Karim El Sadi
Opposizioni scatenate alla Camera e al Senato. PD: “Sfregiata credibilità del Paese”, M5S: “L’informativa è un insulto”
Ci sono volute due settimane perché Carlo Nordio e Matteo Piantedosi riferissero alle camere, quindi all’Italia, i motivi per cui il torturatore libico Osama Almasri è stato scarcerato e poi accompagnato a Tripoli a bordo di un volo di Stato. I due ministri avrebbero dovuto già riferire mercoledì scorso ma il governo ha fatto saltare tutto con una scusa ridicola: l’esposto del procuratore Francesco Lo Voi a Giorgia Meloni (ed altri), seguito alla denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti. Una settimana dopo, questa circostanza è rimasta immutata (l’esposto è sempre lì), eppure ieri si sono presentati in Parlamento. Ma non è l’unica delle contraddizioni di questa audizione. Sentiti prima alla Camera e poi al Senato, il Guardasigilli e il capo del Viminale hanno spiegato ai parlamentari le ragioni del loro operato: i ritardi nella convalida dell’arresto del generale e il decreto di espulsione con tanto di rimpatrio sul “Falcon 900”. Grande assente la premier Giorgia Meloni, più volte chiamata in causa dalle opposizioni (furibonde) che non le hanno perdonato la seggiola vuota: “E’ un atto di grande viltà istituzionale”, ha esclamato Giuseppe Conte, leader dei 5Stelle. “Quella sedia vuota nei banchi del governo è un’offesa non soltanto per il Parlamento, ma anche per il diritto internazionale”, ha detto Riccardo Magi di Più Europa.
Più dura la segretaria del PD Elly Schlein, “Meloni ha mandato i suoi ministri in Aula, un atteggiamento da presidente del coniglio, non del consiglio. Doveva esserci lei qua”. Venendo alle informative. Le versioni dei due ministri sono apparse fin da subito lacunose e contraddittorie l’una con l’altra. Ma soprattutto non hanno chiarito alcune delle criticità più ingombranti finora emerse nel dibattito pubblico sulla genesi dello scandalo. Il primo a parlare, sia alla Camera che al Senato, è sempre Nordio. Nella sua ricostruzione dei fatti, il Guardasigilli ha affermato come il mandato d’arresto della Corte dell’Aja nei confronti di Almasri sarebbe stato viziato da errori e criticità, a cominciare da un salto di quattro anni nelle date di contestazioni dei reati. Per Nordio è questo “il punto fondamentale”. Nel mandato spiccato il 18 gennaio, infatti, i reati si considerano commessi a partire dal febbraio 2015 ma in alcuni passaggi, in particolare nel dispositivo finale, datano 2011. “Non si capisce se il reato fosse iniziato nel 2011 o nel 2015”, ha lamentato Nordio. “Io sinceramente non trovo essenziali se Almasri abbia commesso i suoi reati dal 2011 o dal 2015”, gli ha giustamente fatto notare poco dopo la Presidente del Gruppo per le Autonomie, Julia Unterberger. “Mi interessa sapere se un torturatore goda di impunità per colpa dell’Italia”.
Sul punto Nordio era prevedibile che non rispondesse. Meno prevedibile, invece, è stato vederlo, come accusano le opposizioni, rimettersi la toga (non più quella di pubblico ministero) per “impugnare” l’impianto accusatorio dei magistrati della CPI. “Ha parlato da avvocato difensore di un torturatore”, ha accusato Elly Schlein alla Camera. Il ministro, infatti, scendendo nel cuore dell’informativa ha contestato le basi su cui poggiava il primo mandato di cattura dell’Aja, contrassegnato da “gravissime anomalie che sono state rilevate dalla stessa Corte che poi si è riunita apposta per cambiare mezza struttura del primo atto che ci era stato notificato”. Secondo Nordio la CPI “si era accorta che aveva fatto un immenso pasticcio”, e ha precisato che ne chiederà chiarimenti. Elencando i motivi dell’arresto contenuti nell’atto, Nordio, come detto, ha evidenziato che c’è “incertezza assoluta” a cominciare dall’inizio dei reati.
