulla convinzione che il mezzo più efficace per gli Stati Uniti di dominare il mondo non era conquistarlo militarmente, ma fargli adottare il proprio sistema giuridico, come aveva fatto la Corona britannica nel proprio impero. In seguito Albright divenne segretaria di Stato. Quando George W. Bush successe a Bill Clinton, la figlia adottiva di Josef Korbel, Condoleezza Rice, prese il posto di Albright, dopo l’intermezzo di Colin Powell. In pratica per due decenni l’Occidente ha pazientemente distrutto il diritto internazionale e imposto le proprie regole, al punto da attribuirsi ora il titolo enfatico di «Comunità internazionale».
Il 21 marzo 2023, a Mosca, i presidenti russo e cinese, Vladimir Putin e Xi Jinping, si sono accordati su una strategia comune per far trionfare il diritto internazionale, ossia per smantellare nientedimeno che tutto ciò che Albright e Rice hanno realizzato.
La Russia, che nel mese di aprile presiedeva il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha deciso di organizzare un pubblico dibattito sul tema: «Mantenimento della pace e della sicurezza internazionali: un multilateralismo efficace fondato sulla difesa dei principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite».
La riunione, presieduta dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, non aveva lo scopo di lavare in piazza i panni sporchi accumulati dalla scomparsa dell’Unione Sovietica, ma di avviare la mobilitazione del maggior numero possibile di Stati. Prima della seduta la Russia ha diffuso una nota di messa a fuoco dei punti cruciali (S/2023/244), ove esplicitava come l’ordine unipolare occidentale si sostituisca al diritto internazionale. Ammoniva inoltre sul ruolo svolto in questo meccanismo dai protagonisti non-governativi, le famose ONG. Nonché sottolineava come il fare dei diritti dell’uomo un criterio di buon governo, invece di un obiettivo da conquistare, li trasformi in arma politica e nuoccia gravemente al loro avanzamento. In linea generale i Tribunali internazionali sono usati per stabilire il Bene, non per affermare il Diritto. Non servono quasi più a risolvere le controversie, servono soprattutto a creare gerarchie, a dividere anziché unire. La Nota terminava con una serie di domande, tra cui «Cosa si può fare per ripristinare la cultura del dialogo e del consenso all’interno dell’Organizzazione [delle Nazioni Unite], nonché all’interno del Consiglio di sicurezza? Qual è il modo migliore per dimostrare che la situazione attuale, caratterizzata da un approccio selettivo alle norme e ai principi del diritto internazionale, compresi quelli della Carta, è inaccettabile e non può durare più a lungo?».
L’intervento del segretario generale dell’Onu, António Guterres, non ha consentito di far progredire il dibattito, limitandosi a presentare il futuro programma delle Nazioni Unite. I numerosi partecipanti al dibattito si sono così divisi in tre gruppi.
La Russia ha tessuto le lodi della Carta delle Nazioni Unite e ne ha deplorato l’evoluzione degli ultimi trent’anni. Ha perorato l’uguaglianza fra tutti gli Stati sovrani e denunciato il potere esorbitante degli Occidentali e della loro organizzazione unipolare. Ha ricordato che l’operazione speciale in Ucraina è stata la conseguenza del colpo di Stato del 2014 a Kiev; quindi il problema non è l’Ucraina, ma come gli Occidentali governano le relazioni internazionali. La Russia ha incidentalmente messo in guardia il segretario generale dell’Onu, richiamandolo al dovere dell’imparzialità. Ha sottolineato che se i documenti dei prossimi vertici dell’Organizzazione non rispetteranno tale principio produrranno un’ulteriore divisione del mondo invece di unirlo.
– Il Gruppo degli Amici per la difesa della Carta delle Nazioni Unite e il Gruppo dei 77 hanno ripreso l’approccio russo.
– Un secondo gruppo, formato dagli Occidentali, ha deviato in continuazione il dibattito sulla questione ucraina, rifiutandosi di prendere in considerazione il colpo di Stato di Maidan, sottolineando al contrario la violenza dell’«invasione» russa, nonché il suo costo umano.
– Un terzo gruppo ha sferrato attacchi ancora più aspri. Il Pakistan ha denunciato il concetto di «multilateralismo in rete», contrario a un ordine internazionale formato da Stati sovrani e tra loro uguali. Ha anche respinto ogni prospettiva di un mondo «unipolare, bipolare, persino multipolare se dominato dagli Stati ultra-potenti». L’Etiopia e l’Egitto hanno denunciato il ruolo devoluto dalle grandi potenze a protagonisti non-statali.
Sebbene prima del dibattito la Russia e la Cina avessero ricordato alle delegazioni i trattati internazionali che il Nuovo Ordine Mondiale viola spudoratamente, durante la discussione non si è parlato di casi particolari, a eccezione dell’Ucraina, che sta tanto a cuore agli Occidentali.
Tuttavia bisogna prevenire le molte rimostranze dei non-Occidentali, ossia dei governi che rappresentano l’87% della popolazione mondiale.
Cioè a dire:
– Nel 1947 la Finlandia si è impegnata a rimanere neutrale. Con la recente adesione alla Nato, Helsinki disonora la propria firma.
– Nel 1990, al momento della loro istituzione, gli Stati baltici si sono impegnati per iscritto a conservare i monumenti in onore dei sacrifici dell’Armata Rossa. La distruzione di questi monumenti è perciò una violazione della loro firma.
– Con la risoluzione 2758 del 25 ottobre 1971, le Nazioni Unite hanno riconosciuto la Repubblica Popolare Cinese – non Taiwan – unico appresentante legittimo della nazione cinese. Il governo di Chiang Kai-shek è stato quindi espulso dal Consiglio di sicurezza e sostituito da quello di Mao Zedong. Ne consegue che, per fare un esempio, le recenti manovre navali cinesi nello Stretto di Taiwan non costituiscono un’aggressione a uno Stato sovrano, ma sono un libero dispiegamento delle proprie forze nelle proprie acque territoriali.
– E via elencando.
In sostanza quello che noi, l’Occidente, dobbiamo temere da Russia e Cina è che ci costringano a essere noi stessi e a onorare la parola data.
Rachele Marmetti
2 maggio 2023