di Paola Baiocchi
13 giugno 1984: Roma è travolta da una folla immensa arrivata da tutta Italia per i funerali di Enrico Berlinguer. Sono milioni, molti non riusciranno nemmeno ad arrivare nelle vicinanze di piazza San Giovanni dove si svolge il comizio e come una macchia colorata che riempie Roma, verranno ripresi dall’elicottero che effettua le riprese per il documentario collettivo L’addio a Enrico Berlinguer alla cui lavorazione partecipano 60 tra attori e registi del calibro di Ettore Scola, Carlo Lizzani, Giuliano Montaldo, Gillo Pontecorvo.
In strada ci sono i militanti comunisti, c’è chi si è iscritto al Pci perché “c’era lui come segretario”, c’è chi lo ha visto solo in televisione ma sente di aver perso un alleato, un amico, un difensore dei diritti di tutti, un politico giusto e onesto.
L’aria è ancora carica dell’emozione per i funerali e per l’inaspettata scomparsa del segretario, quando nel garage di Botteghe Oscure si incontrano D’Alema e Occhetto.
D’Alema ha 35 anni, di lui si dice che fin da piccolo si è “iscritto alla segreteria del Partito” e a febbraio ha accompagnato Berlinguer nel viaggio a Mosca per i funerali di Andropov, un’investitura politica di rilievo. Occhetto ha 48 anni e sente di essere il prescelto per la segreteria fin dai tempi della sua orazione funebre per i funerali di Togliatti.
Si accordano su chi succederà a Berlinguer, stabiliscono i tempi, sanno che dovranno procedere per gradi: dopo un gigante come Berlinguer il Partito non sarà aperto alla candidatura di un giovane e D’Alema lascia il passo per far andare avanti Occhetto, che pure dovrebbe sapere che non è bene avere D’Alema alle spalle.
Nel Comitato Centrale del 26 giugno 1984, Alessandro Natta viene eletto segretario del Pci con 227 voti a favore, 11 astensioni e nessun voto contrario.
Si preferisce lui a Lama, il migliorista segretario della Cgil. Il savonese schivo accetta “per senso del dovere”, sa che si troverà ad affrontare un percorso accidentato per tenere insieme il Partito, tra le ambizioni dei “giovani” quadri, le spinte della destra del partito per abbandonare le politiche berlingueriane e l’avanzare del craxismo. Nel 1986 viene riconfermato segretario a Firenze, al XVII Congresso (9-13 aprile).
Il 30 aprile del 1988 Natta ha un malore mentre si trova a Gubbio per un comizio. Mentre è ricoverato in ospedale scopre di aver presentato “a sua insaputa” le dimissioni da segretario.
Il 21 giugno del 1988 il Comitato Centrale del Pci vota Achille Occhetto nuovo segretario generale.
Nel passaggio di consegne forzato dal segretario comunista all’ambizioso Occhetto – che ha militato nell’Azione cattolica, ha chiesto ufficialmente la riabilitazione di Trotsky e ha condotto la Fgci in una caduta verticale degli iscritti – c’è il senso dell’implosione, ma anche del golpe che si sta verificando nel Partito comunista, dove ormai le correnti si scontrano allo scoperto e i dirigenti vogliono essere leader decisionisti, come Craxi.
E’ con questo piglio decisionista che Occhetto introduce una novità assoluta all’interno del Pci, che poi diventerà normale anche negli altri partiti, ma che al momento passa quasi inosservata. Nomina da sé il suo staff di collaboratori, gli uomini che avrebbero condiviso con lui la gestione quotidiana della segreteria e della macchina organizzativa: Iginio Auriemma, Massimo De Angelis, Antonello Falomi.
Fino a quel momento le nomine erano condivise o votate a maggioranza negli organismi dirigenti, e – fra l’altro – non seguivano le geometrie correntizie.
Falomi, ghost writer di Occhetto ex assessore al Bilancio del Pci a Roma, era sposato con Giulia Rodano, figlia di Franco Rodano, fondatore del Movimento dei Cattolici Comunisti nel 1943, poi Sinistra Cristiana nel 1944-’45, a cui aderisce anche la famiglia di Achille Occhetto, che da piccolo assisteva alle riunioni che si tenevano a casa dei suoi genitori, a Torino. Allo scioglimento di Sinistra Cattolica Rodano si iscrive al Pci, ma costruirà una delle cripto correnti che soffiano nel Partito, un’area non dichiarata ma che opera per influenzare le politiche di Botteghe Oscure, come riporta Luciano Barca nel suo Cronache dall’interno del vertice del Pci.