La risoluzione con cui il Consiglio di sicurezza dell’Onu attribuisce giurisdizione alla Corte penale per la situazione in Libia dopo la caduta di Muammar Gheddafi è del febbraio 2011. Il primo mattone del carcere di Mitiga dove Almasri ha commesso gli orrori di cui è accusato, precisa il mandato, verrà messo solo nel 2012. E infatti le accuse ad Almasri, si legge, riguardano il suo operato a Mitiga da febbraio 2015 all’anno scorso. Nelle conclusioni dove l’Aja ordina l’arresto, però, si fa confusione e il febbraio 2015 diventa febbraio 2011. Una svista che la stessa CPI correggerà in una seconda versione del documento rilasciata il 24 gennaio. Ma già nella comunicazione ufficiale del 22 gennaio, dove la CPI strigliava il governo chiedendo chiarimenti per il rilascio di Almasri, la datazione dei crimini è quella giusta: febbraio 2015. A Nordio l’incongruenza di date è bastata per dire che il mandato è “radicalmente nullo”. Avrebbe potuto farlo presente quando il generale era ancora in cella a Torino, e invece nulla. Per il ministro le carte dell’Aja erano così pastrocchiate – e pure in lingua inglese (evidentemente sconosciuta in via Arenula) – da rendere impossibile girare la richiesta d’arresto alla Corte d’appello di Roma. “Se avessimo mandato quella richiesta alla Corte d’appello ce lo avrebbe mandato indietro dicendoci che quel mandato era sbagliato”, ha detto Nordio. Eppure, secondo la stessa legge citata da Nordio, la 237/2012, non compete al ministro della Giustizia ma alla Corte d’appello valutare la richiesta d’arresto.
La legge che regola i rapporti tra lo Stato italiano e la CPI dice in maniera chiara che il guardasigilli deve dare corso alla richiesta della Corte penale internazionale. A Nordio però non sta bene: “Non faccio da passacarte, il mio ruolo non è semplicemente quello di un organo di transito delle richieste, è un organo politico, ho il potere di interloquire con altri organi dello Stato in caso di necessità e questa necessità si presentava eccome”. Nordio ha ragione, se non fosse che l’unico organo di Stato con cui avrebbe dovuto interloquire quando Almasri era trattenuto era il tribunale di Roma, con cui però non ha interloquito nonostante gli “urgenti” solleciti della procura generale.
E scadute le 48 ore di custodia, come sappiamo, il 21 gennaio la corte d’appello ha dovuto rilasciare il ricercato. Perché il ministro non ha ritenuto di rispondere alla richiesta del procuratore generale al quale avrebbe potuto manifestare le perplessità sui presunti vizi nel mandato di cattura di cui ha parlato ieri alle Camere? E ancora prima, perché non ha parlato con l’Aja per superare il “pasticcio” delle carte? Ennesimo tema non chiarito nell’informativa. Eppure, sul punto, la Corte, nella sua comunicazione del 22 gennaio scorso, aveva assicurato di aver avviato il “dialogo con le autorità italiane per garantire l’efficace esecuzione di tutte le misure richieste dallo Statuto di Roma per l’attuazione della richiesta” di arresto. Ricordando alle stesse autorità che “nel caso in cui individuino problemi che possano ostacolare o impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione, dovranno consultare senza indugio la Corte per risolvere la questione“. Cosa che non è avvenuta, è l’accusa dell’Aja. Evidentemente la possibilità che Almasri (accusato di aver ucciso, torturato e stupratore donne e bambini) tornasse in libertà per qualche “cavillo” non destava grande preoccupazione.
Di tutt’altro avviso era il ministro degli Interni Matteo Piantedosi secondo il quale il profilo di Almasri che emergeva dalle carte dell’Aja era tale da imporre di “agire rapidamente”. Nelle loro funzioni d’ufficio, Nordio (confuso dalle carte e stordito dall’inglese) prende tempo, Piantedosi (che evidentemente l’inglese lo comprende meglio, e forse comprende meglio anche la pericolosità di Almasri) corre d’urgenza. Lo stesso arrivo del jet dei servizi, atterrato a Torino ben sette ore prima del rilascio del generale, è “una precauzione” a tutela della stessa “sicurezza dello Stato e ordine pubblico” che hanno motivato il suo decreto di espulsione.
