Altre truppe in Afghanistan. Il Pentagono spinge sul presidente Trump per ottenere rinforzi nella guerra contro talebani e ISIS. Ma il “piccolo sforzo” richiesto -così è stato definito- potrebbe tradursi in un nuovo fallimento. L’Italia coinvolta
In Afghanistan le cose per gli americani stanno andando decisamente male, gli alleati afghani sono inaffidabili e corrotti, e per gli Usa la ‘exit strategy’ progettata da Obama sta rivelandosi una rotta. Ed ecco i piani del Pentagono per aumentare la presenza di militari americani in Afghanistan.
Il 4 maggio, durante un’audizione alla Commissione Forze Armate del Senato, il sottosegretario alla Difesa Theresa Whelan ha annunciato che il Pentagono sta elaborando piani per aumentare la presenza di militari americani in Afghanistan. Una proposta al presidente per superare la situazione attuale di stallo nelle operazioni militari in Afghanistan.
Stallo americano, d’intende. Il fronte dei talebani, solo poche settimane fa, ha attaccato a Mazar-e-Sharif, nel nord del Paese, una base dell’esercito regolare afghano uccidendo 140 soldati.
Dopo sedici anni di guerra costata finora agli americani 2.300 morti, la situazione vede ancora gli islamisti radicali bene insediati nelle loro province nonostante un impegno militare internazionale che ha toccato la sua punta massima nel 2014, quando solo il contingente americano era arrivato a schierare sul terreno 100mila soldati.
Attualmente in Afghanistan sono presenti circa 13.000 effettivi del contingente internazionale della missione NATO. Di questi, 8.400 appartengono alle forze armate statunitensi e poco più di mille all’esercito italiano.
Dal 2014, inizio del disimpegno militare sul terreno deciso da Obama, il contingente internazionale è impegnato quasi esclusivamente in missioni di addestramento dei militari di Kabul. Il realtà, piccole unità delle Special Forces americane -così ci dicono- sono attive in missioni antiterrorismo contro i nuclei di guerriglieri che hanno aderito all’ISIS, l’ISIS Wilayat Khorasan.
Dall’inizio anno il comandante americano in Afghanistan, John Nicholson, intervenendo al Congresso aveva chiesto l’aumento di «poche migliaia di soldati». Per il Pentagono, «da 3mila a 5mila unità in più» sarebbero sufficienti a spostare l’ago della bilancia dell’equilibrio militare sul terreno a favore delle forze armate del governo di Kabul. Anche se, chi opera sul campo segnala
l’impossibilità di prevalere sul campo di battaglia se il nemico dispone di supporto esterno, il sostegno clandestino fornito ai talebani dal Pakistan.
Non solo guerriglia. Esempio, la formazione degli Haqqani, più una organizzazione criminale che un gruppo islamista, che continuano a dettare legge nelle ampie zone del Paese sotto il loro controllo, ottenendo profitti enormi dal traffico di stupefacenti ricavati dalle immense coltivazioni di oppio.
Pressing del Pentagono sull’Amministrazione Trump col sostegno del generale James Mattis, segretario alla Difesa. Trump dovrebbe prendere una decisione prima del vertice NATO del prossimo 26 maggio, quasi certamente a chiedere nuovo sostegno economico e militare da parte degli alleati, l’Italia tra tutti, che già hanno contingenti schierati sul terreno.
La proposta di una ulteriore escalation -rileva LookOut- ricorda quella che negli anni Sessanta e Settanta hanno portato alla sconfitta degli Stati Uniti nel pantano vietnamita, al costo della vita di 58mila soldati.
Sollecitata da più parti una strategia dei piccoli passi che, prima di ordinare un nuovo intervento, potenzialmente sterile e costoso, riflettendo tutti, Trump e alleati della NATO, proprio sull’esperienza del Vietnam
12 maggio 2017