Il 1989 è un anno denso di avvenimenti sconvolgenti che Occhetto vive con un programma intenso: ad aprile incontra Pierre Mauroy a Parigi per perorare l’ingresso del PCI nell’Internazionale socialista; a maggio Occhetto e il ministro degli Esteri, Giorgio Napolitano, volano negli Stati Uniti per cinque giorni. Napolitano è già stato negli Usa in precedenti occasioni e ha una fitta rete di relazioni. Ma è la prima volta per un segretario del Pci e gli incontri hanno la dignità di una visita di Stato, anche se le cronache riporteranno questa dichiarazione di Occhetto: «Mi sembra di essere in un film di Woody Allen».
Al Palazzo di vetro incontreranno il segretario generale dell’Onu, Javier Perez de Cuellar, terranno una serie di conferenze pubbliche al Council on Foreign Relations e alla New York University, si vedranno con David Rockfeller, l’uomo simbolo del capitalismo.
Nella Grande mela i due si sono incontrati anche con Edgard M. Bronfman, leader del World Jewish Congress. Quell’incontro, che è alla base dei successivi spostamenti in senso filo-sionista dei post comunisti, fu riportato in un articolo di Andrea Purgatori per il Corriere della Sera del 17 maggio: «Ho visto la sua foto sul New York Times – dice Bronfman – parafrasando Cartesio devo dunque concludere che lei esiste».
Nella notte tra il 3 e il 4 giugno arriva la notizia della repressione dei manifestanti a Pechino, in piazza Tienanmen. In Italia si vota il 18 giugno per le europee e le immagini dell’uomo con le borse della spesa che fronteggia una fila di carri armati diventa argomento di dibattito politico. “Queste storiche manifestazioni erano rappresentate da quasi tutti i media internazionali come uno scontro tra studenti moderni e idealisti che volevano le libertà democratiche di stampo occidentale, e gli autoritari della vecchia guardia che volevano proteggere lo stato comunista” (Naomi Klein 2007). Non sono solo studenti, ma anche operai, piccoli imprenditori e insegnanti: chiedono che le riforme economiche di Deng siano all’interno degli elementi di socialismo già introdotti in Cina. “Le proteste non erano rivolte contro la riforma economia in sé; si opponevano alla specifica natura friedmaniana delle riforme”. Chiedevano più comunismo, non meno comunismo.
Il 9 novembre segna la caduta del Muro che divideva le due Germanie, ma sotto le sue macerie non resta sepolto il capitalismo.
Il 12 novembre alla Bolognina durante un’iniziativa in ricordo della battaglia partigiana di Porta Lame il segretario Occhetto annuncia quella che passerà alla storia con il nome della “svolta” senza che ci sia stata all’interno del partito l’adeguata discussione che una decisione di quella portata avrebbe richiesto. E’ la fine del centralismo democratico.
Le conseguenze sono sconvolgenti e i fatti cominciano a susseguirsi con una rapidità che travolge tutto e delle cui conseguenze ci si è resi conto solo molto tempo dopo: un sondaggio Demoskopea pubblicato dal Corriere della Sera il 23 novembre conclude che “un comunista su due non vuole cambiare nome”.
Nelle sezioni si accende il dibattito: Nanni Moretti segue queste riunioni in tempo reale riprendendole tra novembre e dicembre, dalla sezione Testaccio di Roma a Francavilla di Sicilia, passando per il quartiere della Bolognina, e raccogliendole nel documentario La cosa, trasmesso per la prima volta su Rai 3 il 6 marzo del 1990, alla vigilia del XIX Congresso di Bologna (7-11 marzo): i militanti sono confusi, combattuti tra il timore di perdere il Partito e il rispetto per la dirigenza. Il documentario raccoglie anche la domanda centrale, la sintesi dello sgomento dei militanti: se il Pci aveva preso già da anni le distanze dalla linea del Partito comunista sovietico, perché la caduta del Muro avrebbe dovuto avere conseguenze sulla via italiana al socialismo, rappresentata dal Pci?
Il 21 novembre all’interno del Comitato Centrale più lungo della storia, cominciato il pomeriggio del 20 e terminato il pomeriggio del 24, si prefigura per la prima volta lo schema del doppio congresso: un primo per avviare la Costituente del nuovo partito, un secondo per dargli vita e approvare il nuovo nome e il nuovo simbolo. Agli oltre trecento membri del Comitato Centrale si aggiungono anche i rappresentanti della Commissione di garanzia arrivando a una platea di oltre quattrocento persone. Appena il segretario conclude il suo intervento si aprono le iscrizioni a parlare e si registrano in duecentotrenta.