L’incongruenza tra le valutazioni dei due ministri è più che palese e non è sfuggita alle opposizioni. “Questa informativa è una farsa e un insulto al Parlamento”, ha detto la vicecapogruppo del M5s al Senato Alessandra Maiorino. “Avete detto uno il contrario dell’altro – ha fatto notare la senatrice Julia Unterberger, –. Il ministro Nordio alle giustificazioni finora date ne aggiunge un’altra, il mandato di cattura nullo. Il ministro Piantedosi invece evince il profilo di pericolosità sociale da questo mandato di cattura nullo, per cui doveva ricorrere per l’espulsione al volo di Stato”. Quanto all’ordine degli eventi, Piantedosi ha precisato che Roma non è stata informata di nulla prima della notte tra il 18 gennaio e il 19, quando, domenica mattina alle 9.30, la Digos di Torino arresterà Almasri in albergo. In seguito, “i soggetti di rito” venivano informati dell’arresto, ha ricostruito il ministro. Come scriverà la Corte d’appello, che riceve dalla polizia giudiziaria la richiesta di convalida, la comunicazione dell’arresto era arrivata domenica 19 anche al ministero della Giustizia. Piantedosi non ha detto nulla della “comunicazione assolutamente informale”, priva del mandato dell’Aja, come sostenuto poco prima da Nordio. Al contrario, sembra farsi subito un’idea chiara: se Almasri verrà rilasciato c’è la “possibilità che rimanga a piede libero in Italia nonostante il profilo di pericolosità” che, aveva già spiegato nel question time del 23 gennaio in Senato, “emerge chiaramente dal mandato”.
Per tale ragione era corso a predisporre il decreto per l’espulsione, che produrrà effetti subito dopo il rilascio. Ignaro di tutto fino a poche ore dall’arresto, a differenza di Nordio il Viminale ha messo immediatamente a fuoco tutto e in Almasri ha visto solo un criminale che non può scorrazzare per l’Italia, anche vista la presenza italiana in Libia e gli interessi nazionali nel Paese. Altre incongruenze. Piantedosi, che ieri ha sottolineato non solo la correttezza ma anche la tempestività dell’operato della polizia di Stato, ha detto che le tre persone che erano con Almasri sono state espulse la mattina successiva all’arresto del generale per favoreggiamento.
Una decisione in contrasto evidente con la successiva valutazione del ministro Nordio che ha ritenuto viziato e nullo il mandato di arresto nei confronti del generale, il cui status di latitante per altro era sconosciuto a lui stesso e alle persone che lo accompagnavano. Ancora. Piantedosi ha detto che la decisione di rimpatriare immediatamente Almasri con un volo di Stato addirittura inviato a Torino “preventivamente” è stata presa per garantire la sicurezza nazionale. E ha sottolineato che nel 2024 sono stati 190 gli extracomunitari espulsi per la loro pericolosità. Non ha però spiegato quanti di questi 190 espulsi per motivi di sicurezza nazionale siano stati rimpatriati con voli di Stato. Dopo le informative, le opposizioni hanno attaccato duramente i due ministri e il governo. “La nostra credibilità internazionale – ha rimarcato Schlein – è stata sfregiata dalla vostra scelta, oggi rivendicata, di riaccompagnare a casa un torturatore libico. Meloni diceva che avrebbe dato la caccia ai trafficanti di tutto il mondo, invece li rimanda a casa con il rimpatrio più veloce della storia“. Per Schlein il governo si è nascosto “dietro i cavilli e il giuridichese, ma qua non si tratta di una difesa formale, ma di una scelta politica. Allora assumetevi una responsabilità. La verità è che vi vergognate di quello che fate e per questo mentite”. Come Schlein, anche Conte è partito subito all’attacco di Nordio: “Lei oggi è stato scandaloso. Non è stato qui il difensore di Amasri, ma peggio: è stato il giudice assolutore. Se il suo intervento fosse proiettato in un’Aula di Giurisprudenza lei si dovrebbe vergognare”. Poi Nicola Fratoianni di Avs. La vicenda Almasri “resterà un’onta di infamia sulla storia delle istituzioni di questo Paese”.