di Andrea Montella
Le ragioni della nascita del Partito comunista d’Italia a Livorno il 21 gennaio del 1921 sono diverse; una è sicuramente, come afferma il nostro amico e storico, Gerardo Padulo, la radicalizzazione da parte delle masse proletarie e del Partito socialista a seguito dei massacri e delle schifezze provocate dalla prima guerra mondiale, a cui le socialdemocrazie europee avevano dato appoggio teorico e politico. Appoggio che continua nel dopoguerra con episodi esecrabili come il criminale assassinio dei due dirigenti della Lega spartachista, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, da parte dei Freikorps, organizzazioni paramilitari anticomuniste, assunte dallo stesso governo socialdemocratico della Repubblica di Weimar in Germania.
Azioni che dimostravano e giustificavano la critica radicale nei confronti dei socialdemocratici e di quella guerra imperialista, fatta precedentemente dai bolscevichi e da Lenin all’interno della Seconda Internazionale, che aveva portato alla creazione della Terza Internazionale comunista e a un attacco frontale al gruppo dirigente che aveva in Karl Kautsky e Eduard Bernstein la massima espressione di quel revisionismo delle teorie marxiste che ancora oggi ammorba la sinistra mondiale.
Le masse proletarie e la base socialista hanno visto con i loro occhi quali interessi reali erano in gioco, quindi in cosa consisteva realmente il riassetto delle nazioni: una nuova spartizione in base ai rapporti di forza all’interno del grande capitale internazionale che aveva nel blocco angloamericano il suo centro motore, mosso dalle due crisi globali di sovrapproduzione del 1873 e del 1907, a cui aveva risposto con la “grande guerra” per giungere alla distruzione di quel surplus produttivo e di “merce forza lavoro”, che aveva abbracciato in buona parte idee socialiste-comuniste.
La prima guerra mondiale ha provocato 17 milioni di morti tra militari e civili; 20 milioni tra feriti e mutilati ma si arriva a un totale di 65 milioni di morti includendo anche le vittime dell’influenza spagnola del 1918-1919 che non poté essere combattuta a causa del conflitto in corso, che ne è stato probabilmente la causa scatenante.
A questo disegno criminale solo il partito bolscevico ha saputo dare una compiuta risposta positiva sia sul piano teorico che politico organizzativo, determinando la canalizzazione delle proteste verso un vero processo rivoluzionario che aveva al centro la Pace che poteva essere raggiunta solo ponendo la questione del potere. Problema quello del potere risolto con l’egemonia bolscevica sulle forze armate russe e con l’alleanza operai-contadini, che portò alla presa del Palazzo d’Inverno e alla caduta del governo filocapitalista del principe Aleksandr Kerensky.
La maggioranza dei partiti socialisti europei non seppe far fronte all’enorme esigenza di pace tra i popoli; in questa condizione si trovava anche il Partito socialista italiano, che non ha saputo fare tesoro della lezione giunta dalla Russia, che era possibile in una fase così profonda di crisi del capitale operare per una svolta radicale della situazione politica in Italia.
I tentennamenti del gruppo dirigente socialista produssero in diversi compagni l’esigenza di una seria discussione sul che fare.
Siamo nel periodo in cui all’interno del Psi nasce il giornale L’Ordine Nuovo, di cui Gramsci era segretario di redazione e Terracini gerente responsabile, che diventa il giornale dei lavoratori e dei consigli di fabbrica e di tutti coloro che volevano fare come in Russia. In pochi mesi l’idea-forza dei consigli di fabbrica si allarga e si realizzano scioperi in decine di stabilimenti metallurgici, dalla FIAT alla Diatto, dalla Savigliano alla Lancia.
Gli articoli de L’Ordine Nuovo suscitano dibattiti in tutto il movimento operaio, politico e sindacale, nonostante le opposizioni di riformisti e massimalisti. La piattaforma rivoluzionaria de L’Ordine Nuovo opera il proprio collaudo nel 1920. Le posizioni de L’Ordine Nuovo ebbero l’approvazione di Lenin e nello scontro interno al PSI si avvicinò all’ala astensionista guidata da Amadeo Bordiga, che auspicava la costituzione di una sezione italiana dell’Internazionale comunista.
A Torino gli industriali nel corso delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro rifiutano la richiesta degli aumenti salariali e, allo sciopero bianco degli operai, rispondono con la serrata.
I metallurgici reagiscono occupando le fabbriche nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova. Il movimento d’occupazione viene tenuto nei limiti delle officine e fallisce.
Le azioni di protesta per il costo della vita e la crisi economica post bellica toccano anche le campagne e il movimento contadino. Ma le lotte purtroppo non trovano, come in Russia, un partito che riesce a saldare i fronti operaio e contadino e ad avere l’appoggio dell’esercito, fondamentale per la presa del potere, perché non vi era stato svolto lavoro politico da parte dei socialisti. Il bilancio di quegli anni che vanno sotto il nome di “biennio rosso” (1919-20) lascia spazio all’avanzata delle forze reazionarie borghesi, sia industriali che agrarie, che si compattano in funzione antiproletaria e a sostegno del nascente fascismo.
Gramsci, Togliatti e Terracini conducono un’intensa campagna a sostegno delle lotte e della nascente Russia sovietica, che culmina a Livorno il 21 gennaio 1921 con la scissione durante il XVII Congresso del Partito socialista e la fondazione del Partito Comunista d’Italia.