Il Comitato Centrale si conclude il 24 novembre con il voto di 326 membri su 374: 219 sì, 73 no e 34 astenuti all’ordine del giorno col quale il CC del PCI assume la proposta del segretario di dar vita ad una fase costituente di una nuova formazione politica.
Ma al contempo si accetta la proposta delle opposizioni di indire un congresso straordinario entro quattro mesi per decidere se dar vita a un nuovo partito. Fra i no a Occhetto pesa quello del presidente Alessandro Natta.
La decisione di avviare la procedura per il Congresso straordinario è lacerante e laceranti sono le discussioni nelle sezioni per definire i delegati che vi parteciperanno, divisi tra le tre mozioni: la prima del segretario che propone di aprire una fase costituente per un partito nuovo, nel solco dell’Internazionale socialista; la seconda firmata da Ingrao e Natta che si opponeva alla modifica del nome, del simbolo e della tradizione; e una terza proposta da Armando Cossutta.
La scissione non è più solo uno spettro, è ormai un dato di fatto.
Le sezioni si contrappongono tra il Sì e il No, i compagni si vedono opposti tra “noi” e “voi”, tra “vecchio” e “nuovo” come ben descrive il film Mario, Maria e Mario di Ettore Scola (1993).
La divisione scava nel profondo, nelle identità, nelle relazioni. E come nel film di Scola anche in famiglia ci si comincia a dividere: Fabiola Modesti, madre di Massimo D’Alema, è durissima con il figlio “Sei uno degli artefici di questo gesto abbietto, non presentarti più a casa mia”.
La sociologa Gianna Schelotto il 29 gennaio 1990 scrive un articolo per l’Unità dal titolo sconvolgente “Lui del Sì, lei del No. Si lasciano”. Le identità nell’articolo sono fittizie, ma la storia è vera, lei è una parlamentare del Pci e la storia davvero si conclude con grande dolore con la separazione, come sono vere le frasi cruciali raccolte dalla sociologa “Siamo ormai due comunisti nemici. Ma forse dovrei dire solo due nemici”.
Il Congresso di Bologna si chiude con la mozione di Occhetto vincente con il 67% dei voti, contro il 30% raccolto dalla mozione di Natta e Ingrao e il 3% da quella cossuttiana. Aldo Tortorella viene eletto presidente del Pci, mentre le lacrime di coccodrillo di Occhetto, stagliato sullo sfondo rosso della sala congressuale appena riconfermato segretario, vengono trasmesse senza fine nei telegiornali.
Ben altre lacrime avrebbe versato Occhetto il 3 febbraio del 1991, alla conclusione del XX Congresso, a Rimini. Vince il Congresso la mozione Uno, che riesce a mandare in discarica il Partito comunista più grande dell’Occidente, dichiara inattuale Marx, seppellisce la falce e martello ai piedi di un’esoterica quercia druidica. Ma Occhetto che l’ha presentata non raggiunge il quorum e non viene eletto segretario dal Congresso che ha visto la nascita del Partito dei Democratici della Sinistra. La sua reazione appena ricevuta la notizia è di andare al bar e di ingollare un wiskhy che viene ripreso e trasmesso da Blob a ripetizione, in una reiterazione che fa sembrare Occhetto un folle ubriacone. Poi il segretario mancato scappa nel suo buen retiro di Capalbio.
La disinvoltura suicida che fino a quel momento aveva accompagnato tutta la gestazione della Cosa, dalla Bolognina a Bologna, abbandona Occhetto e mostra il suo ghigno: gli hanno fatto credere “vai avanti tu, noi ti seguiremo” ma in quella mancata elezione c’è il segno che come politico è solo un burattino e che verrà lasciato cadere dopo esser stato usato.
A fatica riusciranno a farlo rientrare a Roma e ad accettare l’elezione a segretario del Pds, nel Consiglio Nazionale dell’8 febbraio.
La caduta del Muro non ha provocato la fine dei due blocchi, ma solo la vittoria del capitalismo e dell’imperialismo statunitense, ha rafforzato i reazionari anticomunisti aprendo addirittura allo sdoganamento dei fascisti, come dimostrano tutte le campagne elettorali dal 1994 in poi. Occhetto scrive nel libro-intervista, Il sentimento e la ragione di Teresa Bartoli, che il bisogno del partito nuovo che lui immaginava lo interpreta la Lega.
La sbagliata valutazione del periodo e l’errore di non rilanciare la via italiana al socialismo, ci hanno lasciati senza il partito di riferimento e senza un’adeguata analisi sulle ragioni della vittoria della loggia massonica P2 in casa comunista.